Se l’ometto del 2% riesce a far discutere di sé per settimane media e politici, malgrado il clima torrido consigliasse il riposo, è segno che lo stato di salute dell’opposizione non è dei migliori, nonostante i recenti successi alle elezioni europee e amministrative del Pd a guida Schlein. Matteo Renzi – personaggio non dei più attraenti, per usare un eufemismo – ha avuto gioco facile nel ritornare, incredibilmente, al centro dell’attenzione. Da quando, alle scorse elezioni del 2022, grazie a un opportunistico accordo con Carlo Calenda, è riuscito a garantire una rappresentanza parlamentare al suo partitino, che aveva buttato giù il Conte 2, l’ex premier si è sempre comportato come gli spettatori delle partite di tennis, che rivolgono continuamente lo sguardo a destra e a sinistra. Una volta con Meloni e compagni (vedi regionali in Basilicata o il no al salario minimo, per non parlare dei temi della giustizia); un’altra a sinistra, partecipando alla raccolta di firme contro l’autonomia differenziata.
Ma a un certo punto bisogna pur decidere. Visto che nella coalizione di governo, in particolare nella forza politica a lui più affine ovvero Forza Italia, nessuno lo vuole, decide di tornare all’ovile millantando la necessità di una sua presenza nella coalizione di sinistra per battere la destra: un po’ come successo in Francia, vista la quasi certa, secondo lui, anticipazione delle elezioni previste nel 2027, profezia sulla cui fondatezza è lecito esprimere dei dubbi visto che, sebbene non manchino dei problemi all’interno dell’esecutivo, una crisi che porti alla caduta del governo appare al momento poco probabile. Questa mina, che ci auguriamo qualcuno riesca a disinnescare, ha immediatamente sparigliato le carte all’interno dell’opposizione. Al Nazareno non c’è stato uno che abbia detto “no” o quanto meno “non è un tema all’ordine del giorno”. Lorenzo Guerini, Dario Franceschini e Nicola Zingaretti, tanto per fare dei nomi di dirigenti con storie diverse, hanno valutato positivamente il ritorno dell’ex premier nella coalizione, e la segretaria, apparentemente favorevole, sarebbe riuscita a convincere i suoi.
Ma è evidente che i giochi sono tutt’altro che fatti. Pochi giorni dopo l’annuncio del ritorno del “figliol prodigo” nell’alleanza “antifascista”, Renzi aveva fatto la sua apparizione, tra le tante, alla trasmissione “In onda” su La7. Dopo essersi pavoneggiato – avendo ricordato positivamente una delle sue leggi più contestate dall’attuale opposizione, il Jobs Act, che però, dando così un colpo al cerchio e uno alla botte, ora andrebbe rinnovata –, non ha commentato i primi sondaggi arrivati in studio sul gradimento dei votanti delle tre forze dell’alleanza di sinistra: il 70% degli elettori e delle elettrici del Pd è contrario a un suo ingresso in una futura coalizione, e pressoché tutto l’elettorato dei 5 Stelle e dell’Alleanza verdi-sinistra non ne vuole sentire parlare.
È chiaro che il terremoto che il leader di una forza politica con un riscontro elettorale molto basso sta provocando è dovuto, ancora una volta, alla debolezza del Pd e alla sua ormai cronica mancanza di identità, malgrado gli sforzi della giovane segretaria. Dicevamo delle ottime affermazioni del Pd di Schlein, che avrebbero dovuto fare da silenziatore alle polemiche e agli attacchi contro di lei. E invece l’“affare Renzi” ha dato una nuova e inaspettata linfa a chi vorrebbe riaprire le danze, questa volta non con l’intenzione di buttarla giù dalla torre, ma per ridimensionarne le velleità “gauchiste”.
Non possiamo non citare, nel generale quadretto desolante, le polemiche degli scorsi giorni sul caso Arianna Meloni denunciato dal direttore del “Giornale”, Alessandro Sallusti, secondo cui la responsabile della segreteria politica di Fratelli d’Italia, sorella della premier, sarebbe in procinto di essere indagata per “traffico di influenze”, in particolare sulla questione riguardante le nomine Rai. Un evento che se confermato – ipotesi poco probabile visto che la procura di Roma non ha aperto al riguardo alcun fascicolo – potrebbe avere gravi conseguenze sulla tenuta del governo, con la possibilità di quelle elezioni anticipate auspicate da Renzi che, secondo Sallusti, avrebbe ricoperto un ruolo nell’organizzazione di questa “spy story”.
È chiaro che siamo qui a una lettura dietrologica dei fatti ai limiti del complottismo, ma purtroppo la politica italiana ci ha abituato ad assistere a eventi apparentemente inspiegabili, come appunto la caduta del Conte 2, che non fanno altro se non allontanare la gente dalle urne. Il tentativo di Renzi di rimettersi in gioco, complicando la vita di un’opposizione già in difficoltà, è una di quelle cose che gli italiani e le italiane non capiranno mai. Insomma, nel futuro potremmo assistere, mutatis mutandis, a un altro colpo di mano, stavolta contro l’opposizione, messo in atto da un uomo che alterna l’odio per la sinistra alla frequentazione dei più ricchi del mondo (sauditi o indiani che siano).