Che tristezza quei “senza speranza” detenuti nella terra delle Aquile, l’Albania. Il viaggio del disonore – la deportazione, per dirla con Elly Schlein, di dieci uomini del Bangladesh e di sei egiziani – si è concluso dopo due giorni e passa di navigazione sulla nave della nostra Marina militare “Libra”, mentre il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ricordava il nostro impegno solidale per l’accoglienza, e che l’Italia è un Paese di migranti e immigrati. Colpisce la solitudine di quelle vite che si ritrovano in un luogo di detenzione italiano in terra straniera. Diventate pedine, anzi comparse, di una tragedia che si consuma sulla loro pelle, in questa stagione della politica “vendicativa”. Sono diventate merce di scambio, moneta sonante sul mercato della paura e delle fragilità.
Pensano, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, di incendiare l’opinione pubblica facendo intendere che si deve respingere a tutti i costi “l’invasione” dei migranti che alimentano la criminalità. E dunque bisogna spostare gli immigrati nei centri di detenzione italiani all’estero, in Albania. Non farà presa questa tragica offerta politica. Perché è falsa e inattuabile. Intanto, ottocento milioni sono stati stanziati per trasferire al massimo tremila migranti al mese nei centri libici. Sono risorse ingenti in tempi di impoverimento della popolazione e di crisi di uno Stato che non riesce a garantire il minimo livello di servizi (la sanità in testa).
Lasciamo da parte i sospetti di corruzione per questa operazione di propaganda. Il rischio del fallimento è reale. Dobbiamo solo aspettare, per averne conferma, le decisioni dei giudici italiani quando dovranno pronunciarsi sulla “detenzione” e sul rimpatrio dei migranti irregolari. Il nodo da sciogliere è quello sulla definizione di “Paese sicuro”, cioè sulla destinazione dei migranti rispediti a casa. I giudici della Corte europea di giustizia, infatti, hanno scritto in una recente sentenza che “un Paese deve essere sicuro in ogni sua zona e per tutti. Nessuno può essere vittima di persecuzione, tortura o trattamenti inumani”. Per la Corte europea è illegittima la definizione di Paesi sicuri di ben quindici dei ventidue Paesi inseriti nella lista della Farnesina. Tra quelli non sicuri, ci sono la Tunisia, l’Egitto e il Bangladesh.
A questo punto il governo Meloni si affida all’autorevole sostegno della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che apprezza l’esperimento albanese (“è un modello da esportare”). Interesse e condivisione del progetto arrivano anche da Londra e da Berlino. Ma una portavoce di Bruxelles fa sapere che “attualmente questa opzione non è per la Ue legalmente possibile. Per rendere possibile un simile modello la legge Ue deve regolamentare il rimpatrio forzato in un Paese terzo, che non sia il Paese d’origine ed è qualcosa che stiamo ancora esaminando”.
L’Europa della guerra contro Mosca, e del dissenso contro Netanyahu senza alcuna iniziativa concreta di censura (solo la Spagna e la Francia hanno annunciato lo stop all’invio di armi in Israele), alza i muri in casa sua.
Nessuno che si chieda perché arrivino. Non siamo all’invasione. Secondo i dati del ministero dell’Interno, per esempio, dal primo gennaio al 15 ottobre sono sbarcati in Italia 54.129 irregolari contro i 140.481 nello stesso periodo del 2023.
Ma se i giudici italiani rispetteranno le indicazioni dei loro colleghi della Corte di giustizia europea, che fine faranno i “deportati” in Albania? Dovranno essere liberati in Italia. Il mantra della destra di governo è il governo dei flussi di migranti regolari ammessi per il lavoro stagionale. Come se fosse una concessione e non una necessità impellente per un Paese in cui il calo demografico è continuo e costante. Come se volessero scegliere chi accogliere. Magari controllando la dentatura, la muscolatura, l’altezza, la vocazione professionale, il grado di istruzione.
Non è una questione di moralismo enfatizzare lo spreco di risorse economiche – ottocento milioni di euro – per un’operazione di pura propaganda. C’è un non detto che non viene esplicitato: il problema dell’accoglienza, nella politica di Palazzo Chigi, si può risolvere solo a monte, impedendo cioè l’arrivo dei disperati. Confidando nel naufragio delle loro imbarcazioni.
Che vergogna l’offesa di quel concentrato di bile e vendetta, di mancanza del senso delle istituzioni e del rispetto della divisione dei poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario), che andrà in scena giovedì al Politeama di Palermo. Il giorno prima dell’ultima udienza in un’aula del tribunale di Palermo, la Lega, deputati e senatori, sottosegretari e ministri, solidarizzeranno con il loro capo, il ministro Matteo Salvini, giudicato per “sequestro di persona”, reato che prevede una pena fino a sei anni di carcere.
Un ministro (a cui hanno espresso solidarietà la presidente del Consiglio e vari leader della destra europea becera e nazionalista) ritiene che impedire il salvataggio in mare di uomini, donne e bambini sia onorevole, mentre la sinistra avrebbe deciso che “difendere i confini nazionali è un reato”. È il primo agosto del 2019 quando la nave spagnola Open Arms interviene su due naufragi al largo della Libia, salvando 124 persone; il 2 agosto la nave chiede di poter attraccare in un porto italiano ma il governo vieta lo sbarco. Il 10 agosto Open Arms salva altri 39 migranti. Partono ricorsi al tribunale dei minori di Palermo e al Tar del Lazio, da parte dei legali di Open Arms. Solo il 20 agosto l’odissea della nave, con i suoi migranti, si chiude con l’attracco e lo sbarco a Lampedusa.
L’esito delle indagini è il processo in dirittura d’arrivo a Palermo. Si fa fatica a credere in un Salvini statista, lui che, solo ieri (maggio 2009), teorizzava che dovevano essere previste le carrozze della metropolitana milanese solo “per donne e milanesi”. Si fa fatica a rendere compatibile il suo pensiero con le leggi, i regolamenti e la Costituzione italiana. Salvini, da ministro dell’Interno, si camuffava da “sbirro”, girava con giacche e giacconi della polizia, dei vigili del fuoco. Insomma, un moderno Zelig. E tale è rimasto nel tempo.
Colpisce la debolezza della premier Meloni che non riesce a essere “coerentemente” moderata, ma fa a gara con Salvini su chi è più estremista. Offendendo così i padri fondatori dell’Europa, che scrissero quel Manifesto di Ventotene in cui si parla di un’Europa fondata sulla pace e sulla libertà. Un’Europa solidale.