Nello stesso carcere in cui è stata recentemente detenuta Cecilia Sala, l’attivista curda Pakhshan Azizi aspetta l’esecuzione. La sua condanna è stata confermata dalla Corte suprema iraniana, nonostante le numerose denunce di irregolarità nel processo e le richieste di annullamento da parte di organizzazioni per i diritti umani. L’accusa è quella di “ribellione armata contro lo Stato”; eppure Azizi, oggi quarantenne, avrebbe solo aiutato donne e bambini sfollati nei campi del nord-est della Siria e nel Curdistan iracheno, a causa degli attacchi da parte dell’organizzazione denominata Stato islamico. Come assistente sociale e attivista della società civile, tra il 2014 e il 2022, è riconosciuta da molte associazioni per il suo ruolo nelle operazioni umanitarie. Secondo Amnesty International, dopo l’arresto, nell’agosto del 2023, Pakhshan è stata sottoposta a torture e maltrattamenti durante gli interrogatori per indurla a “confessare” legami con gruppi di opposizione curdi, da lei ha ripetutamente negati. Data l’assenza di prove concrete a sostegno dell’accusa, e il rifiuto dell’intelligence iraniana di rendere pubblici i dettagli del processo, l’intera operazione è stata definita dalle organizzazioni internazionali “gravemente ingiusta”.
Le donne impegnate nell’umanitario pagano un prezzo altissimo, nel contesto repressivo iraniano, subendo una triplice discriminazione: in quanto donne, in quanto curde e in quanto attiviste. Al pari delle afghane, del resto, anche le curde, sono spesso escluse dall’istruzione e dai diritti fondamentali, e sono particolarmente vulnerabili. Non a caso, all’interno delle carceri femminili come quello di Evin, c’è una folta rappresentanza di donne provenienti dal Curdistan, in particolare dal Rojava. La zona autonoma nel nord-est della Siria rappresenta, infatti, un modello antagonista rispetto alle politiche iraniane: democratico, solidale con le lotte egualitarie delle donne, fautore della libertà di culto.
Il Kurdistan Human Rights Network (Khrn) ha documentato, in modo approfondito, le violazioni dei diritti umani subite dalle donne curde in Iran. Un esempio è quello di Verishe Moradi, attivista e scrittrice che, attraverso i suoi racconti, le sue poesie, i suoi articoli, ha affrontato il tema della violenza sulle donne, così come quello della discriminazione etnica. Oltre alle iniziative culturali, Verishe Morandi è stata membro della Società delle donne libere del Curdistan (Kjar), un gruppo dedicato alla promozione dei diritti delle donne nelle regioni curde. Rapita nel 2023, nella periferia di Sanandaj, è stata trattenuta dalle forze di intelligence del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, per poi essere condannata a morte nel 2024, dopo un anno di detenzione in condizioni disumane. Da maggio in poi, è stata tenuta in isolamento, con l’impossibilità di ricevere visite da familiari e amici, e subendo continue vessazioni fisiche e psicologiche. Come quello di Azizi, il suo processo è basato su accuse vaghe e su confessioni estorte sotto tortura.
Soffocare la corrente rivoluzionaria femminile è l’obiettivo del governo. Dopo la crescita del movimento Donna, vita, libertà (in curdo “Jin, Jîyan, Azadî”), cresciuto nel 2022 a seguito dell’omicidio della giovane curda Mahsa Amini, il regime iraniano ha intensificato la repressione sulle attiviste. Tra loro, vi è anche Nahid Taghavi, iraniano-tedesca arrestata “esclusivamente per aver esercitato pacificamente i suoi diritti umani”, come denunciato da Amnesty. Taghavi, quasi settantenne, è stata condannata a dieci anni e otto mesi di carcere, con accuse legate alla sicurezza nazionale, che ha sempre negato. Dopo essere stata detenuta nel carcere di Evin, ha ottenuto gli arresti domiciliari, con braccialetto elettronico, dal settembre 2023, e, dopo quattro anni di prigionia, è recentemente riuscita a tornare in Germania, grazie alla mobilitazione internazionale.
Altro caso nella lotta femminile in Iran è quello di Narges Mohammadi. Premio Nobel per la pace nel 2023, Mohammadi è stata condannata a sedici anni di reclusione. Solo recentemente, a causa di un tumore, le è stata concessa la detenzione domiciliare per sottoporsi a cure mediche.Di recente, la segretaria del Pd, Elly Schlein, insieme al responsabile Esteri, Giuseppe Provenzano, e a Shady Alizadeh e Parisa Nazari del movimento Donna, vita, libertà, hanno raggiunto Mohammadi con una videochiamata. Durante l’incontro, l’attivista iraniana ha dichiarato: “Vogliamo una transizione pacifica che ci porterà dalla teocrazia alla democrazia. Sono convinta che la Repubblica islamica non possa più resistere, perché vivere sotto un regime totalitario mette in pericolo la vita di tutti i cittadini iraniani”. Mohammadi ha spiegato come il regime stia perdendo legittimità dinanzi agli occhi della società civile, e che, proprio per questo, intensifica la repressione. Nei primi giorni del 2025, infatti, c’è stato un aumento delle esecuzioni capitali e la definitiva condanna a morte di tre donne per motivi politici. “Erano oltre quindici anni che il regime non condannava a morte donne attiviste”, ha spiegato.
La conferma della pena per Pakhshan Azizi ha suscitato forti reazioni a livello internazionale. Organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International e il Kurdistan Human Rights Network, hanno lanciato appelli per l’annullamento e la liberazione immediata dell’attivista. In Italia, oltre cento parlamentari hanno firmato un appello rivolto all’Iran, chiedendo la scarcerazione di Azizi. Il suo caso, come quello di Verishe Moradi, si inserisce in un quadro di repressione sistematica contro le donne curde. Le loro storie rappresentano una tragica testimonianza delle gravi violazioni dei diritti umani in atto, con donne arrestate, torturate e condannate a morte in processi viziati da irregolarità procedurali. La comunità internazionale deve continuare a esercitare pressioni sul regime iraniano, affinché rispetti i diritti fondamentali e ponga fine alla repressione violenta delle voci dissidenti.