Nell’epoca dell’avvento dell’intelligenza artificiale e del declino di un’economia basata sullo sfruttamento delle risorse (ma anche dei lavoratori, come abbiamo visto nell’ultimo caso di Latina e delle notizie sulla ricomparsa di forme di vero e proprio schiavismo nelle campagne: vedi qui), torna centrale la questione contadina. Nessuna transizione ecologica, nessun new green deal sarà possibile, se non si affronta il tema del sostegno pubblico a chi lavora la terra.
Ne è convinto Famiano Crucianelli, ex parlamentare in diversi partiti di sinistra, sottosegretario al tempo del governo Prodi, oggi uno dei massimi promotori dei biodistretti e della bioagricoltura. “Per affrontare le questioni del rilancio di un’agricoltura davvero sostenibile, ci vogliono un grande progetto e un nuovo patto sociale – spiega –, per questo ho proposto l’istituzione di un reddito garantito per tutti quei contadini che si pongono all’interno di uno sviluppo sostenibile”.
La proposta di Crucianelli è provocatoria e appare utopica, perché la centralità dell’agricoltura e del mondo rurale è stata per tanti anni messa fuori da qualsiasi agenda politica, salvo tornare di attualità nei momenti di scontro, com’è successo di recente con il “movimento dei trattori”, i cui leader hanno strappato il rinvio del divieto dei pesticidi in Europa. La questione è stata derubricata, eppure, secondo Crucianelli, il futuro delle campagne (sempre più abbandonate o super-sfruttate dall’agricoltura intensiva e inquinante) è la “cruna dell’ago attraverso cui passano le grandi questioni della nostra epoca”.
L’autore del Reddito di contadinanza spiega, nel suo libro, di avere riscoperto i problemi dell’agricoltura tornando, dopo tanto tempo, nella terra delle sue origini, la Tuscia, dove, dal 2013, ha lanciato il Biodistretto della via Amerina e delle Forre, di cui oggi è presidente. Nel saggio, pubblicato dalla manifestolibri, si dimostra, con l’ausilio di una grande quantità di dati statistici e di ricerche sul settore, che la vera chiave di volta deve andare a cercarsi, ancora, tra i contadini, in particolare tra i piccoli produttori, le aziende familiari, che l’agricoltura industriale non ha cancellato. Sono questi, per Crucianelli, che continuano a coltivare la gran parte della superficie agricola utilizzata (Sau). Ma la loro è diventata una fatica di Sisifo, una battaglia ad armi impari, perché i contadini devono fronteggiare un dominio multinazionale sempre più potente e invasivo, all’interno di una generale (e ipocrita) liberalizzazione dei mercati agricoli. La battaglia è impari, infatti, perché la liberalizzazione e il libero mercato sono solo specchietti per le allodole, visto che poi, a livello politico, anche all’interno del parlamento europeo, quelli che contano davvero sono gli interessi dei grandi gruppi che hanno in mente l’unico obiettivo dei dividendi per gli azionisti.
In questo quadro, anche il ruolo delle grandi associazioni storiche agricole, come la Coldiretti, per fare l’esempio più noto, diventa subalterno alle scelte “insostenibili” dei mercati finanziari. Dopo la cosiddetta “rivoluzione verde”, si è palesata “una mortificazione della funzione di armonia fra il lavoratore agricolo e la natura, cosa che ha permesso l’invasione della chimica nella natura, fino a creare una vera e propria frattura, pregiudicando funzioni fondamentali come quella dell’utilizzo naturale del suolo, dell’acqua e dell’aria”. “Siamo di fronte a un problema enorme – sostiene Crucianelli –, una questione con cui non abbiamo finora voluto fare i conti. Ma oggi siamo obbligati a farli, perché, da una parte, dobbiamo affrontare l’evidente progressiva riduzione delle risorse naturali, e, dall’altra, dobbiamo rispondere alla crescita di una richiesta di cibo sano da parte della maggioranza della popolazione dei Paesi avanzati. Nello stesso tempo, resta ancora da risolvere il problema della fame nel mondo”.
Il nodo da affrontare, all’interno della più grande questione di una proposta alternativa al modo di produzione capitalistico, riguarda, in primo luogo, l’iniqua politica dei prezzi al produttore, che “umilia il reddito agricolo” – spiega Crucianelli, secondo il quale “nella dialettica che vede in campo i consumatori, le grandi corporations dell’agroindustria e la politica, i contadini restano sempre marginali e senza potere. Sono l’ultima ruota del carro, non di rado obbligati a sostenere i loro stessi carnefici, mentre le aree interne sono abbandonate, i giovani al lavoro nei campi sono pochi, le aziende si concentrano”.
La proposta di istituire un “reddito di contadinanza”, per sostenere un settore che, tra l’altro, è soggetto a variazioni continue del clima, non solo è obbligatoria, se si vuole salvare e rilanciare l’agricoltura sana, è anche logica, perché “non possiamo chiedere a un produttore, a un contadino, non solo di resistere e di non chiudere la sua azienda agricola, ma anche di rendere gratuitamente un servizio alla collettività sulle grandi questioni strategiche del cambiamento all’insegna della sostenibilità ecologica”. Produzione di cibo sano e tutela della natura devono ricominciare a marciare insieme.
Il “reddito di contadinanza”, dunque, come primo passo per un “nuovo rinascimento del lavoro dei campi”, con i giovani come primi interlocutori. Secondo Crucianelli – che propone un istituto assolutamente inedito nella storia delle politiche agricole ed economiche, dare un salario minimo ai contadini che intendano assumersi la responsabilità di garantire cibo sano e sostenibilità ambientale –, la sua proposta è funzionale all’avvio di “una nuova relazione fra le attività umane e la natura”. Cosciente delle critiche a cui si sottopone, in un Paese che ha appena abolito il reddito di cittadinanza, l’autore precisa che non si sta parlando di assistenza, ma di investimento sul futuro e riconoscimento di una funzione sociale misconosciuta, anche se, nelle statistiche sulla produzione, l’agricoltura continua a essere catalogata come settore “primario”.
Le idee di Crucianelli possono anche apparire inattuali, fuori dal mondo reale; sono però cruciali per le scelte in tema di politiche agricole e ambientali, in un momento in cui in Europa si sta consumando lo scontro tra conservatori e innovatori (“progressisti” è forse una parola usurata). Non è un caso che tutte le destre attacchino le politiche di sostenibilità, e Salvini non è l’unico ad additare il Green Deal come il pericolo più grave per i cittadini europei.
Il libro di Crucianelli ha quindi il merito di rompere un prolungato silenzio su questi argomenti, mettendo le mani in quelli che sono diventati veri e propri tabù, anche per la sinistra. “Resta inquietante l’assenza di attenzione politica rispetto all’urgenza di rivedere, nella sua interezza, l’attuale prevalente modo di produrre – ha scritto di recente Luciana Castellina sul “manifesto” –,un modo di produrre che, se non cambia, ci condurrà a una generale catastrofe, che non potrà che essere accelerata e resa più drammatica per le aziende di piccole dimensioni che andrebbero invece aiutate ad affrontare seriamente la transizione, anziché illuderle che i pericoli denunciati sono solo ideologismo”.