Dopo un lungo tira e molla tra la Camera dei comuni e la Camera dei lord (che si è tenacemente opposta presentando una serie di emendamenti), il controverso disegno di legge del Regno Unito che prevede la deportazione in Ruanda dei migranti cui viene rifiutata la domanda d’asilo, è stato alla fine approvato lunedì 22 aprile. Il disegno di legge, ora noto come Rwanda Security (Asylum and Immigration) Bill 2024, ha suscitato una serie di polemiche, già nel momento della sua prima formulazione, come riportammo a suo tempo (vedi qui), provocando in risposta massicce manifestazioni di protesta e pronunciamenti giuridici a livello nazionale e internazionale.
La legge è stata modificata rispetto al progetto originale: ha dovuto infatti tenere conto delle preoccupazioni sollevate dalla Corte suprema inglese, la massima Corte di appello, che si occupa dei casi di maggiore importanza pubblica o costituzionale. A novembre, la Corte aveva dichiarato illegittimo il piano originario del governo di inviare i richiedenti asilo nel Paese dell’Africa orientale, appellandosi al fatto che non si può considerarlo un Paese sicuro, dato che esiste il pericolo concreto che i rifugiati siano espulsi dal Ruanda verso i loro Paesi di origine, quindi rispediti al mittente, verso la persecuzione cui avevano cercato di sottrarsi. La nuova stesura della legge considera invece d’autorità il Ruanda un Paese sicuro, e conferisce ai ministri il potere di ignorare parzialmente la legge sui diritti umani. Il governo britannico ha così avuto la meglio, per il momento, nel braccio di ferro con la Corte, e il primo ministro britannico, Rishi Sunak, ha annunciato trionfante che i primi aerei che trasportano migranti irregolari dovrebbero partire per il Ruanda entro dieci-dodici settimane.
Diverse organizzazioni non governative hanno però annunciato che forniranno supporto legale alle persone colpite dal provvedimento, producendo una marea di ricorsi. Le associazioni che difendono i diritti umani, da tempo contrarie al progetto, hanno criticato il voto. Si tratta di una “vergogna nazionale”, che “lascerà una macchia sulla reputazione morale di questo Paese”, ha dichiarato in un comunicato Sacha Deshmukh, responsabile di Amnesty International nel Regno Unito. Per quanto assurda possa sembrare la deportazione a 6500 km di distanza di chi esce perdente dalla lotteria della concessione del diritto di asilo, Sunak ha perseguito tenacemente il suo obiettivo, dato che la legge sul Ruanda costituisce una delle poche carte rimaste in mano ai conservatori per recuperare qualcosa in vista delle elezioni ormai prossime, che li vedono nei sondaggi quasi venti punti dietro al Labour.
Già nel gennaio 2023, il primo ministro, all’epoca di fresca nomina e in cerca di facili consensi, aveva dichiarato che la lotta alle piccole imbarcazioni di migranti irregolari, che attraversano la Manica salpando dalla Francia, era tra le prime cinque priorità del suo governo, ribadendo poi le sue intenzioni a marzo, con l’esibizione pubblica dello slogan Stop the boats, e la presentazione della prima bozza del disegno di legge Ruanda, ad opera della non rimpianta ministra degli esteri, Suella Braverman, accanitamente schierata contro l’immigrazione. Secondo alcune stime, sarebbero stati circa quarantamila, nel 2022, i migranti giunti seguendo questa rotta; e la maligna intuizione che era forse possibile liberarsene “esternalizzandoli” in un luogo da cui non potessero tornare, si deve a Boris Johnson, cui va attribuito il discutibile merito di avere introdotto nel dibattito pubblico il Ruanda come “soluzione finale” al problema dell’immigrazione. D’altro canto, Sunak non è il solo a lasciarsi sedurre dalla possibilità di “esportare” i migranti, come mostrano i recenti accordi del governo italiano con l’Albania, il “Ruanda sull’Adriatico” (vedi qui), e una certa simpatia per la “soluzione Ruanda” fattasi strada anche nella destra tedesca.
