Tra le cause che hanno provocato la decadenza dell’Europa, e l’insorgere di pericolosi nazionalismi, c’è stata, fin dalla caduta del Muro di Berlino, la trasformazione in senso liberista della grande sinistra socialista e socialdemocratica che, nei decenni precedenti, aveva contribuito a garantire uno Stato sociale unico al mondo, oltre ad avere un’attenzione particolare agli equilibri mondiali. L’adesione a uno sciagurato modello – quello di Tony Blair e Bill Clinton, per intenderci – ha reso impossibile la creazione di una unità europea non basata solo sull’euro, ma che avesse come priorità le condizioni di vita dalle popolazioni. Dopo trent’anni da quei fatti, che cosa ci offre la sinistra del vecchio continente? Mettendo ora da parte la straordinaria esperienza della socialdemocrazia scandinava, a farla da padroni in Europa sono stati i socialisti francesi e i socialdemocratici tedeschi, che conobbero i loro momenti migliori con la presidenza di François Mitterrand e il cancellierato di Willy Brandt.
Se in quest’ultimo caso – che affronteremo più avanti – abbiamo di fronte un partito che spesso, con alterne vicende, ha comunque garantito l’esistenza di un equilibrato modello novecentesco, in Francia l’erede della Sfio (Sezione francese dell’Internazionale operaia) ha conosciuto alterne vicende, che hanno portato il Partito socialista a risultati elettorali via via sempre più miseri, come l’1,75% alle presidenziali del 2022, con la candidata Anne Hidalgo, sindaca di Parigi. C’è però un “uomo nuovo” che potrebbe ridare slancio a un partito che, novella araba fenice, sembrerebbe pronto a risorgere per tornare a essere protagonista della politica francese. Si tratta di Raphaël Glucksmann, figlio del famoso filosofo André, che, prima a destra e ora a sinistra, voleva e vuole difendere la democrazia liberale dagli attacchi dei nazionalismi, rappresentando, nel contempo, un’alternativa alla sinistra radicale della France insoumise di Jean-Luc Mélenchon. Glucksmann aveva fondato, nel 2018, il suo partito Place publique, e con i socialisti aveva già guidato la lista dei progressisti alle elezioni europee del 2019. I sondaggi lo danno oggi in crescita, intorno al 14%, stessa percentuale della creatura di Emmanuel Macron, Renaissance (ex La République en marche), la cuicapolista è Valérie Hayer; mentre il primo della classe è Jordan Bardella, capolista del Rassemblement national di Marine Le Pen, dato a circa il 31%. Invece Manon Aubry, candidata della France insoumise, non va oltre l’8%.
Se Glucksmann sarà un leader capace di superare la politica che aveva provocato il drastico ridimensionamento del Ps a guida François Hollande, è forse presto per dirlo. Il suo passato, secondo alcuni, non lascerebbe ben sperare: “Era – ricorda caustico il sociologo collaboratore di “Le Monde diplomatique”, Pierre Rimbert – ammiratore di Nicolas Sarkozy nel 2008, conduttore della rivista neoconservatrice ‘Brave New World’, consigliere del presidente georgiano neoliberale e atlantista Mikheil Saak’ashvili”. E neppure va dimenticata la sua affermazione “non mi ha mai fatto vibrare manifestare per le pensioni”. Per diventare poi, dopo la crisi economica mondiale, un sostenitore di Occupy Wall Street, cominciando a dire “cose di sinistra”. Così ha criticato Macron per avere completamente ignorato la questione sociale, ha attaccato le multinazionali colpevoli di “rifiutare le leggi delle nazioni cercando di imporre loro le proprie”, e le banche, “salvate dal denaro pubblico per poi mascherare i propri conti e nascondere i propri fondi nei paradisi fiscali”.
