Come voteranno i lavoratori? Continuerà la fuga dalla sinistra e l’esodo verso i partiti di destra? E soprattutto, sarà ancora più evidente la “dissociazione” elettorale di chi vota partiti che vanno contro i propri interessi? Potremo rispondere a queste domande solo da lunedì prossimo, utilizzando le analisi del voto e dei flussi elettorali. Nel frattempo, però, possiamo prendere in considerazione alcuni dati e tendenze in atto.
Il primo dato riguarda i numeri di chi lavora. Secondo le rilevazioni statistiche, sono circa 197 milioni gli occupati nell’Unione europea (dati 2022), pari al 40% circa della popolazione europea complessiva, anche se la distribuzione nei vari ambiti è molto disomogenea. Il settore con più lavoratori è quello manifatturiero. La maggior parte di questi ha un contratto a tempo indeterminato, e una percentuale notevole di quelli che una volta si chiamavano “garantiti” ha una tessera sindacale. Il 12% degli occupati ha invece un contratto a tempo determinato, con punte che arrivano anche a circa un quarto della forza-lavoro, come per esempio nei Paesi Bassi, dove la quota dei contratti a tempo è arrivata al 23%. Anche in Italia, come sappiamo, la precarietà e il lavoro povero raggiungono quote sempre più alte, nonostante la propaganda del governo Meloni che parla del record dell’occupazione “stabile”.
Un dato molto importante riguarda proprio il lavoro a tempo. In Europa, dove si guadagna comunque mediamente più che in Italia, il contratto a tempo determinato riguarda soprattutto i giovani e le persone che hanno un livello di istruzione più basso, e le differenze di genere sono molto forti, visto che il primato dei contratti precari continua a spettare alle donne. Dai dati dell’Eu Labour force survey (rilevamento sulla forza-lavoro) di Eurostat, veniamo a sapere che circa un lavoratore su otto ha un impiego a tempo determinato. Nel 2022, si registrano in Europa circa ventiquattro milioni di lavoratori il cui principale lavoro è a termine.
Una prima considerazione riguarda quindi il voto di questi lavoratori precari, in particolare i giovani. I sindacalisti andati in giro per l’Europa per tentare di invertire la tendenza all’astensionismo sostengono che, tra i giovani, sta crescendo l’idea che è meglio votare che guardare dall’altra parte. “Tra i giovani c’è una mentalità europeista più definita, perché frequentano da vicino l’Europa per motivi di studio e lavoro”, ci dice Anna Maria Romano, presidente del sindacato globale della finanza, Uni Global Finance. Secondo la sindacalista, in questa tornata elettorale, è aumentata la percezione della vera posta in gioco, ed è probabile che si potranno avere sorprese anche sui risultati elettorali del partito del non voto. La percezione dell’Europa, dopo le scelte sulla distribuzione dei farmaci e il sostegno al lavoro durante la pandemia, sta cambiando. Dalle rilevazioni fatte sul campo, ma anche dai dati delle statistiche ufficiali, risulta una spinta del voto dei giovani verso un’Europa che combatta finalmente le diseguaglianze (invertendo la rotta dell’austerità) e sviluppi le politiche della transizione ecologica.
Anche nelle file del sindacato tradizionale, e quindi dei più anziani, cresce la domanda di cambiamento in senso progressista. “Un voto per i partiti e gli schieramenti che hanno difeso il lavoro e il welfare nella scorsa legislatura, e si impegnano a farlo in quella che viene. Un voto contro l’austerità 2.0 e per dire no alle nuove regole della governance”. Lo chiede la Confederazione europea dei sindacati (Ces) agli elettori dei ventisette Stati membri (circa 375 milioni gli aventi diritto). “Queste elezioni (decimo appuntamento elettorale europeo dal 1979) saranno le più importanti degli ultimi anni”, ha spiegato la Ces presentando il suo Manifesto in dodici punti: “Decideranno se l’Europa rimarrà sulla strada del progresso e della solidarietà come ha fatto in risposta alla crisi da Covid-19, sostenendo i lavoratori e le loro comunità o se tornerà alle politiche di austerità”. Per il sindacato europeo, sono stati principalmente tre, i motori del “rinascimento” dell’Europa sociale. Li citano Esther Lynch (segretaria generale della Ces) e Bart Vanhercke (direttore del dipartimento di ricerca Etui) introducendo il rapporto: il pilastro europeo dei diritti sociali: “un approccio innovativo alla spesa dell’Ue e un allentamento temporaneo del quadro fiscale; e l’impegno del Green Deal europeo per una transizione giusta”.
