Un risultato Renzi lo ha ottenuto: quello di far litigare una volta di più il Pd e i 5 Stelle. Conte non sbaglia quando dice che l’obiettivo del Micron fiorentino è quello di distruggere e rottamare. E ce n’è anche un altro, per lui ormai prioritario: sopravvivere. Se l’obiettivo di Renzi è di continuare ad avere in futuro una rappresentanza parlamentare (dopo che quello zuzzurellone di Calenda perse l’occasione di liberarsene – e liberarcene – stringendo un’alleanza con lui nel 2022, senza la quale non avrebbe superato lo sbarramento) una soluzione ci sarebbe per non fare arrabbiare Conte (nervoso, come sappiamo, anche per le grane con Grillo).
È il Pd che si deve sacrificare. Del resto è proprio il Pd che continua ad avere al suo interno una componente filorenziana, che rompe le scatole alla segretaria e non ha mai digerito l’alleanza con Conte. Insomma, non sarebbe impossibile immaginare che, nelle liste del Pd per la quota proporzionale, si riservino quattro o cinque posti sicuri a Renzi, cosicché lui e un po’ dei suoi possano coltivare i loro obiettivi carrieristici (conferenze internazionali, emolumenti e quant’altro, fregiandosi del titolo di parlamentari). In questo modo nessun simbolo del micropartito renziano comparirebbe affiancato agli altri della coalizione. È vero che Italia viva non vale più del 2%, e che se sparisse del tutto sarebbe meglio; ma è anche vero che, presentandosi, potrebbe far saltare alcuni candidati di centrosinistra nei collegi uninominali.
Se Renzi volesse invece seguitare a fare il “capuzziello” (come si dice a Napoli), se volesse non solo sopravvivere ma addirittura contare qualcosa, allora si farebbe bene a mandarlo al diavolo una volta per tutte. Anche a costo di una frattura nel Pd – quella che fin qui la segretaria ha cercato di evitare. La ragione è semplice: non solo Renzi è Renzi, ma, avendo così poca consistenza in termini di voti, non potrebbe essere preferito a Conte che avrebbe comunque più voti di lui, anche se dovesse subire una scissione da Grillo.
A qualcuno sembrerà ingenua la proposta di trattare Renzi per quello che è: un prodotto di scarto del Pd, che il Pd stesso dovrebbe farsi carico di riciclare. Ma se ci si pensa – e lo vedremo chiaramente tra qualche settimana nelle regionali in Liguria – Renzi non conta niente; in Emilia-Romagna, dove si fa bello di essere già in maggioranza, è il surplus del condimento, mentre forse la sua vis distruttiva potrebbe funzionare in Umbria, dove i numeri sono più stretti, e senza i 5 Stelle il centrosinistra può andare molto male.
Renzi è da sempre un grave problema. Anche i successi di Salvini prima, e di Meloni poi, provengono da lui: se, nella legislatura precedente, il Pd avesse fatto fin dall’inizio un accordo di governo, com’era del tutto possibile, non ci sarebbe stato il governo giallo-verde (dove il “verde” è quello della Lega); e se poi si fosse tenuto in piedi il governo giallo-rosso, quello che invece Renzi fece cadere per arrivare con Draghi alle “larghe intese”, le cose alle elezioni del 2022 sarebbero andate probabilmente in maniera diversa.