La politica, come spiegava Machiavelli, è un ambito in cui non funzionano le scienze matematiche, e nemmeno valgono i saperi probabilistici. L’arte di mantenere il potere dopo averlo conquistato è un’arte difficile, che va reinventata di giorno in giorno, e molto limitatamente può essere affidata alle acquisizioni del passato. Chi non riesce a mantenere il proprio potere perché non ha imparato non solo a essere “non buono” in politica, ma anche estremamente accorto, è destinato, nella lizza fra i tanti cattivi, alla rovina. È un gioco in cui non ci sono sconfitte onorevoli: l’unico risultato valido è la vittoria, il successo nell’acquisizione e nella conservazione del potere; il fallimento è senza redenzione. Considerazioni che tornano alla mente se si riflette sul destino del modello Genova, a lungo saldamente costruito e apparentemente compatto, con il suo astuto mix di autoritarismo, comunicazione e clientelismo.
Un modello politico che dava perciò l’impressione di essere destinato a durare ancora degli anni, e aveva suscitato anche interesse nella destra di governo a livello nazionale, ancora alla ricerca di un “suo modo” di governare al di là di bonus e proclami, ma che si è sgretolato rapidamente sotto i colpi della vicenda giudiziaria di Totopoli (vedi qui), e a fronte di una scarsità di riscontri concreti dello “affaccendarsi inoperoso” che lo ha caratterizzato.
Il 27 e 28 ottobre si terranno le elezioni regionali rese necessarie dalle dimissioni del presidente della Regione, ed è possibile prevedere che sarà questo il momento che segnerà la definitiva archiviazione del “modello Genova”. L’individuazione come candidato del centrodestra del sindaco Bucci appare una scelta estrema, dettata dalla necessità di assicurare una continuità al progetto dei due dioscuri dopo la fatale caduta di Toti, e insieme di rischiare il meno possibile. Bucci infatti non è figura ascrivibile, se non alla lontana, alla destra governativa, da cui ha sempre rivendicato una orgogliosa autonomia, e una sua eventuale caduta non implicherebbe grossi guai a livello nazionale. Occorre inoltre tacitare l’ombra di Banquo-Toti che, dopo essersi agitato confusamente durante l’indagine – senza peraltro ottenere politicamente granché, e ricevere nulla di più che un sostegno generico e simbolico –, dopo il patteggiamento è diventato intoccabile e ha trascinato con sé, tranne qualche transfuga, lo sparuto gruppetto di suoi seguaci a oltranza.
Bucci vende dunque una continuità che appare quasi impossibile, non a caso non intende, anche in caso di successo, rinunciare all’incarico di commissario straordinario alla nuova Diga foranea. Gravemente malato, con una speranza di vita probabilmente di pochi anni, il sindaco guarda ormai alla posterità, e alla possibilità di legare il suo nome almeno a una realizzazione importante.
Per contro, la sinistra si presenta lambiccata e divisa: la costruzione della candidatura di Andrea Orlando è stata lenta e farraginosa. Nonostante il vantaggio che inizialmente le attribuivano i sondaggi, anche per le difficoltà oggettive in cui era impantanato il fronte avverso, la sinistra ligure si è avvitata in un traccheggiamento culminato nel progetto di un campo “larghissimo” che ammettesse anche Italia viva, mimetizzata in una lista “Riformisti uniti”, in cui doveva essere presente anche +Europa.
Poi, il colpo di scena: a fronte di una ulteriore richiesta di controllo delle candidature proveniente dai 5 Stelle, il giorno prima della presentazione dei listini, ecco la rinuncia a presentarsi alle regionali da parte del partito di Renzi, che non darà, a quanto pare, nemmeno indicazione di voto in favore di Orlando, schierandosi all’insegna del “vinca il peggiore”. Se, dal punto di vista dell’andamento del voto, il peso della vicenda è probabilmente modesto, vista anche la ridotta popolarità di Renzi in Liguria (anche se non sono da sottovalutare il potere personale e l’influenza esercitati in quel di Spezia da Raffaella Paita, portavoce nazionale renziana), la destra ha cercato subito di sfruttare il pasticcetto parlando di una sinistra litigiosa, in cui le beghe a livello nazionale tra Pd e grillini condizionano la tornata elettorale locale.
Ora il margine di vantaggio della sinistra nei sondaggi si fa più esile, e nel mese che ancora manca alle elezioni, potrebbero esserci ulteriori smottamenti. Sui media locali è riapparso con sempre maggiore frequenza Toti, che fa una melliflua campagna a modo suo, aggirando abilmente la questione delle sue responsabilità e del patteggiamento, e insistendo sul fantasma del rilancio della Liguria. Il pericolo di un recupero in extremis dello scarto residuo da parte di Bucci si fa così più concreto. Meglio farebbe Orlando, invece di agitare la bandiera di una candidatura nata bottom up, esibendo un mood partecipativo tanto improvvisato quanto decisamente poco credibile, ad affrontare la destra e il modello Genova direttamente sul terreno dei loro fallimenti: non solo quelli che investono direttamente una asfittica gestione clientelare e familistica della città, ma anche quelli in campo sanitario, in campo lavorativo, nel campo dei trasporti.
La condizione della sanità ligure, sacrificata da Toti a quella privata, è ormai estrema, e ne fanno le spese gli anziani sempre più poveri che popolano la regione. L’emorragia dei giovani qualificati che se ne vanno continua, il trasporto locale è nel caos, come sperimentano quotidianamente i pendolari e i turisti, questi ultimi tanto a parole invocati a salvataggio di una economia stagnante, quanto in pratica abbandonati miseramente a se stessi.
Se veramente si vuole mettere una pietra sul modello Genova, occorre attaccare la destra nelle sue innumerevoli manchevolezze, non galleggiare in un piccolo cabotaggio fatto di accorducci poi smentiti all’ultimo minuto, inciampando goffamente in mal condotte trattative politiche, verticistiche e non trasparenti, alla faccia dello sbandierato bottom up. La situazione è tale da non permettere di vivere di rendita. Se è vero che la destra si è giocata squallidamente la partita precedente, non vanno dimenticate le ragioni, quasi dieci anni fa, della sua affermazione: l‘immobilismo, l’incapacità della sinistra di opporsi al declino, la mancanza di un progetto che non fosse la conservazione dello status quo. Insegnava Kant – contra Machiavelli – che essere eccessivamente realisti in politica porta unicamente a una perpetuazione dell’esistente, anche quando si vinca. La tecnica dell’accortezza e della prudenza conduce a costruire le proprie regole di azione esclusivamente sulla realtà effettuale e sulla sua esperienza, con il rischio di assolutizzare il passato e negare ogni libertà al futuro.