Sul sito giornalistico della Cgil, “Collettiva.it”, Davide Orecchio ha raccontato le proposte del sindacato europeo, che vanno dalla creazione di posti di lavoro e redditi migliori alla fine del lavoro precario, garantendo i diritti legali ai lavoratori con contratti a tempo indeterminato e al lavoro a tempo pieno, e vietando gli stage non retribuiti. Al punto 4 del Manifesto della Ces, si chiede di “migliorare ed estendere l’applicazione della legislazione Ue in materia di salute e sicurezza sul lavoro e altre iniziative europee per arrivare a zero morti sul lavoro o causate da malattie professionali), mentre, al punto 5, si invitano i partiti a respingere le politiche di austerità. C’è spazio anche per la difesa dei migranti, per i quali si chiede “un approccio equo basato sul diritto alla migrazione e all’asilo”.
La Cgil, per quanto riguarda l’Italia, è scesa in campo direttamente con un appello agli elettori “affinché partecipino, votino, scelgano consapevolmente i propri rappresentanti al prossimo parlamento europeo”. La confederazione di Corso Italia ricorda che il parlamento europeo è “l’unica istituzione di governo dell’Unione europea eletta democraticamente dai cittadini. Dalla sua formazione deriverà quale indirizzo politico generale si darà l’intero continente nei prossimi cinque anni: davanti alle grandi sfide globali, si determinerà quale modello economico, sociale e culturale il ‘vecchio continente’ deciderà di far prevalere per indirizzare il proprio governo interno e le relazioni con il resto del mondo”. Secondo la Cgil, la crescente disaffezione al voto rende tutti più deboli: cittadini, forze politiche e istituzioni. Per questo è necessario affrontare “i temi concreti che riguardano la vita di milioni e milioni di persone, che si contrappongano proposte concrete e realizzabili, che si coinvolgano i cittadini nel determinare le scelte di cambiamento necessarie al benessere collettivo”.
Ma come si pongono i partiti rispetto a questi temi “concreti”? In una nota dell’ufficio europeo della Cgil (a cura di Stefano Palmieri, Area delle politiche europee e internazionali e vicepresidente della Sezione economica al Comitato economico e sociale europeo Ces), si analizzano le posizioni e le decisioni prese dal parlamento europeo. Un primo banco di prova esemplificativo è rappresentato dalla Risoluzione per combattere la povertà lavorativa. Ebbene, sia Identità e democrazia, gruppo in cui milita la Lega, sia Conservatori e riformisti europei, in cui è presente Fratelli d’Italia, hanno mostrato una forte opposizione alla risoluzione volta a combattere la povertà lavorativa. Il gruppo della Lega, con il 62%, ha votato contro, e con il 37% si è astenuto; mentre quello in cui milita Fratelli d’Italia ha espresso il 57% di astensioni e il 30% di voti contrari. Anche su tutti gli altri temi sociali, e sui provvedimenti che riguardano il lavoro, le destre si sono sempre schierate con la conservazione e a favore delle logiche del mercato finanziario. Sulla Direttiva sul salario minimo, per esempio, sia Identità e democrazia sia i Conservatori e riformisti, hanno votato in maniera preponderante contro: la prima con il 69%, i secondi con il 36%, oppure si sono astenuti. Scenari analoghi sulla Direttiva sulla trasparenza delle retribuzioni nella Unione, e anche sulla proposta di istituire un Fondo sociale climatico per sostenere le famiglie vulnerabili soggette a una povertà energetica. Stesso discorso riguardo alle proposte per migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori delle piattaforme, e sulla proposta di una tassazione minima per le imprese multinazionali. Una proposta, questa, che ha visto il voto favorevole, intorno al 100%, dei verdi, del gruppo dei socialisti e democratici, dei liberali di Renew e dei popolari; mentre Identità e democrazia e Conservatori e riformisti sono i due raggruppamenti la cui opposizione oltrepassa la soglia del 25%, la prima con il 25% di no, i secondi con 50% di no e il 40% di astenuti.
