Per la prima volta dall’avvento della democrazia, trent’anni fa, il partito di Nelson Mandela, l’African National Congress (Anc), non ha più la maggioranza assoluta dei seggi nel parlamento eletto il 29 maggio. Sarà costretto a un governo di coalizione. Quali le cause? Quali le prospettive? Il risultato era ampiamente previsto da almeno un anno, e le urne lo hanno confermato. L’Anc arriva in testa, ma col 40,2%, seguito dall’Alleanza democratica, col 21.8%, e dal Mk di Jacob Zuma col 14.6%. Quest’ultimo, già presidente e costretto alle dimissioni per gli scandali di corruzione in cui è stato coinvolto, ha consumato la sua vendetta sull’Anc, suo ex partito che lo aveva escluso dalle liste, sottraendogli la maggioranza assoluta dei seggi. Ed è una delle forze in ballo per una possibile coalizione, sebbene Zuma sia stato anche il primo a contestare i risultati e a chiedere l’annullamento del voto.
La sconfitta dell’Anc viene da lontano. Il movimento che, per quasi un secolo, ha combattuto il governo dei bianchi e l’apartheid non ha saputo mantenere le promesse di rimuovere la povertà e promuovere l’uguaglianza. Il Paese, liberato dall’apartheid imposto dal regime dei bianchi, si ritrova, trent’anni dopo, ad averne costruito una sorta di nuovo modello. Il Sudafrica è infatti il Paese col più alto indice della disuguaglianza di reddito al mondo (vedi qui). Non si tratta solo del persistere delle differenze tra la popolazione nera e la minoranza bianca, che ha un reddito cinque volte maggiore. Alla miseria dei quartieri popolari si contrappone la ricchezza della borghesia nera, talvolta appena dissimulata nei cosiddetti villaggi di sicurezza dove si è trincerata, come quella bianca, per difendere i propri privilegi e vivere indisturbata.
Il malessere sociale può essere descritto brevemente mediante alcuni dati: la disoccupazione è ufficialmente al 26,7%, ma quella dei giovani è praticamente il doppio. L’inflazione è al 5,1%. L’insicurezza è diffusa in tutto il Paese (27.500 omicidi nel 2019), con una tendenza ad aumentare. L’economia del più industrializzato Paese africano è stata frenata dai continui blackout di elettricità, che hanno messo in gravi difficoltà le imprese e le famiglie. La causa del razionamento forzato dell’elettricità è nella mancanza di manutenzione e nella cattiva gestione dell’impresa statale che la gestisce.
Gli analisti concordano nel ritenere che la motivazione principale di questo stato di cose stia nella corruzione elevata a sistema, a partire dalla presidenza di Jacob Zuma (2009-18), in quello che è stato definito State Capture, la “cattura” dello Stato da parte di una élite che ha violato sistematicamente la Costituzione e la legge al servizio di un progetto politico di accaparramento della ricchezza. Il risultato è che il sistema Paese non ha più funzionato, e le forti disuguaglianze si sono approfondite nel corso degli anni.
L’Anc ha incarnato questo sistema, da cui non è riuscito a liberarsi neppure con l’avvento alla presidenza di Cyril Ramaphosa. Il suo tentativo di riformare l’Anc è sostanzialmente fallito, e l’esito delle elezioni ne è la certificazione. La crisi dell’Anc, che si trascina da anni, ha portato alla nascita di movimenti populisti, come quello di Julius Malema, che ha fondato il partito dei Combattenti per la libertà economica. Lo stesso Zuma ha ripreso per il suo partito il nome della formazione militare dell’Anc, la “Lancia della nazione” (“uMkhonto weSizwe – Mk”), e i voti che gli sono arrivati dimostrano che la sua popolarità non è venuta meno, malgrado i processi e il fatto che la Corte costituzionale lo avesse dichiarato ineleggibile a dieci giorni dal voto.
È in questo panorama politico che l’Anc deve trovare degli alleati di scopo per formare un governo, ma, prima ancora, per un accordo per l’elezione del presidente della Repubblica da parte del parlamento, prevista entro quattordici giorni dal voto. In questi giorni, le trattative si stanno susseguendo, mettendo in difficoltà lo stesso Anc, nel quale convivono diverse anime e sensibilità. Il presidente uscente Ramaphosa si è proposto per un nuovo mandato.
Il secondo partito del parlamento, l’Alleanza democratica, è una forza liberale in cui si riconosce la minoranza bianca. I suoi seggi sarebbero sufficienti all’Anc per governare. Ma il partito di Mandela si tirerebbe addosso l’accusa di piegarsi al mondo degli affari e alla borghesia; e ci sarebbero delle conseguenze anche sul piano della politica estera: l’Alleanza democratica, infatti, non condivide l’offensiva giudiziaria presso la Corte internazionale di giustizia (vedi qui), in generale la politica anti-israeliana (vedi qui), e rimetterebbe in causa il sostegno alle lotte di emancipazione (si pensi al sostegno dato dal Sudafrica al diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi).
Un’alleanza col suo nemico giurato, l’ex-presidente Jacob Zuma, appare davvero difficile, data la vendetta consumata. È anche vero che la sete di potere dell’82enne leader potrebbe riservare qualche sorpresa, per esempio se Ramaphosa rinunciasse al secondo mandato. Il quarto arrivato, il partito di Julius Malema, rappresentante in un certo senso di una sinistra radicale populista, si è detto disposto a collaborare con l’Anc, e tuttavia non garantirebbe a quest’ultimo una maggioranza in parlamento.
Una cosa è certa: il Sudafrica dal 29 maggio è diventato un laboratorio politico per l’Africa. Il più vecchio partito politico africano – l’Anc è stato fondato nel 1912 –, per la prima volta da quando è arrivata la democrazia nel 1994, si deve confrontare con un parlamento composito. Fa così ingresso in un panorama dominato da populismi e spinte autoritarie, anche nella culla della democrazia, come l’Europa e gli Stati Uniti stanno dimostrando. Se il Sudafrica riuscirà a imboccare la strada di una democrazia matura, lo sapremo solo tra un po’ di tempo, tanto il suo sistema attuale è incrostato di disuguaglianze e corruzione.