Il Messico ha strappato agli Stati Uniti almeno un primato. Dopo duecento anni di repubblica, ha eletto la prima donna presidente del sub-continente nordamericano: Claudia Sheinbaum Pardo. Claudia, la “doctora”, è ricercatrice di fisica alla Unam (Universidad nacional autónoma de México), dove si è anche formata politicamente nel movimento studentesco. Qualcuno la ricorda nel pieno della lotta contro il rettore Jorge Carpizo, che cercò di introdurre le tasse universitarie. Era il gennaio 1987. “Chi appenderà lo striscione sull’ufficio del rettore?”, ci si chiese durante l’assemblea che conduceva la protesta. Una studentessa di fisica di 24 anni emerse dal pubblico: “Io”, disse, tra le grida di huelga huelga (“sciopero sciopero”). La giovane donna salì sul tetto dell’emblematico edificio, issò lo striscione, inaugurando la nuova protesta contro il neoliberismo che, all’epoca, nel bel mezzo di una crisi economica, stava prendendo piede in Messico e cominciava a farsi largo nella più grande università dell’America latina.
Quasi quarant’anni dopo, quella coraggiosa studentessa ha vinto le elezioni per la presidenza del Messico. Ha 61 anni, due figli, un master e un dottorato in fisica ambientale a Berkley. Da ricercatrice partecipò, con Al Gore, alla stesura del rapporto che valse nel 2007 il Nobel per la pace al Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico. È stata sindaca (chefa de gobierno) di Città del Messico. Dal 1° ottobre sarà il primo capo di Stato donna della storia del Paese. Nipote di ebrei bulgari e lituani, è stata designata dal capo di Stato uscente, Andrés Manuel López Obrador, fondatore di Morena (Movimiento regeneración nacional), partito di sinistra nazional-populista.
Facendo un’eccezione rispetto ai colori ufficiali del suo partito (il caratteristico rosso “morena”), Claudia ha scelto di indossare il viola del movimento delle donne per annunciare la sua vittoria, a capo della coalizione “Sigamos haciendo historia” (Morena, Partito del lavoro, verdi). In un Paese con tassi allarmanti di femminicidi, in cui la cultura maschilista continua a segnare le relazioni sociali, la vittoria di Sheinbaum – al di là delle sue posizioni personali sul femminismo – rappresenta un punto di svolta nella lotta per la rappresentanza femminile in politica. Secondo i risultati preliminari dell’Istituto nazionale elettorale, la neopresidente ha ricevuto tra il 58,3 e il 60,7% dei voti; Xóchitl Gálvez (sostenuta da Pan, Pri e Prd) ha ottenuto tra il 26,6 e il 28,6%; il candidato del Movimiento ciudadano, Jorge Álvarez Máynez, si è invece attestato tra il 9,9 e il 10,8%.
Morena si è affermato anche in sette degli otto Stati del sud e del centro in cui si votava per eleggere i governatori: Chiapas, Morelos, Puebla, Tabasco, Veracruz, Yucatán e Guanajuato. Solo Jalisco è andato al Movimiento ciudadano, con una maggioranza relativamente bassa (stimata al 45,1%) rispetto ai trionfi morenisti del Chiapas (82,6%) e di Tabasco (83%). A dimostrazione del radicamento di Morena non solo nelle zone povere e contadine, sta il risultato di Città del Messico: Clara Brugada vince con un risultato tra il 49 e il 52,8% su Toboada (candidato del cosiddetto Prian, come viene chiamata la coalizione di centrodestra). Inoltre, sono moreniste quasi tutte le alcaldías (municipalità) della città, soprattutto quelle più popolari e periferiche. Rimangono al Prian, invece, le alcaldías delle classi medio-alte di Coyoacán, Benito Juárez, Miguel Hidalgo e Cuauhtémoc.
Il trionfo di Morena, a tutti i livelli, permetterà a Claudia Sheinbaum di contare su una maggioranza qualificata di due terzi sia alla Camera sia al Senato, dandole via libera per approvare senza ostacoli riforme ordinarie e leggi costituzionali. Se le percentuali saranno confermate, infatti, la coalizione “Sigamos haciendo historia” avrà tra 334 e 380 deputati (sui cinquecento totali) alla Camera, e tra 76 e 88 senatori (su centoventotto), consegnandole un potere che pone ovviamente qualche preoccupazione a livello democratico. Degno di nota, è anche il tracollo del Pri, lo storico Partito rivoluzionario istituzionale che ha retto il Paese per settantadue anni (una stima di 42 deputati contro gli 80 del Pan, il Partito di azione nazionale), conseguenza del ruolo residuale svolto all’interno della coalizione che ha supportato Xóchitl Gálvez (non a caso proveniente dalle file del Pan).
Quali sono ora gli scenari che si aprono? Sheinbaum dovrà mostrare di essere in grado di governare da sola, uscendo dall’ombra del suo ingombrante predecessore. Su di lei incombe una responsabilità non indifferente: avrà il compito di attuare la grande riforma lasciata incompiuta da Amlo: la cosiddetta “quarta trasformazione” (4T) – l’ambizioso progetto chiave dell’obradorismo, che, dopo la Guerra d’indipendenza (1810-1821), la Riforma (1858-1861) e la Rivoluzione del 1910, prometteva di rinnovare dalle fondamenta la società messicana. Come abbiamo già detto qui, il governo di López Obrador, oltre a mantenere ed espandere la sua base sociale popolare, ha offerto alle classi dirigenti pace sociale e condizioni ideali per il progresso economico. Ma non è riuscito a conservare l’appoggio di gran parte delle classi medie progressiste che lo avevano sostenuto negli anni precedenti. Questo è il campo di alleanze che Sheinbaum eredita. Lei, che è una ricercatrice universitaria della classe media progressista, più tecnocratica che populista, potrebbe cercare di recuperare voti e sostegno in questi settori sociali. Così come, col tempo, potrebbe perdere il sostegno popolare tributato ad Amlo.
Dovrà, inoltre, rassicurare l’opposizione (le cui preoccupazioni abbiamo raccontato qui), e l’opinione pubblica internazionale, non facendo cattivo uso del cosiddetto “piano c” – la conquista della maggioranza qualificata nelle Camere. La maggioranza ottenuta, infatti, le permette in teoria molti “atti fondamentali” nella vita democratica del Paese, tra cui la nomina dei membri della Auditoría superior de la Federación (l’organo tecnico di controllo della Camera dei deputati), dei consiglieri e dell’organo di controllo interno dell’Istituto nazionale elettorale, oltre alla modifica della Costituzione.
Infine, Claudia non potrà evitare di confrontarsi con la violenza politica che ha attraversato il Paese negli ultimi anni, e particolarmente durante la campagna elettorale (vedi qui). La violenza endemica in Messico – così come quella sviluppatasi negli ultimi mesi in Ecuador, oltre ai recenti gravi accadimenti in Argentina e Paraguay – ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica globale (e italiana, in particolare, come ha segnalato Guido Ruotolo qui). Il fenomeno è di una tale intensità da spingere a porsi un interrogativo fondamentale: quale tasso di violenza politica si può permettere una democrazia rimanendo tale? Quando i gruppi criminali controllano tra un terzo e un quarto del territorio del Paese, muovono masse di denaro da poter coprire il debito pubblico dello Stato, non ha senso guardarli come fenomeni secondari. Ci si deve interrogare sul ruolo che svolgono nella esistenza stessa dello Stato, delle sue funzioni chiave, come il monopolio della forza militare, e soprattutto di quella simbolico-culturale su un determinato territorio.