Chi avrebbe dunque interesse a votare oggi queste coalizioni di destra, nazionaliste e xenofobe, dopo l’inversione di tendenza, almeno iniziale, dell’Europa sociale dovuta alla pandemia e alla guerra? È su questo punto (come ci ha spiegato Alessandro Portelli, nel suo ultimo libro su Terni, Dal rosso al nero) che si manifestano le contraddizioni più forti all’interno delle classi lavoratrici. “Il gruppo davvero determinante – spiega uno studio Etui (l’Istituto sindacale europeo, centro indipendente di ricerca e formazione della Confederazione europea dei sindacati) – è quello degli elettori periferici”, meno ideologici, “più opportunisti e meno leali, spesso motivati dal desiderio di esprimere il proprio malcontento e/o di protestare contro i partiti e le istituzioni dominanti. Quest’ultimo gruppo è spesso guidato da considerazioni economiche”. Perché “l’insicurezza economica crea insoddisfazione politica”, e la tappa successiva è votare più a destra che puoi. Sono gli “sconfitti della modernizzazione” e della globalizzazione economica. Sconfitti dalle tante parole che abitano le democrazie capitaliste: liberalizzazione, finanziarizzazione, internazionalizzazione dei mercati, deindustrializzazione. Ma sconfitti, al tempo stesso, dalle politiche mainstream degli ultimi decenni, precisa l’Etui. I governi, anche guidati dalle sinistre, non hanno fatto molto per arginare il lavoro povero, precario, atipico, l’emarginazione, la povertà. Grandi assenti: le politiche salariali e sociali. Le disuguaglianze sono aumentate. La mobilità sociale si è fermata. Si è aperto così uno spazio politico enorme per i partiti di estrema destra, che sanno però vendere solo demagogia e pratiche politiche opposte a quelle che favorirebbero le classi più povere.
Ci sono i segnali di una controtendenza? Si sono manifestati conflitti che potrebbero incidere anche sul voto? Un piccolo caso, sempre per rimanere in ambito sindacale, riguarda lo sciopero dei lavoratori di Tesla in Svezia. A maggio, il più grande sindacato svedese si è schierato a favore di uno sciopero di sei mesi dei meccanici di Tesla. Il fulcro della disputa, tra le più lunghe della storia svedese, è il rifiuto dell’amministratore delegato di Tesla, Elon Musk, di firmare un accordo di contrattazione collettiva che permetta al sindacato di stipulare accordi riguardanti l’intera forza-lavoro. Il mese scorso, Musk ha affermato che la tempesta lavorativa era passata nel Paese in cui la Model Y di Tesla è l’auto più venduta; ma è stato smentito da un rappresentante del sindacato dei metalmeccanici (If Metall) che ha affermato che lo sciopero sarebbe continuato. “Lo sciopero è in corso e non ci sono segnali di un accordo nel prossimo futuro”, ha dichiarato Marie Nilsson, responsabile dell’If Metall. Come voteranno dunque i metalmeccanici svedesi? Come voteranno i precari?
Trent’anni fa, il socialdemocratico tedesco Peter Glotz ammoniva la Spd circa la necessità di contrastare la “società dei due terzi”, in cui l’economia garantisce benessere a una maggioranza stabilizzata, ignorando il terzo di popolazione escluso. Oggi è evidente che la somma degli esclusi è molto più vasta e interclassista di allora, e dovrebbe essere (almeno sulla carta) più determinata a manifestare il proprio malessere. Ma questo si tradurrà in un voto contro la destra? Vedremo. Intanto il sindacato è in campo anche nelle battaglie contro il ritorno di tentazioni autoritarie e fasciste. La Cgil, a nome della Rete sindacale internazionale antifascista, nata subito dopo l’attentato neofascista a Corso Italia nell’ottobre 2021, ha organizzato, per il 20 giugno prossimo, un webinar dal titolo “Sindacati contro l’estrema destra: proteggere l’autodeterminazione e i diritti Lgbtqia+ sotto attacco globale”, e, nei giorni scorsi, la conferenza guidata da Maurizio Landini ha chiamato a raccolta online la rete mondiale del sindacato per discutere dei referendum contro il Jobs Act.
Nella foto: lavoratori in sciopero alla Tesla svedese