Lo avevamo scritto (vedi qui): quei Paesi in bilico tra Europa e Russia – Moldavia e Georgia in particolare – potrebbero ricoprire un ruolo di interlocuzione tra questi due blocchi. E invece ancora una volta il voto in Georgia, e le reazioni largamente previste che ha provocato, hanno confermato che questo scenario, possibile apripista di una eventuale trattativa tra la Russia e l’Ucraina, è lontanissimo. Sabato 26 ottobre, nel piccolo Paese caucasico, si sono svolte le elezioni politiche vinte dal partito al potere, Sogno georgiano, con il 52% dei consensi; mentre le opposizioni, costituite da quattro partiti che hanno come punto di riferimento la presidente europeista Salomé Zourabichvili, hanno raccolto soltanto il 38%. Tutti riusciranno comunque a entrare nel prossimo parlamento: la Coalizione per il cambiamento con l’11,03%, il Movimento nazionale unito con il 10,16%, Georgia forte con l’8,81% e Per la Georgia con il 7,77%.
In un primo momento, gli exit poll avevano indicato che Sogno georgiano, pur affermandosi come primo partito con il 40,9% dei voti, si stava avviando alla sconfitta, visto che l’opposizione era data al 52%. Ma i dati poi sono risultati invertiti, evento del resto frequente quando si seguono i primi sondaggi. Rispetto alla struttura istituzionale del Paese, è utile ricordare che la massima autorità dello Stato ha più o meno gli stessi poteri del nostro presidente della Repubblica. Come prevedibile, nella geografia del voto, l’opposizione ha una maggiore presa nelle città, mentre le zone periferiche sono favorevoli al partito di governo.
E tuttavia i dati usciti da quelle realtà sono difficilmente credibili. Nel sud-ovest del Paese, dove vive un’importante minoranza armena, a Ninotsminda e a Akhalkalaki, Sogno georgiano ha conseguito rispettivamente l’87,7 e l’88,1%. Stessa cosa nel sud, a maggioranza azera, dove la percentuale sarebbe del 79,5%. Risultati “bulgari”, e, secondo alcuni analisti, poco credibili, se consideriamo la presenza di un’importante opposizione.
Il risultato del voto è stato disconosciuto dalla massima autorità del Paese, che ha subito indetto una manifestazione di protesta, svoltasi ieri sera davanti al parlamento. Decisione che ha spinto il premier uscente, Irakli Kobakhidze, a dare della golpista alla presidente per non avere riconosciuto il risultato del voto. Scontato il sostegno degli Stati Uniti, dell’Unione europea, e addirittura quello inedito della Nato, che pretendono un’indagine sui presunti brogli elettorali, che dovrebbe realizzare non si sa bene chi. La Georgia è vittima di “un’operazione speciale russa, una moderna forma di guerra ibrida contro il nostro popolo” – ha detto Zourabichvili. Un attacco alla democrazia che si sarebbe concretizzato in intimidazioni e atti di violenza, fuori dai seggi, documentati da diversi video e denunciati da diverse organizzazioni, come Isfed, Enemo e la coalizione di Ong georgiane GeVote24.
Si parla anche di una possibile manomissione del sistema elettorale elettronico, al fine di modificare il conteggio dei voti a favore del partito al potere. La storia di Sogno georgiano è controversa. Fondato, nel 2012, dal miliardario Bidzina Ivanishvili, l’uomo più ricco del Paese, il cui patrimonio è stato in gran parte creato in Russia con i metalli e le banche durante gli anni Novanta, si è caratterizzato fin dall’inizio per le sue velleità europeiste, formalmente ancora presenti nelle intenzioni del partito.Dopo il successo del 2012, con circa il 48% dei consensi, Sogno georgiano si affermava anche nel 2018, con la stessa percentuale del precedente appuntamento elettorale.
Dopo l’invasione dell’Ucraina, nel febbraio del 2022, il partito ha cominciato a guardare a Est, orientamento confermato dall’approvazione di una legge che prevede un’attenzione particolare nei confronti delle Ong straniere, considerate alla stregua di organismi al servizio dei nemici, e, più recentemente, dalla promulgazione di norme che limitano i diritti Lgbtq+. Decisioni che hanno provocato proteste in tutto il Paese. Una svolta motivata anche dal timore dell’esplosione di un conflitto come quello in corso in Ucraina (considerando che la Georgia fu già invasa dalla Russia nel 2008).
L’allontanamento dall’Europa non ha tuttavia cancellato la decisione del dicembre 2023, quando alla Georgia era stato concesso lo status “condizionato” di Paese candidato all’Unione, ovvero l’attuazione di riforme in nove aree, tra cui la de-oligarchizzazione e la riduzione della polarizzazione politica. Obiettivi che, lungi dall’essere raggiunti, si sono invece ulteriormente allontanati.
Lo scenario che ora si apre è però complesso. Evidente che nessuno potrà ribaltare quel risultato, e l’opposizione dovrà spostare in parlamento la propria battaglia. Anche perché le citate denunce sono state accompagnate da segnali di prudenza. Come quello della missione di osservazione elettorale Osce-Odihr, che ha visto anche la partecipazione di una delegazione di sette membri del parlamento europeo, la quale, pur segnalando le criticità di cui sopra, ha definito “la gestione delle elezioni generalmente ordinata”. Se a questo si affianca l’intenzione, sia pure sottotraccia, da parte degli osservatori internazionali, di non mettere in discussione lo svolgimento di “elezioni libere e democratiche”, sta prendendo corpo una prudenza da ritenere saggia dinanzi al reale “pericolo russo”.
Difficile comunque fare previsioni per il futuro. Malgrado l’incertezza dei dati, il Paese è spaccato in due, come la Moldavia, dove il prossimo 3 novembre andranno al ballottaggio la presidente europeista uscente, Maia Sandu, e il socialista filorusso Alexandr Stoianoglo. La qualità istituzionale del Paese, secondo alcuni osservatori, resta elevata in quell’area geografica; ma la situazione politica, che ha allontanato in termini di relazioni economiche la Georgia dall’Europa, facendola avvicinare alla Russia, rende tutto molto instabile. Dando quasi per scontato il congelamento dello status di candidato a entrare nell’Unione, questa misura potrebbe essere accompagnata dalla revoca dello schema di liberalizzazione dei visti, che condurrebbe in una situazione di isolamento il nuovo governo – nuovo si fa per dire – di Sogno georgiano. Un provvedimento che rischia tuttavia di gettare definitivamente la Georgia nelle braccia di Putin. Un dialogo tra i due contendenti sarebbe la cosa giusta – ma al riguardo l’aria che tira non è certo delle migliori.
Nella foto: Bidzina Ivanishvili, fondatore di Sogno georgiano