
Com’è noto, il governo italiano di postfascisti e postberlusconiani ha molta attenzione per la donna, essendo il primo presieduto da una donna. Partecipa alle celebrazioni dell’8 marzo, pur non condividendo nemmeno una delle istanze del movimento femminista: non la rivendicazione di un diritto come quello all’interruzione volontaria della gravidanza, non l’introduzione della differenza tra “sesso” e “genere” (questo secondo come qualcosa di socialmente condizionato), e da ultimo neppure l’elementare richiesta, per cercare di arginare il dilagare della violenza contro le donne, di un’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, rimasta infatti lettera morta. Ciò in cui il governo intende farsi valere è nell’introduzione di nuovi reati e nell’aumento delle pene: ecco allora l’ultima grande invenzione uscita fuori dal cilindro della ministra Roccella, il reato di femminicidio e la sua punizione con l’ergastolo. Come se un femminicida si facesse intimidire dalla minaccia di una pena severa, e soprattutto come se non fosse già oggi possibile condannare gli assassini – ciechi, scemi o assatanati che siano – al carcere a vita, come hanno mostrato recenti casi di cronaca. La cosa che proprio non deve essere messa in discussione è la forma generale dei rapporti uomo-donna, nonostante questi siano contrassegnati da una millenaria diseguaglianza.
Non si interviene dunque sulla formazione, in cui potrebbe magari farsi luce nella mente di qualche discente che la parità tra i generi non esiste affatto, è un obiettivo ancora da raggiungere, e che a questo fine, come per ogni progresso, è necessario un orizzonte utopico. In cosa potrebbe consistere nel caso specifico? Se ne possono indicare vari gradi – ma quello più decisivo sarebbe l’obiettivo dell’abolizione dell’istituto del matrimonio (sì, proprio questo!), che tra l’altro in italiano (non così in inglese o in francese) ha un suono che lo rinvia immediatamente a quello di “patrimonio”, cioè ai rapporti di proprietà e di potere connessi al gesto stesso del “togliere in moglie”, come si diceva ai tempi in cui il dominio patriarcale era incontrastato, e l’uomo prendeva una figlia da un padre.
Oggi certo le cose sono cambiate; ma resta il fatto che – per una donna che non abbia un lavoro e un reddito, e in Italia sono tantissime – la subordinazione economica al marito fa del matrimonio una forma di prostituzione legalizzata, qualcosa che lega non liberamente ma coercitivamente. Con tutto quanto poi possa derivarne in termini di sentimento di possesso da parte dell’uomo che, considerandosi “proprietario” di una donna che mantiene, può sentirsi autorizzato a maltrattarla. La schiavitù è lo sfondo da cui si è sviluppato, arrivando fino a noi, l’istituto matrimoniale.
Non siamo però massimalisti, sappiamo che bisogna procedere per gradi: cosicché uno dei primi passi da fare, per avvicinarsi all’obiettivo, sarebbe quello di cominciare a scavare che cosa vi sia sotto l’onnipresente ideologia dell’amore romantico. Due persone che privilegino la loro relazione a scapito di tutti gli altri rapporti, come se soltanto la coppia fosse importante, sono già, solo per questo, a rischio di un’irruzione della violenza nella loro vita. Diciamo che dentro quella esclusività si annida il risentimento possibile, dato da una molteplicità di circostanze, tra cui la più comune è che qualcuno(a) possa cessare, per qualche ragione, di fare riferimento a quel rapporto, magari perché abbia trovato un altro partner o perché pensi di starsene meglio in solitudine.
Insomma, è soltanto attraverso la formazione che potrà cominciare a modificarsi la millenaria cultura che impedisce l’eguaglianza nei rapporti tra i generi. Non ci sfuggono i cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni (perfino nella pubblicità a fare il bucato e a lavare i piatti ormai non è più solo la donna). Siamo però convinti – benché anche a sinistra gli uomini, intesi come maschi, abbiano spesso ancora da fare i conti con i propri ancestrali costumi – che il mix di destra che governa il Paese sia il maggiore ostacolo a qualsiasi anche minimo ulteriore progresso; e che non sia affatto con l’aggravamento delle pene per i reprobi diventati assassini di donne, mancando di mezzi culturali e psicologici adeguati a gestire anzitutto la loro stessa sofferenza, che si intravede un futuro di eguaglianza.