Potrà farcela il cartello delle sinistre, rinato come l’Araba fenice dopo la dissoluzione della precedente Nuova unione popolare ecologica e sociale, a fermare l’onda nera francese? Nulla di più incerto. Allo stato dei fatti, una maggioranza almeno relativa di estrema destra, con l’apporto di una componente della ex destra moderata di Les Républicains, appare inevitabile nella prossima Assemblea nazionale. Ma una parte delle sinistre potenzialmente dialogante con il partito presidenziale – mettendo in un angolo il reprobo Mélenchon, settario leader della sinistra radicale – potrebbe dare vita a una maggioranza parlamentare insieme con i centristi di Macron. Tutto sta a vedere come questi usciranno dalle elezioni: che arrivino in terza posizione, dopo l’estrema destra e le sinistre, è scontato – ma con quanti deputati? A questa prospettiva può comunque mirare Macron, l’altra essendo, piuttosto, quella di una “coabitazione” con un governo di destra, il quale, però, in mancanza di una maggioranza assoluta, si troverebbe sotto il doppio vincolo del presidente (che è il capo del governo, secondo la Costituzione gollista) e di maggioranze da costruire in parlamento sui singoli provvedimenti con i centristi macroniani. Nei due casi, come si vede, una vittoria di Pirro per Marine Le Pen e i suoi. Ed è su questo tavolo – rischioso ma non impossibile, stando alle forze in campo – che ha puntato l’avventurosa decisione di sciogliere l’Assemblea e indire elezioni anticipate.
Nel piccolo marasma francese spicca la decisione dell’ex presidente Hollande di ripresentarsi candidato nella sua circoscrizione centro-meridionale della Corrèze. Sembrava che la vecchia fonte del disastro socialista si fosse fatta da parte, invece sta rientrando nei giochi. Ha ancora una metà del partito con sé, quella che si è opposta all’unità con Mélenchon in passato, e che adesso l’accetta, sia pure a malincuore, per fare sbarramento alla destra estrema.
L’uomo fu il primo artefice dei destini di Macron, chiamandolo al governo nel ruolo chiave di ministro dell’Economia (per realizzare la “politica dell’offerta”, un’espressione che significa, di fatto, compressione della domanda interna e via libera a tutte le attività imprenditoriali). Poi, quando Macron cominciò a fargli le scarpe, abbastanza intelligentemente evitò di ripresentarsi alle presidenziali, visti anche i sondaggi negativi. Diede così un avallo indiretto all’operazione centrista macroniana, salvo poi costantemente criticarla. Ora può ripresentarsi in parlamento non solo come candidato unico, nel suo collegio, delle sinistre (che hanno assunto il vecchio nome glorioso di “fronte popolare”), ma anche come principale interlocutore socialista del macronismo nel prossimo parlamento. Come forma di ringraziamento anticipato, i macroniani non gli opporranno alcun candidato: sarà un duello tra Hollande e l’estrema destra fin dal primo turno, e l’ex presidente vincerà agevolmente.
Il Partito socialista sarà probabilmente un protagonista dei giochi che verranno. Una bella soddisfazione per il suo segretario, Oliver Faure, che due anni fa volle fortemente l’alleanza con Mélenchon, sia pure in una situazione di subalternità, e adesso può puntare a ben più della trentina di deputati uscenti. Infatti la France insoumise di Mélenchon ha dovuto concedere ai socialisti, nella ripartizione delle candidature uniche di sinistra, un centinaio di posti in più (sia pure, ovviamente, non tutti sicuri) rispetto alle elezioni del 2022. E questo in virtù del 13,8% raggiunto dai socialisti alle europee, in cui però il candidato principale, non interno al partito, era quel Raphaël Glucksmann contrario a qualsiasi melenchonismo. In altre parole, giocando un po’ più a destra o un po’ più a sinistra a seconda dei casi, i socialisti francesi si stanno lasciando alle spalle la drammatica crisi in cui erano precipitati.
Com’è evidente, tutto dipenderà dai numeri che ci saranno in parlamento – anche da quelli di una relativa riuscita della France insoumise rispetto ai suoi alleati. Se il partito di Mélenchon sarà ancora quello di maggioranza relativa all’interno del cartello delle sinistre, potrà avere un qualche ruolo, se non altro un potere di interdizione, diciamo così. In questo caso, Macron giocherà la carta della “coabitazione” con l’estrema destra; diversamente, potrebbe esserci una specie di centrosinistra. In nessuna delle combinazioni possibili, si profila tuttavia un governo del “fronte popolare” in “coabitazione” con il presidente. Le aspirazioni del popolo di sinistra andranno deluse. Mélenchon si è collocato (soprattutto da ultimo) in una posizione contestata da alcuni perfino all’interno del suo stesso partito. E i socialisti hanno troppe riserve mentali nei confronti dell’alleanza con lui, cui pure sono costretti, e soprattutto sono troppo manovrieri, per non tentare altre carte se minimamente ne avranno la possibilità.
Post-scriptum (19/6/24) – È d’obbligo una correzione. Nell’articolo si dice che nella Corrèze i centristi macroniani non hanno presentato alcuna candidatura per favorire quella dell’ex presidente socialista Hollande, che si presenta sotto le insegne delle sinistre unite. Non è così. Essi hanno dato indicazione di voto per il deputato uscente appartenente alla destra moderata (quella cioè non schierata con il Rassemblement national). In questa scelta ha giocato di sicuro l’antica ruggine tra Macron e Hollande; ma è chiaro, più ancora, il tentativo disperato di costruire un blocco centrale recuperando il più possibile a destra. Macron pone l’unità delle sinistre, in quanto condizionata dalla France insoumise di Mélenchon, sullo stesso piano della destra lepenista, in una lotta contro le “estreme”. E questa strategia dovrebbe realizzarsi collegio per collegio, cioè non presentando candidature dove c’è da sostenere un candidato locale considerato recuperabile. (Si ricordi che il macronismo, del resto, non ha il minimo radicamento territoriale).