Se, sul fronte della politica interna e sui temi sociali in particolare, è lecito sperare in qualche cambiamento, non altrettanto si può dire sulla politica estera. La sua origine ebraica sembra impedirgli di prendere una posizione severa contro lo sterminio in corso a Gaza per mano di Israele, essendosi unito, al contrario, al coro di chi grida all’antisemitismo contro coloro che denunciano l’operato del premier Netanyahu, come l’attivista franco-palestinese Rima Hassan, settima nella lista dei candidati della France insoumise alle europee, accusata di apologia di terrorismo. Sfiorando il ridicolo, l’astro nascente del socialismo francese ha indotto a rivolgere lo sguardo verso la questione degli uiguri (vedi qui), la minoranza musulmana dello Xinjiang perseguitata dalla Cina – oppressione certamente stigmatizzabile, ma che nulla ha a che vedere con quanto succede in Medio Oriente. Anche sulla guerra russo-ucraina la sua storia familiare gli rende “complicato” prendere una posizione, diciamo così, articolata nei confronti del conflitto, essendo stata la sua ex moglie, Eka Zgouladze, viceministra dell’Interno ucraino dal dicembre 2014 al maggio 2016. Glucksmann non sembra dissentire dalla folle politica bellicista che oggi sta intraprendendo l’inquilino dell’Eliseo, che, insieme al cancelliere tedesco e leader della Spd Olaf Scholz, ha già individuato gli eventuali territori russi da colpire con armi europee utilizzate dall’Ucraina. Un quadretto ridicolo quanto sciagurato, al quale – crediamo noi – è stato in qualche modo costretto a unirsi Scholz.
La Germania, finora, ha infatti avuto nei confronti della guerra una politica controversa e incerta. La sua storia, del resto, si è caratterizzata fin dai tempi della Ostpolitik di Willy Brandt (in carica dal 1969 al 1974) per un’attenzione particolare a quel mondo, rappresentato allora dal blocco sovietico e in particolare dalla Germania comunista. Qualche anno dopo la riunificazione, il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, alla guida del Paese dal 1998 al 2005, intrecciò rapporti molto stretti con il presidente russo Putin, fino ad accettare, alla fine del suo mandato, la nomina da parte della multinazionale energetica russa Gazprom a capo del consorzio Nord Stream AG: ruolo divenuto molto imbarazzante con lo scoppio della guerra. Senza dimenticare, poi, il lungo cancellierato (2005-2021) della esponente della Cdu, Angela Merkel, favorevole al dialogo con il Cremlino. Accusata di avere sbagliato tutto e di avere creato una grave dipendenza energetica dalla Russia, si è sempre difesa sostenendo la necessità di trovare un formato per dialogare con Mosca, cercando, senza risultati, di convincere gli alleati europei.
Con questa lunga storia alle spalle, le scelte di Scholz intorno alla guerra russo-ucraina non sono state semplici, all’insegna dell’incertezza, con non poche ripercussioni all’interno di una coalizione al riguardo divisa. Fino a pochi giorni fa, Scholz era sotto il fuoco incrociato degli alleati di governo, dei verdi, iperbellicisti, e dei liberali. Forti polemiche ha suscitato il discorso del leader parlamentare della Spd, Rolf Mützenich, che ha chiesto, timidamente, se non fosse il caso di “pensare a come congelare una guerra e terminarla in seguito”. L’ultimo cambio di rotta “macroniano” metterà a tacere ogni dissenso sulla materia, o almeno lo ridimensionerà.
Sul fronte del tema lavoro e diritti sociali, la Spd ha invece mantenuto la barra dritta. Nei giorni scorsi il cancelliere, sollecitato dai sindacati e dalla sinistra del suo partito, ha appoggiato l’importante aumento del salario minimo, portato da 12,80 euro a 14, in una prima fase, e 15 successivamente. Di solito le decisioni riguardanti la paga minima vengono prese da un’apposita commissione, formata da tutte le parti sociali, ma questa volta non è stato possibile. Ad affiancare gli industriali nella coalizione di governo sono stati i liberali, mentre i verdi si sono schierati contro. Stessa linea sul fronte della richiesta di prolungamento dell’orario di lavoro e aumento dell’età pensionabile, sostenuta ancora una volta dai liberali e dalla opposizione della Cdu, ma che ha visto i socialdemocratici decisamente contrari. Una misura che avrebbe significato anche l’abolizione di un regime che consente ai lavoratori di andare in pensione anticipata se hanno versato contributi al sistema pensionistico per quarantacinque anni.
Insomma, sia a Parigi sia a Berlino, pur nelle differenze tra i due casi, troviamo socialisti e socialdemocratici attenti alle questioni sociali: nel primo caso nelle intenzioni, nel secondo nei fatti. Ombre ci sono, invece, sulle tematiche internazionali e sui conflitti in corso. Nessuno – né in Francia né in Germania – si fa promotore di una qualche iniziativa di pace. Anzi, si mostra sulla carta geografica dove le armi europee potrebbero colpire il territorio russo, mentre, sul fronte mediorientale, si registrano iniziative repressive contro chi solidarizza con i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania. Il risultato delle europee dovrebbe dare indicazioni sui consensi che questa linea trova tra i cittadini del vecchio continente, in un clima in cui ci sono non pochi “dottor Stranamore” che si divertono a giocare a risiko.