Lamenti strozzati. Lunghi silenzi e l’incedere del nuovissimo reparto speciale – quello di “rapida reazione operativa”, anche nelle carceri minorili. Un ciclone che spazza via tutto. Anime e brande, sedie e speranze. Fa paura il mondo in cui abbiamo confinato i reietti, i malfattori, gli autori di reati. Insomma, i detenuti. Il tempo presente è scandito da rivolte, suicidi, sommosse, torture. E il governo Meloni risponde con una torsione autoritaria. Per dirla con il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, il nuovo Gruppo d’intervento operativo (Gio) “è un gruppo equipaggiato in maniera eccezionale e particolare che interverrà in tutti gli istituti penitenziari in caso di emergenze, criticità, sommosse e rivolte non fronteggiabili diversamente”.
Altro che “Colonna infame”. Vivere nelle carceri è diventato un inferno per chi è innocente e per chi non lo è. Lo ha appena scritto, in un comunicato, l’Unione delle camere penali, che protesta per “le inumane condizioni dei detenuti, per l’inefficienza del sistema, per la irresponsabile indifferenza della politica. I detenuti sono privati della dignità umana”. Gli avvocati penalisti denunciano “i decisori politici che, pur inevitabilmente consapevoli della eccezionale gravità della situazione, hanno offerto una indecorosa immagine di totale immobilismo”.
Da mesi la Conferenza nazionale dei garanti territoriali delle persone private delle libertà personali – spiega il garante della Campania, Samuele Ciambriello (vedi qui) – “ha deciso la mobilitazione per ottenere misure alternative alla detenzione. Ben ventitremila i detenuti che devono scontare ancora tre anni, novemila quelli che devono aspettare un anno per essere scarcerati”.
Come i disperati immigrati dovevano essere incriminati per “clandestinità” (un reato ridotto oggi a una sanzione amministrativa), ai detenuti adesso potrà essere contestato il reato di rivolta: “Chiunque – recita il nuovo articolo 415-bis del codice penale – all’interno di un istituto penitenziario, mediante atti di violenza o minaccia, di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti ovvero mediante tentativi di evasione, commessi in tre o più persone riunite, promuove, organizza o dirige una rivolta è punito con la reclusione da due a otto anni”. Per il solo fatto di partecipare alla rivolta, “la pena è della reclusione da uno a cinque anni”. Se il fatto è commesso con l’uso delle armi, la pena “è della reclusione da dieci a venti anni”.
Da gennaio a oggi, trentanove detenuti si sono suicidati. Rivolte dei detenuti, e arresti per torture di decine di agenti della polizia penitenziaria o dirigenti degli istituti penitenziari, si alternano. L’ultima protesta è del 28 maggio, nel carcere minorile Beccaria di Milano. Lo stesso in cui è esplosa un’altra protesta agli inizi di maggio (incendio di una cella con evacuazione di una settantina di detenuti). Ma soprattutto, ad aprile, furono arrestati tredici dipendenti dell’amministrazione penitenziaria; altri otto furono sospesi per maltrattamenti, lesioni e torture avvenute nel carcere minorile milanese.
In un dossier di Antigone, l’associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, si denunciano “effetti distruttivi” sul sistema della giustizia minorile, per via del “decreto Caivano”, varato dal governo Meloni all’indomani di un episodio di stupro. In quel decreto si prevede l’arresto anche per chi viene trovato con una lieve quantità di stupefacenti.
Da dodici anni, non si registrava un numero così alto di minorenni incarcerati (quasi 520). E il sovraffollamento, la mancanza di personale dell’amministrazione penitenziaria, degli psicologi e di altre figure importanti, è alla base delle proteste e dei danneggiamenti. Fino a pochi anni fa, le carceri minorili non conoscevano il sovraffollamento, e il trattamento rieducativo previsto dalla Costituzione aveva possibilità di successo.
Nel carcere palermitano Malaspina, nel marzo scorso, in un’occasione tre detenuti sfasciarono la cella e inghiottirono pile e altri oggetti; nello stesso mese furono incendiate suppellettili in un’altra cella. A Viterbo, nel carcere Mammagialla, si registrarono proteste per il sovraffollamento.
Sfogliando una rassegna stampa di questi primi mesi del 2024, si legge di “rivolte sedate” nelle carceri di Torino e di Prato. A Vigevano, roghi nelle celle e telecamere danneggiate. Nel carcere di Benevento è esplosa la protesta dopo il rifiuto del medico di visitare un detenuto. I detenuti delle celle del quarto piano hanno devastato computer, finestre, porte. Due agenti della polizia penitenziaria feriti con i vetri. Secondo le statistiche, nei primi mesi del 2024, dalle venti dell’anno scorso sono aumentate a trenta le proteste collettive. Prepariamoci al peggio.