Il presidente keniano, William Ruto, ha dovuto fare marcia indietro dopo avere soffocato nel sangue la protesta della cosiddetta generazione Z, quella dei “nativi digitali”, ribellatasi a nuove tasse ma non solo. Il bilancio delle brutalità poliziesche contro i manifestanti, scesi nelle strade dalla metà di giugno, si fa sempre più pesante con l’arrivo di nuove segnalazioni. L’ultimo rapporto, quello di Human Right Watch – in mancanza di informazioni ufficiali da parte delle autorità –, stima in almeno una trentina le persone uccise nella sola giornata di martedì 25 giugno, che ha visto la folla assaltare il parlamento. Le vittime sono distribuite in diverse città, non solo a Nairobi, e risultano colpite da proiettili d’arma da fuoco. Di fronte a notizie di massacri circolate sui social – la cui veridicità rimane incerta, ma che comunque non intaccano la gravità di quanto finora accertato – da più parti si è invocata un’inchiesta internazionale indipendente. Inoltre, ci sono state centinaia di arresti, e la Corte suprema ha autorizzato l’impiego dell’esercito per mantenere l’ordine.
La protesta è iniziata quando il parlamento del Kenya, il 13 giugno, ha esaminato la legge finanziaria che doveva essere approvata entro la fine del mese, poiché l’anno fiscale in Kenya inizia il 1° luglio. Su proposta del governo, la legge ha introdotto nuove tasse. Si trattava di tasse su beni essenziali: rialzo dell’Iva al 16% sul pane, sul trasporto dello zucchero, sul trasferimento di denaro tramite telefono, e al 2,5% sui veicoli a motore. A metà giugno, ci sono state le prime manifestazioni di un movimento del tutto spontaneo, che si è dato come nome Occupy Parliament, subito represso in modo violentissimo nella capitale Nairobi. Il governo ha fatto un primo passo indietro, annunciando, il 18 giugno, il ritiro dei balzelli più odiosi, ma introducendone altri. Il governo ha bisogno di soldi per far quadrare il bilancio dello Stato, il cui deficit è attualmente del 5,7% del Pil e che vorrebbe ridurre al 3,3%, mentre il debito pubblico è pari al 70% del Pil. Ha deciso per questo di prendersela con i meno abbienti.
Così, mentre in parlamento continuava la discussione sulla legge finanziaria e il presidente Ruto prometteva di non tollerare la violenza e l’anarchia, la protesta è immediatamente ripartita. Più forte che mai, attaccando, nella giornata del 25, lo stesso parlamento rimasto sordo alle richieste, ed estendendosi praticamente a tutto il Paese. A questo punto, Ruto ha di nuovo scatenato la polizia. Il primo bilancio è apparso subito tragico – si parlava di ventidue vittime –, superato dalle inchieste successive. In un momento di sussulto, di fronte anche alle reazioni internazionali (Nairobi è la capitale africana meglio coperta dai media internazionali), all’indomani delle proteste, Ruto ha preso la decisione di ritirare la legge finanziaria, senza peraltro riuscire a fermare i manifestanti, che si sono nuovamente dati appuntamento il 27 per commemorare le vittime.
Alla testa della mobilitazione, ci sono i giovani nati attorno al 2000, che si muovono al di fuori dei partiti tradizionali, comunicando tra loro attraverso i social. Ma sono coinvolti anche altri strati della popolazione, stanchi della politica di austerità condotta da Ruto a partire dalla sua controversa elezione a presidente (nell’estate 2022). La promessa della distribuzione della ricchezza e del superamento delle disuguaglianze è stata contraddetta dall’introduzione sistematica di nuove tasse, dal perdurare delle disuguaglianze, da una classe politica poco propensa ad ascoltare, che non perde alcuna occasione per mostrarsi ricca e privilegiata. Non è la prima volta che il Kenya vede i manifestanti scendere nelle strade: la novità è che non sono diretti da leader politici, né la loro mobilitazione è su base etnico-tribale o regionale. Le rivendicazioni, del resto, non si limitano alle sole tasse, che sono state il detonatore di un malcontento più generale, e hanno adesso come obiettivo lo stesso Ruto, a cui i giovani chiedono di andarsene.
La sfida per tutti i protagonisti comincia ora. I giovani sono collegati con i social, senza avere avuto il modo di strutturarsi, sapendo che i leader politici cercheranno di strumentalizzarli per regolare gli equilibri di potere. Al presidente il compito di far quadrare i conti dello Stato, senza scatenare nuove proteste. Il Kenya ha ricevuto a gennaio dei crediti dal Fondo monetario internazionale (quasi un milione di dollari), e dovrà onorare gli impegni circa il contenimento del debito. C’è anche la Cina che reclama il suo, e forse per questo Ruto ha decisamente spostato il Paese verso Occidente, attraverso un’intensa campagna diplomatica. Il 24 giugno, alla vigilia della grande protesta, il presidente Biden designava il Kenya quale maggiore alleato non Nato degli Stati Uniti, ai fini della legge sul controllo delle esportazioni di armi. Il quadro economico, tuttavia, non riserva margini di manovra: già in marzo e aprile, Ruto ha dovuto far fronte allo sciopero del personale medico e paramedico, che reclamava un adeguamento degli stipendi bloccando la sanità pubblica.
Un paradosso della sua politica è che, mentre la protesta veniva repressa nel sangue, arrivava a Haiti il primo contingente della polizia keniana per contribuire all’ordine e alla sicurezza del Paese, nel quadro di una missione internazionale multilaterale. Ma queste forze di polizia si sono da sempre distinte per la loro estrema violenza, tanto da avere sollevato a più riprese la richiesta di indagini e seri provvedimenti, da parte delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani.