I vertici delle due superpotenze, alla vigilia dell’insediamento del nuovo inquilino della Casa Bianca, che cambierà le geometrie delle relazioni economiche e politiche a livello globale, e in particolare imporrà un nuovo ritmo di rapporti con il suo competitore globale asiatico, si intrattengono su TikTok. Che è anche il tema che ha guidato il passaggio delle consegne fra le due amministrazioni, dopo che il presidente uscente ha formalmente rinunciato a intervenire sulla disposizione di sospensione del servizio della piattaforma da parte della magistratura americana, lasciando così campo libero all’entrante Trump.
Solo un anno fa, sarebbe stata giudicata un’allucinazione l’idea che questo spazio virtuale, inizialmente noto per i balli in cameretta degli adolescenti, o per gli esercizi con i propri gattini, potesse diventare il nodo attorno a cui avrebbe ballato la geopolitica del pianeta. Eppure, la piattaforma di proprietà di una società di diritto cinese – ByteDance –, peraltro controllata per il 60% da fondi finanziari internazionali, è da tempo al centro di giochi strategici. Il suo ruolo cresce giorno dopo giorno per la capacità di ordinare e orientare settori consistenti dell’opinione pubblica, incalzando le élite di governo e mettendo in mora sia il sistema mediatico sia gli apparati politici tradizionali. Giornali e partiti sembrano strumenti dell’età della pietra rispetto alla raffinata potenza di profilazione e persuasione che quella piattaforma sta esercitando.
Stiamo parlando di un apparato che ogni mese calamita l’attenzione di circa due miliardi di utenti, di cui quasi centocinquanta milioni negli Stati Uniti, la metà dell’intera popolazione. Una massa stratificata e rappresentativa di ogni fascia di età: il 62% degli utenti americani ha fra i 18 e i 29 anni, un dato ritenuto largamente sottostimato, visto che almeno formalmente i minorenni non avrebbero accesso libero. La fascia fra i 30 e i 49 anni, diciamo i decisori, è presente per il 40%, e la successiva (50-64 anni) arriva al 24 %, mentre gli over 65 sono ben il 10%. Uno spaccato diffuso, con livelli di penetrazione e di attrazione, che arrivano a ingabbiare nei propri reticoli milioni di persone per almeno un’ora al giorno, tutti i giorni, con una fetta cospicua, circa il 20%, che dichiara di rimanere connessa costantemente.
Il salto di qualità avviene con la guerra in Ucraina, in cui TikTok assume esplicitamente la forma di una piattaforma di informazione, pur conservando il suo linguaggio ludico e frivolo. Buzfeed, un altro dei grandi centri digitali che è diventato un pilastro dell’informazione, rivela che la piattaforma cinese rastrella dati su tutti i suoi utenti con particolari meccanismi di profilazione. Sotto accusa è soprattutto la funzione TopBuzz, che TikTok propone come integrazione di news che arriva a oltre quaranta milioni di utenti, veicolando filmati e manipolazioni di ogni tipo, debitamente impaginate e proposte in modo sofisticato.
Trump ha colto subito l’opportunità, stipulando un patto di ferro con il gruppo che ha affiancato la strategia di sobillazione perseguita dal tycoon e orchestrata da Musk. Ora il presidente eletto paga il debito e, rovesciando spettacolarmente la sua posizione iniziale, preannuncia che impedirà ogni oscuramento e garantirà la continuazione del servizio. Ma i proprietari di TikTok hanno capito di avere il coltello dalla parte del manico e rilanciano. Chiudono il servizio, lasciando nella costernazione i centocinquanta milioni di utenti americani e pretendono mano libera, senza limiti, secondo la lezione di Musk. In realtà, sanno bene che da questo intrigo sta emergendo il cambio di relazioni istituzionali per potere politico e dominio dei dati. Trump, che vuole andare muro contro muro con la Cina a tutto campo, non può scontrarsi con la bestia TikTok, che lui stesso ha usato e legittimato. Soprattutto, come un apprendista stregone, comprende di avere creato un clima e un contesto in cui il linguaggio provocatorio e manipolatorio della piattaforma diventa irrinunciabile.
È qui il punto su cui confliggere e contrapporsi alla tecno-destra: percorsi e linguaggi di un coinvolgimento dei consensi. Senza la costruzione di identità forti, che non possano essere facilmente penetrate e manipolate, siamo merce di scambio sul mercato dei big data. Siamo a un giro di boa che riguarda tutta la politica: i partiti sono diventati le piattaforme, il tesseramento è diventato la profilazione di ogni singolo utente, la politica è centralizzazione di campagne di mobilitazione adolescenziale. L’idea che, in questo orizzonte, ci sia persino qualcuno che, come Diogene, si metta alla ricerca di un centro moderato sembra una battuta di spirito fuori moda.