La chiusura della campagna elettorale della “elezione più grande della storia del Messico” sarà il 29 maggio. Dopo, tre giorni di “silenzio”, fino alla fatidica data delle votazioni del 2 giugno. Muovendosi tra gli sconfinati quartieri di Città del Messico, non c’è quasi angolo di strada in cui non compaia il volto di un candidato o di una candidata. Si affiggono poster elettorali in tutti gli spazi possibili: sui tralicci della luce, sui semafori, sugli autoveicoli. Alcuni peseros (piccoli autobus privati che un tempo costavano un peso) sono letteralmente ricoperti dai volti dei candidati. Spesso accade di incontrare persone – per lo più indigenti – che indossano magliette, borse o zainetti con la pubblicità dei candidati: funzionano da cartelli umani. Grazie alla cartellonistica gigante, del tutto deregolamentata, è possibile vedere i volti dei politici praticamente in ogni luogo.
I pronostici sono unanimi, tutti a favore di Claudia Sheinbaum, candidata della coalizione Seguimos haciendo historia – composta da Morena (Movimento di rinnovamento nazionale), Pt (Partito del lavoro) e verdi –, ma soprattutto delfina del presidente uscente, López Obrador (detto Amlo). Riprendendo le nostre conversazioni con testimoni privilegiati della attuale situazione politica (vedi qui), abbiamo intervistato Massimo Modonesi, politologo alla Unam (Universidad autonoma de Mexico) e storico della sinistra messicana, autore di libri come México izquierdo. Claroscuros de las izquierdas mexicanas: 1968-2021 (Bibliotopía, 2021) e Gramsci y el sujeto político. Subalternidad, autonomía y hegemonía (Akal, 2023, in uscita anche in italiano).
Come valuti il sessennio obradorista?
La pandemia ha scandito il periodo in un prima e in un dopo. L’inizio del governo è stato più difficoltoso, poi, terminata l’emergenza, si è aperta una fase di maggiore stabilità e governabilità. Il governo di Amlo ha un bilancio positivo dal punto di vista economico, anche perché ha potuto godere di una congiuntura favorevole: la moneta nazionale (il peso) si è apprezzata molto rispetto al dollaro; il nearshoring (rilocalizzazione di centri produttivi statunitensi dall’Asia al nord del Messico per diminuire i costi della logistica, ndr) favorisce gli investimenti nel Paese; gli aumenti del salario minimo hanno rafforzato il mercato interno; i profitti di banchieri e imprenditori sono stati molto elevati. A livello sociale, ci sono stati miglioramenti legati alle politiche assistenziali del governo, alle borse di studio, alle pensioni e ad altri pagamenti, che hanno migliorato la situazione dei più poveri e di coloro che ricevono solo un salario minimo. Allo stesso tempo, il Messico rimane un Paese con grandi disuguaglianze, con un numero enorme di persone che non vivono in condizioni dignitose. Tra i lavoratori, l’informalità e la precarietà sono dilaganti. A questo si aggiunge la violenza, che colpisce soprattutto i settori popolari. Comunque, si è creato un clima in cui si avverte che si è trattato di un governo diverso, meno corrotto e più austero.
Qual è invece il bilancio nella politica estera?
È un quadro in chiaroscuro. Amlo è stato molto pragmatico in politica estera, dimostrandosi essenzialmente un centrista in costante equilibrio tra una posizione più conservatrice e una più progressista. Da un lato, ha recuperato dignità e sovranità a nord, nei confronti degli Stati Uniti, e ha tenuto ottime relazioni con Cuba (come si è visto durante l’irruzione nell’ambasciata messicana in Ecuador). Dall’altro, il Messico è diventato di fatto la polizia di frontiera a sud, nei confronti del Centro America, facendo un grande favore agli Stati Uniti. Per questo, Trump e Obrador hanno avuto un buon rapporto, e si trovano persino simpatici. L’equilibrismo di Amlo ha funzionato: le classi dominanti messicane non possono lamentarsi. Mai avuta così tanta pace sociale come adesso: controllo delle migrazioni all’esterno e dei conflitti sociali all’interno.
Come vedi il problema che diverse zone del Paese sono in mano alla criminalità organizzata?