Inutile ricordare che, attraverso questi accordi di esternalizzazione, gli Stati europei si rendono regolarmente dipendenti da governi autocratici e dittatoriali. Il Ruanda è un Paese povero, a rischio di grave instabilità politica e poco democratico, con un presidente-padrone appartenente a una minoranza etnica, in carica da più di vent’anni, e che ha vinto le elezioni del 2017 con una percentuale del 98,63%. Il che la dice lunga sullo stato della democrazia nel Paese, retto da un sistema poco rispettoso dei diritti umani. Colpisce, inoltre, il silenzio del governo britannico sul sostegno da parte del Ruanda al gruppo di ribelli dello M23 nella parte orientale della Repubblica democratica del Congo, che l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno pubblicamente criticato. La guerra con i ribelli dello M23 ha già costretto milioni di persone a fuggire dalle loro case, provocando una delle più grandi crisi di sfollati nel continente africano.
Nonostante tutto questo, il governo britannico ha voluto l’accordo a tutti i costi, anche se le deportazioni verso il Paese africano sono evidentemente illegali, e benché il Ruanda – a quanto affermano i media inglesi – non possa accogliere attualmente più di trecento persone all’anno. Si tratta di meno dello 0,5% di coloro che hanno fatto richiesta di asilo in Inghilterra nel 2023. L’accordo non pare quindi destinato a cambiare in modo significativo le strutture di accoglienza del Regno Unito. La cooperazione con il Ruanda è inoltre estremamente costosa: secondo il National Audit Office, l’attuazione del piano costerebbe alla Gran Bretagna oltre mezzo miliardo di euro. Anche se nessuno dovesse essere deportato, il governo britannico ha promesso di pagare al Ruanda oltre 430 milioni di euro.
Per quanto appaia improbabile che l’accordo possa funzionare nella pratica, è comunque un giorno buio per la protezione dei rifugiati e per lo Stato di diritto nel Regno Unito. Ma quello che è veramente inquietante è che anche altri politici europei stiano pensando di emulare un simile piano, e alimentino nell’opinione pubblica l’illusione che tali modelli possano impedire l’arrivo dei rifugiati. Intese come quella raggiunta con il Ruanda hanno gravi conseguenze: il governo britannico non solo mina la protezione dei rifugiati a livello globale, cercando di sottrarsi alle proprie responsabilità nei confronti di coloro che cercano protezione, ma mette in discussione la stessa difesa dei diritti umani a livello europeo. Andrebbe chiarito che i diritti umani non si applicano solo quando fanno comodo ai governi, e che viene violata anche la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, che prevede una condivisione internazionale delle responsabilità. L’idea da combattere, in ogni caso, è che si possa pagare per scaricare su altri Paesi la gestione di migranti e rifugiati, appaltandola a terzi.
Dal punto di vista dell’Unione europea, questo scenario ci parla di un almeno parziale fallimento delle politiche d’asilo. Perché due dati emergono con chiarezza: il primo è che i richiedenti asilo tentano la via della Manica perché in Italia e in Francia il sistema di accoglienza non appare in grado di offrire loro opportunità per una positiva integrazione socioeconomica, come aveva già icasticamente mostrato a suo tempo la jungle di Calais; il secondo è che gli attraversamenti della Manica sono parte di un più generale disordine in Europa, in cui i cosiddetti “movimenti secondari” dei migranti si svolgono in genere in maniera necessariamente clandestina e incontrollata, vista la resistenza opposta dai singoli Stati alla loro libera circolazione. La “fortezza Europa”, come ricordava qualche giorno fa su queste pagine Luciano Ardesi (vedi qui), si mostra al tempo stesso arcigna e incapace di gestire la questione migratoria in maniera unitaria – e anche il nuovo Patto su migrazioni e asilo, approvato dal parlamento europeo, purtroppo non va nella direzione auspicabile.
La nuova legislazione inglese, trasferendo la responsabilità sui rifugiati, crea inoltre un pericoloso precedente a livello globale, limitando la portata delle tutele nazionali e internazionali dei diritti umani per un gruppo specifico di persone, dato che autorizza espressamente il governo a ignorare qualsiasi ricorso provvisorio di tutela da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Nel contempo, schiude la porta a ulteriori norme basate sulla repressione e sul respingimento dei migranti, rischiando di inaugurare un’epoca di maniere forti nell’affrontare la questione. Dopo il Ruanda, il diluvio?