Alla fine il tanto esorcizzato e temuto terremoto è arrivato. Lunedi sera, durante uno dei concitati talk show della televisione tedesca, in cui si commentavano in diretta i risultati della tornata elettorale in Turingia e Sassonia, un esponente della Cdu lo ha detto: “Cosa vi aspettavate? Era nell’aria da tempo!”. I sondaggi lo indicavano da mesi, come avevamo segnalato già in gennaio (vedi qui); pochi però credevano veramente che il trionfo della estrema destra di Alternative für Deutschland e la batosta per la coalizione “semaforo” avrebbero assunto le dimensioni che hanno preso, con solo i cristiano-democratici a resistere all’ascesa della marea xenofoba.
Forse Olaf Scholz lo ha intuito, e in un ultimo disperato guizzo ha introdotto qualche giorno fa provvedimenti restrittivi sull’immigrazione – peraltro in contrasto con quella che è stata storicamente la politica della Spd –, sperando di strappare qualche consenso alla AfD. Ma ormai era tardi. L’“amarezza” manifestata dal cancelliere, subito dopo i risultati, non riguarda solo il destino del progetto politico della coalizione di governo, che pare al capolinea, ma quello del suo stesso partito. La Spd esce dalla tornata ridotta a presenza irrilevante, e pressoché cancellati sono i liberali, mentre divengono marginali i verdi. Per ironia della sorte, ago della bilancia, sia in Turingia sia in Sassonia, diviene il partito personale di Sahra Wagenknecht, il Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW), nato da pochi mesi da una scissione della Linke e schieratosi su discusse posizioni che potremmo definire “rosso-brune”, visti gli accenti anti-migranti e il rifiuto del sostegno alla Ucraina nel conflitto con la Russia. Il partitino improvvisato viene premiato dagli elettori, e in Turingia fa due volte e mezzo il risultato della Spd, dotata di ben altri mezzi e strutture. Per male che se ne possa pensare, bisogna ammettere che Wagenknecht aveva ben fiutato l’aria che tirava nel Paese, in particolare nei Länder dell’Est.
Ora si pone tutta una serie di problemi: anzitutto di governabilità. Sarà infatti difficile la ricerca di coalizioni, se si tiene fuori la AfD, primo partito in Turingia con il 32% e secondo in Sassonia con quasi il 31%, come tutti gli altri i partiti continuano a dichiarare di voler fare. I conti non tornano sia a Erfurt sia a Dresda, e la ricerca di una maggioranza appare faticosissima. Nelle prime dichiarazioni, poi smussate, la Cdu pareva non volesse governare né con la Linke, sopravvissuta in Turingia, né con l’AfD. E tantomeno pareva fosse disposta a farlo con Sahra Wagenknecht – almeno non alle condizioni inizialmente specificate dal suo partito, nei cui confronti invece ci sarebbe ora, a quanto scrive il sito della “Süddeutsche Zeitung”, una cauta apertura. Quale che sia l’esito delle trattative in corso, è evidente che si rendono necessarie nuove costellazioni di alleanze dopo il complicato risultato elettorale, altrimenti c’è il rischio di uno stallo. Ma è un nuovo panorama dei partiti che emerge, creando un orizzonte politico diverso dal passato. Anche perché non sarà così semplice tenere la AfD fuori dai giochi, dato che, con il numero dei seggi conquistati, possiede in Turingia la cosiddetta Sperrminderheit, la minoranza di sbarramento, che si aggira intorno a un terzo dei seggi, e può quindi bloccare o rendere estremamente complesso il processo di governo del Land.
Non ci si può però limitare a constatare che il populismo paga. In Turingia e in Sassonia, l’AfD e il BSW sono stati certo agevolati dai loro duri attacchi contro i partiti consolidati, che vengono accusati di fare politica “contro il popolo”, e dalla promessa di una svolta radicale. È interessante però notare che anche il ministro-presidente della Sassonia, Michael Kretschmer della Cdu, ha guadagnato parecchi punti prendendo, durante la campagna elettorale, le distanze da Berlino – in questo caso dal quartier generale del suo partito –, ed è riuscito a mantenere la sua quota di voti. Kretschmer ha fatto una campagna tutta sua per un “congelamento” della guerra in Ucraina e per un limite massimo per i richiedenti asilo, in un momento in cui nella Cdu queste tematiche erano trattate ben diversamente. Come dire che non è tanto o solo la novità della formazione politica a pagare elettoralmente, quanto piuttosto giocano un ruolo anche i contenuti espressi. Anche perché una prima analisi del voto pare mostrare che siano i giovani a votare i partiti nuovi,mentre gli anziani continuano a votare in maniera più tradizionale. Vedremo che cosa avverrà nell’ultima tornata prevista, in Brandeburgo, in cui si vota il 22 settembre, e sul cui risultato si sta concentrando tutta l’attenzione dei vertici della Spd, perché, a differenza della Turingia e della Sassonia, è un membro del partito, Dietmar Woidke, a difendere qui la carica di ministro-presidente.
Tra le reazioni internazionali spiccano e sono per molti versi emblematiche quelle espresse dal commissario europeo agli Affari economici, Paolo Gentiloni, che ha parlato di: “exploit della peggiore destra europea e ottimi risultati della peggiore sinistra”, aggiungendo che “vince il rancore”. In realtà queste considerazioni, per quanto comprensibili, sembrano troppo facili e inadeguate a dare ragione di quanto sta avvenendo in Germania e, sia pure con modalità diverse, nel resto d’Europa.
La Germania vive come una contraddizione crescente l’aiuto all’Ucraina e la distruzione (anche fisica come nel caso del Nord Stream) dei suoi legami economici con la Russia. È difficile spiegare alla popolazione che si continua a finanziare e ad armare chi ha distrutto un’opera miliardaria di importanza vitale, mentre il prezzo dell’energia triplica, recessione e inflazione galoppano, e si è costretti a realizzare in fretta e furia i rigassificatori e a riaccendere le centrali a carbone. La tornata elettorale appena conclusasi, sotto questo profilo, mette a nudo le incoerenze e le difficoltà della politica della Unione europea sulla questione Ucraina; ma al tempo stesso evidenzia una tipicamente tedesca “questione dell’Est”, frutto delle modalità con cui è avvenuta la riunificazione. Una riunificazione che ha assunto, in determinate zone, quasi l’aspetto di un saccheggio di stampo coloniale da parte dell’Ovest, che ha visto la maggior parte delle proprietà pubbliche dell’Est finire nelle mani di imprenditori Wessis o di multinazionali, mentre si scavavano differenziali salariali mai colmati tra le due parti del Paese. Non era difficile immaginare che, prima o poi, qualcuno avrebbe presentato il conto.