La strategia contro il narcotraffico è stata più accorta e prudente di quella dei presidenti precedenti, che sfidavano frontalmente i cartelli della droga. Si è cercato di evitare scontri diretti, rinunciando a volte ad avere il controllo di determinati territori (secondo lo slogan “abbracci e non pallottole”). Per attuare questa strategia, Obrador si è appoggiato sulle forze armate fin dall’inizio, ponendo anche la polizia ordinaria sotto il controllo dei militari. Ha presentato le forze armate come l’organo più pulito dello Stato (anche se sappiamo che storicamente non è così). Questo gli è servito per rafforzare il suo nazionalismo e coprirsi a destra. Le forze armate si sono trovate così a gestire molte cose, oltre alla sicurezza: aeroporti, treni, ecc. Questa militarizzazione del Paese non ha rappresentato un pericolo immediato per la democrazia, ma potrebbe avere dei costi a medio e lungo termine. Tuttavia, il governo è solo riuscito a frenare la crescita degli omicidi. Per il resto, ha fatto molta propaganda fornendo cifre sballate. Il tema della violenza è stato rimosso: la “Jornada” (quotidiano progressista vicino al governo, ndr) mette gli omicidi solo nelle cronache locali.
Come valuti l’uso che Amlo ha fatto dei referendum?
Si tratta effettivamente di una logica plebiscitaria di marca bonapartista, di cui lui ha fatto uso soprattutto all’inizio. La mobilitazione popolare, tuttavia, non è la sua strategia preferita, ne ricorre quando gli si chiudono gli spazi politici. Lui non è a favore della democrazia partecipativa in senso proprio. La sua logica è tipicamente populista: saltare le mediazioni e rivolgersi direttamente al popolo. Io credo che il passato governo abbia di fatto garantito la democrazia in senso liberale, non reprimendo in maniera diretta il dissenso, ma abbia fatto molto poco per aumentare la partecipazione.
Morena, il movimento poi divenuto partito da lui fondato, è di destra o di sinistra?
È più che altro uno strumento di Obrador. Ha tutte le caratteristiche di un’organizzazione politica di sinistra – di una sinistra non di classe bensì plebea, ma con basi popolari solide. Al tempo stesso, è un apparato politico che si sta annidando in tutti gli spazi politici del Paese e sta raccogliendo le élite di tutti gli altri partiti politici, del Pri (Partito rivoluzionario istituzionale) come del Prd (Partito rivoluzionario democratico), la formazione da cui Amlo proviene. È diventato una specie di contenitore di centro, che ricorda la nostra Democrazia cristiana, con una struttura clientelare nel buono come nel cattivo senso del termine. Tuttavia, a differenza della Democrazia cristiana, non sono permessi né correnti né dibattiti. Morena, per essere un partito giovane, si sta sclerotizzando a una velocità estrema. È un partito di amministrazione e di governo – partito di lotta è stato pochissimo – che lo renderanno uno strumento non utile per il cambiamento futuro. Una scossa deve venire dall’esterno. Penso alla gioventù. Io lavoro con la gioventù, e credo che la speranza possa venire da lì. In Messico la gioventù (prima il Sessantotto, e poi il movimento #yosoy132, costituitosi durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali messicane del 2012 come risposta agli atteggiamenti autoritari di Enrique Peña Nieto, ndr) ha sempre avuto un ruolo critico, di scuotimento dell’ordine esistente.
Se vince, come sembra, Claudia Sheinbaum (la candidata di Amlo), si creerà uno spazio a sinistra nel prossimo sessennio?
Certo, però bisogna vedere chi andrà a occuparlo. Il prossimo governo avrà molti più problemi. Le politiche progressiste continueranno, ma non credo che si espanderanno in modo significativo. Ha dichiarato che non farà alcuna riforma fiscale – e si tratta di un sistema tra i meno progressivi al mondo. Cercherà di mantenere l’equilibrio interclassista dell’obradorismo, approfittando di un contesto economico favorevole. I limiti del progressismo messicano risiedono nel suo programma centrista, nel suo impegno per la conciliazione di classe e per il contenimento del conflitto, che – com’è accaduto in altre esperienze latinoamericane ma anche in altre parti del mondo – funziona per un periodo, ma non impedisce alla destra di accumulare forze per cercare di stabilire o ripristinare modelli più gerarchici e oligarchici. Per evitarlo, bisognerebbe puntare sul rafforzamento dell’organizzazione sociale e sulla politicizzazione in un altro modo, lasciando che le classi subalterne si autorganizzino, si sensibilizzino e ricorrano alla mobilitazione. Il governo di Amlo – e quello di Sheinbaum non dovrebbe essere diverso – vuole invece contenere il conflitto e governare dall’alto, cercando un equilibrio interclassista necessariamente precario, se si considera la composizione della società messicana. A destra – e, si spera, a sinistra – è possibile che questo equilibrio venga travolto, e che la “pax obradorista” degli ultimi sei anni giunga presto al termine.