Il macronismo è morto non solo a Parigi. Aveva già cominciato a morire in Africa, una morte lenta per ciò che rappresenta la presenza militare nel continente. Non è detto che sia un male. Gli ultimi colpi – come ci riferiscono le cronache di questi giorni – sono venuti da due tradizionali amici e alleati della Francia: il Ciad e il Senegal. Il 28 novembre, il ministro degli Esteri del Ciad, al termine di una visita del suo omologo francese, annuncia la fine della collaborazione militare con Parigi. Senza motivazioni particolari, il ministro afferma: “La Francia deve ormai considerare che il Ciad è cresciuto e maturato, che il Ciad è uno Stato sovrano molto geloso della sua sovranità”. Lo stesso giorno il presidente del Senegal dichiara, in un’intervista a un giornale francese, che “ben presto non ci saranno più soldati francesi” nel Paese.
In precedenza il governo francese aveva elaborato un piano di riduzione della sua presenza militare in Africa, ma non si aspettava certo che, il giorno in cui il piano era presentato al Ciad, questo chiudesse definitivamente la collaborazione militare. Ciò significa la perdita dell’ultima base nel Sahel, la partenza di un migliaio di sodati dal Paese africano, dove le presenze e le operazioni militari francesi erano state, per diverse ragioni e stagioni, le più numerose, e dove Parigi aveva fatto e disfatto presidenti durante tutta la storia del Ciad indipendente. In aprile, erano stati i soldati americani ad andarsene, perché il Ciad ha iniziato una politica di diversificazione della collaborazione militare con la Turchia e gli Emirati arabi uniti. Il governo ciadiano rassicura Parigi: non verranno meno gli altri rapporti, in particolare economici – ma questo sarà tutto da verificare.
In Senegal, dove la presenza militare francese è inferiore, circa 350 soldati, ma dall’indipendenza (1960) anch’essa ininterrotta, si materializza così il programma che il nuovo presidente Bassirou Diomaye Faye aveva annunciato durante la campagna elettorale, che ha visto gli equilibri politici completamente rovesciati nel marzo di quest’anno (vedi qui). Per Parigi è uno scacco di proporzioni epocali, dopo che le sue truppe sono già state scacciate dal Mali nel 2022, e dal Burkina Faso e dal Niger nel 2023.
La Francia, potenza colonizzatrice di diversi Paesi africani, ha mantenuto fino a un paio d’anni fa una forte presenza militare nel Sahel, in Senegal, in Costa d’Avorio, nel Gabon, a Gibuti. La presenza nel Sahel si è annullata a partire dai colpi di Stato militari in Mali, Burkina Faso e Niger. I vertici militari andati al potere hanno voluto liberarsi della tutela francese, e in parte di quella occidentale, preferendo l’aiuto dei mercenari dell’organizzazione russa Wagner, dietro cui si muove Mosca, la principale fornitrice di armi all’Africa subsahariana. Del resto, nella capitale del Centrafrica, a inizio dicembre, è stata inaugurata una statua a Prigožin, il defunto comandante dei mercenari della Wagner.
La perdita d’influenza diplomatica e militare della Francia, e anche in termini commerciali, è dovuta al rinnovarsi delle generazioni, ormai lontane da legami culturali coloniali e postcoloniali con l’ex madrepatria, dal rifiuto da parte della società africana dei rapporti di dipendenza, dalla crescente influenza di altri Paesi, come Cina, Russia, Turchia, India e le monarchie del Golfo. Malgrado l’affermazione di volere un nuovo tipo di partenariato, Macron non ha saputo andare oltre le belle parole, lasciando dietro di sé l’impressione di una Francia che comunque si considera un po’ a casa propria nelle ex colonie africane. Una politica di gesti ambigui,che ha logorato l’immagine di Parigi di fronte alla voglia di cambiamento, anche se questo si è tradotto, come nel Sahel, in colpi di Stato militari tutt’altro che emancipatori per la popolazione locale.
Il governo francese (non sappiamo ancora quale dopo le dimissioni del primo ministro Barnier) ha davanti a sé un compito difficile. Far dimenticare all’Africa i suoi “miraggi”, nel senso dei caccia Mirage un tempo padroni dei cieli del Sahel, e cercare un riposizionamento economico comunque sottoposto a una forte concorrenza. Se la Francia rimane, dopo il Regno Unito, il maggiore investitore in Africa, Parigi sta però investendo sempre meno nel continente. Si sta riposizionando verso Stati più industrializzati e popolosi, quindi più interessanti dal punto di vista del mercato, come Nigeria, Sudafrica ed Egitto, con cui non condivide un passato coloniale. Una missione quasi impossibile per un Paese che sta vivendo una profonda duplice crisi, politica ed economica.