Hayat Tahrir al-Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante) è il risultato di un rimescolamento tra diversi gruppi jihadisti ed è la componente egemone della coalizione che ha preso Aleppo nei giorni scorsi, infiammando di nuovo la guerra civile siriana. Non si tratta di “terroristi”, come sostengono tanto il sanguinario regime di Damasco (che vede il clan degli Assad al potere da cinquant’anni) quanto le cancellerie occidentali, ma di milizie islamiste radicali sunnite, con la presenza significativa di una componente curda, che è la parte laica della coalizione. Si dice, non a torto, che la Turchia stia dietro a questi gruppi (dimenticando, tuttavia, che i curdi sono perseguitati nello Stato con la mezza luna nella sua bandiera). In termini generali, siamo dinanzi a una ripresa della guerra civile internazionale tra sunniti e sciiti, essendo il regime di Assad (sciita alauita) uno stretto alleato dell’Iran degli ayatollah e degli Hezbollah libanesi, oltre che della Russia di Putin che ha ereditato dall’epoca sovietica il sistema di alleanze in quella regione.
I ribelli sono arrivati da Idlib, la loro roccaforte posta a una sessantina di chilometri a sud-ovest di Aleppo, all’interno di una entità statale frantumata. La Siria, dopo l’imponente sollevamento popolare del 2011 represso nel sangue e l’inizio della guerra civile l’anno successivo, ha attraversato varie fasi – compresa quella in cui l’opposizione ad Assad era egemonizzata dall’organizzazione denominata Stato islamico – di un conflitto che appariva di tutti contro tutti, e in cui la parte laica e filoccidentale, appoggiata con forniture di armi dalla Francia della presidenza Hollande, perdeva via via terreno, anche per il rifiuto di Obama, all’epoca, di impegnare direttamente gli Stati Uniti. I gravi attentati terroristici, subiti dalla Francia sul proprio suolo, furono in larga misura una conseguenza di quella scelta, al tempo stesso contro Assad e contro lo Stato islamico. Sconfitto quest’ultimo sul campo, nel 2016, grazie soprattutto ai combattenti curdi sostenuti dall’Occidente, la situazione bellica è rimasta più o meno congelata – fino all’attuale presa di Aleppo.
Certo, la guerra di Israele contro gli Hezbollah, che ha coinvolto parzialmente anche l’Iran, ha sguarnito le difese del regime di Assad, mentre la Russia, impegnata sul fronte ucraino, si allontanava dallo scenario mediorientale. Ma il punto non è qui. Le condizioni esplosive in cui versa quella porzione di mondo sono una illustrazione, forse la più lampante, del caos planetario seguito alla fine, più di trent’anni fa, della divisione del mondo in bocchi, che ha comportato l’avanzata dell’islamismo radicale. Oggi non è immaginabile, dal Marocco al Medio Oriente, un tentativo di cambiamento di quei regimi che non veda l’irruzione sulla scena di forze islamiste di vario genere. E gli stessi termini della questione palestinese si sono aggravati da quando, con il tacito benestare di Israele, le forze laiche, dopo una breve guerra civile interna, hanno dovuto cedere il passo a Hamas.
Si potrà discettare finché si vuole sulle implicazioni dell’Occidente che, con il sostegno a Israele prima nella sua guerra di sterminio a Gaza e poi, in misura minore, in Libano – con bombardamenti sulle postazioni Hezbollah anche in Siria –, ha reso possibile la destabilizzazione cui stiamo assistendo; ma resta il fatto che – per tacere della questione curda, non meno drammatica di quella palestinese – la situazione non avrebbe retto: non è infatti immaginabile che una non-pace duri all’infinito, specialmente se uno dei poli della contesa è un regime come quello di Assad. L’apertura di negoziati, voluta proprio dalla Turchia ma rifiutata anzitutto da Assad, non sarà possibile finché al potere resterà un tipo del genere.
Tutto ciò appare chiaro, nella sua tragicità. Quello che sembra non esserlo per nulla è quale sia la via di uscita. Diciamocelo francamente: l’intero contesto mediorientale è più rischioso, nel senso dello scoppio di un possibile conflitto mondiale, della guerra in Ucraina, che ormai sembra di serie B. Da parte dell’Occidente, la cosa da fare sarebbe appoggiare la componente laica curda, spingendo per la caduta del dittatore siriano. Ma è evidente che ciò è solo un aspetto di un problema che, ahinoi, ha molte sfaccettature. Non si tratterebbe cioè di una soluzione ma solo di una precondizione per trovarne una. Nella contingenza presente non ci sono, a nostro parere, altre posizioni da prendere – a parte restarsene fermi e stare a vedere come evolve il conflitto.