
Negli ultimi anni, il commercio internazionale di armi ha subito una significativa impennata, alimentata principalmente dai conflitti regionali, dalle tensioni geopolitiche e da un crescente clima di incertezza. Il recente report dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), pubblicato il 10 marzo 2025, offre un quadro dettagliato di come stia crescendo il commercio di armamenti, fornendo benefici economici a un ristretto numero di Paesi esportatori e alimentando gli attriti. Il commercio di armi, a livello internazionale, non ha avuto variazioni consistenti. A fronte di un’espansione nel vecchio continente, infatti, i volumi complessivi di trasferimenti di armamenti sono rimasti stabili, compensati dai cali in altre regioni, tra cui il continente africano.
Tra il 2020 e il 2024, l’Ucraina è diventata il più grande importatore di armi al mondo, con un aumento delle importazioni di quasi cento volte rispetto al periodo 2015-2019. In particolare, il Paese è destinatario di circa il 45% delle forniture di armi statunitensi, diventando anche un fulcro strategico per il riarmo dell’Unione. È chiaramente il risultato dell’invasione russa che si riflette anche nell’incremento complessivo delle importazioni di armi in Europa, cresciute del 155% dal 2022. Da allora, infatti, alcuni Paesi europei hanno avviato piani di rafforzamento delle proprie capacità difensive: esempio evidente ne è la Polonia, che ha visto crescere le sue importazioni del 508% tra il 2015-2019 e il 2020-2024.
“Con una Russia sempre più bellicosa e le relazioni transatlantiche sotto pressione durante la prima presidenza Trump, gli Stati europei della Nato hanno intrapreso passi per ridurre la loro dipendenza dalle importazioni di armi e rafforzare l’industria bellica europea”, ha detto Pieter Wezeman, ricercatore senior del Programma trasferimenti di armi del Sipri. “Ma la relazione di approvvigionamento transatlantica ha radici profonde. Le importazioni dagli Stati Uniti sono comunque aumentate e gli Stati europei della Nato hanno ancora quasi cinquecento aerei da combattimento, e molte altre armi in attesa di consegna dagli Stati Uniti”. Proprio questi si confermano come il principale esportatore di armi, con una quota del 43% del mercato globale tra il 2020 e il 2024, un aumento considerevole rispetto al 35% registrato nel quinquennio precedente. Le esportazioni sono state fortemente orientate verso l’Europa, che ha rappresentato il 35% delle esportazioni di armi statunitensi, superando, per la prima volta in due decenni, il Medio Oriente.
La Francia è diventata il secondo più grande fornitore di armi al mondo, nel 2020-2024, commerciando con sessantacinque Stati. Le esportazioni di armi pesanti francesi verso altri Stati europei sono quasi triplicate tra il 2015-2019 e il 2020-2024 (+187%). Questo è dovuto principalmente alla consegna di aerei da combattimento alla Grecia e alla Croazia, e alle forniture di armi all’Ucraina. Al contrario, la Russia ha visto crollare le proprie esportazioni di armi del 64%, passando dal secondo al terzo posto tra i maggiori esportatori globali. Il conflitto in Ucraina ha senza dubbio contribuito, poiché Mosca ha dovuto reindirizzare la produzione di armamenti verso il fronte interno e affrontare le sanzioni economiche imposte dai Paesi occidentali. Inoltre, due dei suoi maggiori partner commerciali, India e Cina, hanno progressivamente ridotto la loro dipendenza dalle armi russe, potenziando le proprie industrie belliche interne.
L’Italia è emersa come uno dei Paesi con il maggior incremento nelle esportazioni di armi, salendo dal decimo al sesto posto nella classifica globale, con una crescita del 138% rispetto al periodo 2015-2019. Il nostro Paese è stato in grado di capitalizzare la domanda crescente di armamenti – e la conseguente crescita di conflitti e vittime – in regioni strategiche come il Medio Oriente, che ha visto diminuire le forniture da Paesi come la Russia. I principali destinatari delle esportazioni italiane sono il Qatar (28%), l’Egitto (18%) e il Kuwait (18%). Per quanto riguarda Israele, invece, nonostante il genocidio a Gaza e le operazioni in Libano e in Siria, il report del Sipri evidenzia come le importazioni di armi siano rimaste stabili tra il 2015-2019 e il 2020-2024, con una variazione del -2,3%. Israele si è classificato al 15° posto tra i maggiori importatori di armi a livello mondiale nel periodo 2020–2024, in lieve calo rispetto alla 14ª posizione del quinquennio precedente. Gli Stati Uniti hanno fornito il 66% delle armi, con una maggioranza di aerei da combattimento, veicoli corazzati e bombe guidate, seguiti dalla Germania, con il 33%, con fregate e siluri e – appunto – dall’Italia, al terzo posto nel sostenere l’impegno militare di Israele.
In questo contesto, in cui dall’Unione si richiede uno sforzo nella difesa, con il programma da ottocento miliardi di ReArm Europe, presentato da von Der Leyen, si inserisce la proposta di legge di Fratelli d’Italia che mira a facilitare la costruzione di nuove infrastrutture militari, tra cui le caserme e i poligoni di addestramento, riducendo i vincoli ambientali. La legge prevede che, nelle aree individuate per la costruzione di basi militari, non si applichino i vincoli ambientali senza il consenso dello stato maggiore della Difesa. In sostanza, il controllo su salute e ambiente sarebbe affidato direttamente alle autorità militari, senza l’intervento delle autorità civili locali.
Il report del Sipri mette in evidenza una preoccupante tendenza globale. La percezione di insicurezza, dovuta alla guerra, crea una situazione in cui armarsi sembra l’unica via d’uscita e, per farlo, si ricorre a qualsiasi mezzo. Il riarmo, sebbene sia giustificato dalle pressioni geopolitiche, rischia di sottrarre risorse vitali e distogliere l’attenzione da questioni che minacciano la sopravvivenza stessa dell’umanità. L’altra emergenza, innegabilmente globale e urgente, è infatti quella climatica. Gli ingenti investimenti nel settore bellico influiscono negativamente, com’è ovvio, sugli effetti attuali e futuri delle emissioni sul pianeta.