L’interessamento della destra ai tribunali militari si notava già prima delle elezioni del 2022. Quanto all’estensione della giustizia militare, sino a comprendere i crimini internazionali – come i crimini di guerra, il genocidio e i crimini contro l’umanità –, presenterebbe difficoltà serie (vedi qui). Ma adesso arriva anche una proposta incongrua.
A maggio, in campagna elettorale per le europee, al Senato è stato presentato il disegno di legge 1135, firmato da dodici parlamentari di Fratelli d’Italia. Punisce i “crimini sessuali perpetrati contro le donne nel corso di un conflitto armato”. Inspiegabilmente, i reati sessuali su maschi, anche bambini, restano fuori; eppure l’Onu denuncia, specialmente ora, stupri di femmine e di maschi, anche minorenni (vedi qui). Persino il testo di presentazione del disegno di legge cita la Convenzione di Lubiana-L’Aia del 2023, che sulle violenze sessuali non mette limiti di genere. Quei limiti creano problemi quando la vittima ha le apparenze di un genere, ma non vi si riconosce, o ha entrambe le apparenze, o non si riconosce in alcun genere. Ma chiedere alla destra attenzione per queste persone è volere troppo.
L’iniziativa ha un certo sapore di pinkwashing, cioè di uso politico di una protezione delle donne più apparente che reale. E infatti manca lo studio di una proposta ragionata. Del resto, a fine marzo, alla conferenza in ambito Onu sui crimini sessuali in guerra, a cura di una struttura di esperti rivolta dichiaratamente alla rule of law, il rappresentante italiano non aveva parlato della proposta di legge 1135. È comparsa poche settimane dopo. Il reato è inserito nel codice penale e non nei codici penali militari, né di pace né di guerra. Sono competenti i giudici ordinari, ma è prevista la giurisdizione militare se gli accusati sono militari; questo, però, solo se sono militari italiani, cioè delle forze armate italiane. Il rompicapo non viene spiegato.
La presentazione cita lo Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale, e prova a riepilogare il tema con un suntino. Per chiedere ascolto, fa tre esempi di reati sessuali, con salti spazio-temporali degni di un acrobata: gli stupri dell’Armata rossa a Berlino, quelli in Ruanda e quelli in Congo. L’Armata rossa a Berlino sembra un ricordo così dominante che gli stessi fatti, compiuti dai militari dell’Urss in altre località tedesche, non ci sono. Si può parlare, poniamo, di stupri sovietici a Wannsee? Bel posto, quasi a Berlino. Ma forse ricorda qualcosa di troppo grave: una certa riunione del 1942 fra criminali come Reinhard Heydrich e Adolf Eichmann, esiziale per milioni di ebrei.
Nella presentazione ci sono le violenze rimaste di là dal Sahel o arrivate in Europa dal rosso Oriente. Ma senza andare lontano, i senatori avrebbero potuto ricordare gli stupri nazisti in Italia; furono moltissimi, malgrado la leggenda del gelido germano, e risultano da fonti insospettabili: verbali dei carabinieri, dopo la Liberazione. Si potevano ricordare anche le “marocchinate” fatte dalle truppe coloniali alleate, con tante vittime, giovani e no; è indimenticabile il film La ciociara, ma in realtà colpirono anche maschi. Oppure gli stupri italiani nei Balcani, in Africa e in Unione sovietica.
Visto che la presentazione ricorda i bambini nati dalle violenze in Ruanda, veniva naturale citare un caso europeo: il trattamento fatto dai tedeschi alle donne norvegesi, e quello ingeneroso fatto dalla Norvegia, successivamente, ai bambini nati da quelle unioni forzate o non spontanee. Ci voleva anche un cenno al Lebensborn: quell’organizzazione nazista, non dedita allo stupro ma allo sfruttamento della povertà, alla propaganda e alla manipolazione, abusava delle donne in nome della natalità e della razza. Ma i presentatori del progetto guardano altrove. Chissà perché.
Il nuovo reato esisterebbe solo in presenza di un conflitto armato. Quindi lascerebbe fuori i fatti commessi in regimi che hanno saldo il potere, anche se c’è un’opposizione vivace, ma non in armi. Le dittature stabili non sono disturbate da questa proposta, neanche se usano il corpo delle donne o trafficano coi bambini, come nei regimi sudamericani novecenteschi e nella Spagna franchista.
Perché, invece di ritagliare un reato e fare pinkwashing, non si legifera bene con un codice dei crimini internazionali? Il progetto di codice, dopo due collegi di esperti, da marzo 2023, è insabbiato per motivi opachi (vedi qui ). Adesso si propone solo qualcosa e si trascura il lavoro di accademici e magistrati.
A proposito di giustizia militare per i processi su stupri di donne; fuori discussione la professionalità individuale dei magistrati, vediamo. Nella giustizia ordinaria le donne entrarono nel 1965 e, dopo pochi anni, ebbero i primi incarichi direttivi. In quella militare sono entrate nel 1992 e negli incarichi direttivi non ce n’è ancora neanche una. Solo due donne hanno funzioni semidirettive, e solo in primo grado. Tutti gli uffici superiori, giudicanti e requirenti, sono diretti da uomini. La differenza è incolmabile, oggi: una donna presiede la Cassazione, la Corte costituzionale ha già avuto due donne presidenti.
Al momento, se una donna chiedesse giustizia per stupro ai tribunali militari, avrebbe di fronte un collegio presieduto molto probabilmente da un uomo in primo grado, e certamente da un uomo in appello; in Cassazione ci sarebbe un collegio della magistratura ordinaria, ma l’ufficio requirente sarebbe di magistrati militari, tutti uomini.
La coincidenza di tre cose – sessualità, crimine internazionale e giustizia militare – sa di già visto. Negli anni Cinquanta, nel caso noto come “L’armata s’agapò”, Renzo Renzi e Guido Aristarco – cineasti, non soldati – finirono davanti ai tribunali militari per il progetto di un film sul comportamento sessuale delle truppe italiane in Grecia. Fra i contraccolpi della vicenda ci furono una legge che ridimensionò la giustizia militare e il libro Dall’Arcadia a Peschiera: Il processo s’agapò (Laterza, 1954); nel volume Piero Calamandrei parlò di “sordità costituzionale di certe magistrature”. Ma oggi vale la pena rileggere anche Renzi, in quel libro: “Il fascismo era la patria. Com’era possibile rovesciare il fascismo senza rovesciare anche la patria, religiosa comunità degli italiani? (Simili giochetti sono di moda anche oggi da parte di chi si identifica con la patria, quindi esige il massimo rispetto)”. Ricorda niente?
Su una cosa la presentazione a corredo del progetto ha una ragione sacrosanta: anche il corpo della donna è il luogo della guerra. Vero, verissimo. Allora, va evitato che diventi il luogo della contesa politica e delle iniziative di partito in campagna elettorale.