
Lo avevamo conosciuto per la sua pia devozione a Santa romana Chiesa, invece il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, si sta distinguendo per il piglio decisionista e “pigliatutto”. Intervenuto alla presentazione della relazione annuale dell’intelligence, Mantovano, che rappresenta l’autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, si è esercitato nell’elogio del silenzio: “Il silenzio non è tutto uguale. C’è il silenzio che vuol dire omertà o ignavia, e c’è quello funzionale a proteggere l’operosità, che è quello dell’intelligence”. Poi ha voluto ricordare che “l’intelligence si muove in contesti internazionali e la riservatezza è alla base dell’interscambio informativo, altrimenti si compromette la collaborazione tra i servizi delle diverse nazioni”; e invece, guarda tu, “alcuni parlamentari protestano perché il governo si rifiuta di fornire dettagli in aula: non terrebbero in adeguata considerazione che l’interlocuzione su questa materia avviene con il Copasir”.
Ma guarda quanta saggezza a buon mercato vende il sottosegretario Mantovano, il quale non ricorda – o forse non ha mai saputo – che la segretezza garantita dalle leggi ai servizi di intelligence e l’uso del segreto di Stato devono essere funzionali alla esclusiva tutela dei princìpi costituzionali (ricordiamo l’art. 54: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”). Il segreto è stato invece utilizzato per ben altri fini, com’è noto: dai depistaggi alle guerre tra bande interne, alla protezione di cordate: per questo è bene non dimenticare che il segreto non è mai assoluto, può riguardare aspetti operativi, ma non le finalità delle azioni che devono essere connesse ai princìpi dettati dall’art. 54 della Carta. Il sottosegretario Mantovano, invece, pretende che stiano tutti zitti, che le sedute blindate, super-riservate, inaccessibili, del Comitato parlamentare per la sicurezza esauriscano il dovere di trasparenza.
Non è affatto così. Soprattutto quando è in gioco una visione dell’intelligence come quella portata proprio da Mantovano nel disegno di legge “sicurezza” (vedi qui e qui), e che in sintesi vorrebbe la costruzione di un’Ovra alle dipendenze di palazzo Chigi. Una visione che evidentemente, a stare anche alle vicende di cronaca, non piace ai settori democratici dei servizi: il caso del libico Almasri, in tempi meno nervosi, sarebbe stato appaltato alla mediazione dei servizi; invece, quel che è avvenuto, indecente, ha tutta l’aria di avere dietro un bell’“adesso ve la vedete voi!”, e si è visto quel che è stato combinato dal governo. Del resto, un’altra iniziativa di palazzo Chigi propende per il metodo dello “zitti tutti”: Mantovano e il ministro dei Rapporti con il parlamento, Luca Ciriani, hanno strigliato i ministeri con una lettera che impone: “Stop ai ritardi, deciderà palazzo Chigi le priorità”.
In pratica, sospettati di lavorare con lentezza, pigri e indolenti, i funzionari sono stati richiamati all’ordine, perché c’è bisogno di rapidità: basta pareri in ritardo, esitazioni, riflessioni sui testi normativi, perché l’agenda politica della destra non può attendere e non può rischiare di ingolfare Camera e Senato – con la sovrapproduzione di decreti, si intende. Ora palazzo Chigi dice basta: saranno loro a dettare i tempi, a decidere quali emendamenti parlamentari siano di “preminente interesse”. Accentrare le decisioni, stringere i tempi: tutti zitti, parla Mantovano!