C’è qualcosa di ripugnante nella onorificenza concessa dal presidente della Repubblica, su proposta del ministro Urso, alla signora Marina Elvira Berlusconi, che d’ora in avanti potrà essere “la Cavaliera”, come suo padre a lungo fu “il Cavaliere”, prima di cessare di esserlo a causa di una condanna per frode fiscale passata in giudicato. Marina si è detta felice, dedicando l’onorificenza alla memoria di Silvio. Peccato, però, che lei sia alla testa di un gruppo editoriale – anzi, del maggiore gruppo editoriale italiano, con una netta propensione oligopolistica – acquisito dal padre grazie all’inganno e alla corruzione: il famoso lodo Mondadori. La vicenda si prolungò per anni. I principali faccendieri berlusconiani, tra cui il mitico avvocato Previti, furono tutti condannati, mentre il Cavaliere, lui, se la cavò con una delle solite prescrizioni. In poche parole, avevano corrotto un giudice, che avrebbe dovuto esprimere un giudizio imparziale su un’operazione che vedeva uno di fronte all’altro, con interessi contrapposti, De Benedetti e Berlusconi. Alla fine, la Fininvest di quest’ultimo dovette risarcire la Cir del primo con quasi mezzo miliardo di euro.
Il “cavalierato” in fondo è poca cosa: viene dato a chicchessia. Sufficiente che uno si sia “distinto” in un’attività imprenditoriale, negli affari, per ottenere l’onorificenza. Ma nel caso del berlusconismo imprenditoriale assume una strana connotazione. È come se si dicesse: “Imbrogliate, imbrogliate, poi i vostri figli o le vostre figlie avranno un riconoscimento”. La signora Berlusconi da sé non ha fatto nulla: si è limitata a ereditare un impero, ingrandendolo con l’acquisizione della Rizzoli. A parte ciò, che suscitò pure un certo scandalo (Umberto Eco se ne andò dal gruppo, fondando con altri la casa editrice La Nave di Teseo), Marina si è semplicemente giovata del grosso imbroglio messo su dal padre.
Quando si parla di berlusconismo, si finisce inevitabilmente col parlare di malaffare. È una specie di peccato originale, che sta alle basi, da trent’anni a questa parte – cioè da quando il berlusconismo imprenditoriale è diventato anche berlusconismo politico –, dell’intera alleanza delle destre. Ma a noi interessa relativamente poco l’aspetto giudiziario della cosa.
Quello che vorremmo sottolineare, invece, è come le colpe dei padri possano ricadere sui figli, contrariamente a quello che si sente spesso ripetere come vuoto adagio. Se esiste (e non dovrebbe esistere, a nostro giudizio, almeno non nel campo delle grandi concentrazioni di capitale) un diritto automatico di successione, figli o figlie, nella misura in cui si fanno continuatori dei genitori, ereditando senza beneficio d’inventario, diventano essi stessi responsabili delle colpe dei padri. Ciò andrebbe detto e ripetuto a quegli autori, talvolta nostri amici, che non si peritano o anzi fanno a gara per pubblicare con il gruppo Mondadori, come se non fosse una centrale di inquinamento della vita pubblica italiana. In ogni senso.