Il 25 aprile è entrata in vigore a Venezia la foglia di fico pensata dall’amministrazione Brugnaro per ingannare l’Unesco, che da tempo non aspettava se non di essere ingannato. Pare infatti non esserci altra ragione a ispirare la decisione della giunta che governa la città se non quella di sventare, una volta per tutte, la minaccia che l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura – un ente inutile se non addirittura pericoloso – ha più volte espresso contro la città lagunare. Ma che purtroppo non ha mai messo in atto. Quella di inserire Venezia nei siti a rischio di estinzione per sovraffollamento turistico, il fenomeno che l’Organizzazione mondiale del turismo definisce come “l’impatto del turismo su una destinazione, o parti di essa, che influenza eccessivamente e in modo negativo la qualità della vita percepita dei cittadini e/o la qualità delle esperienze dei visitatori”.
Si tratta del balzello di cinque euro che i visitatori occasionali – una esigua minoranza viste le numerose esenzioni previste da un regolamento complesso, che ha segnato il trionfo della burocrazia e del cavillo – dovranno pagare per un totale di ventinove giorni, fino al 14 luglio, per poter accedere alla città in orario compreso tra le 8,30 e le 16. Sono esentati i cinque milioni di veneti che, guarda caso, rappresentano la categoria più numerosa dei turisti “mordi e fuggi” che si vorrebbe limitare.
Una misura sperimentale, si affanna a dire il Comune, con l’intenzione di non spaventare le categorie economiche che operano con il turismo, la ristorazione e il trasporto acqueo, che in questi anni hanno fatto mostra di gradire le scelte dell’amministrazione locale tese a puntare esclusivamente sullo sviluppo turistico, al di là di una narrazione che pretenderebbe di fare il contrario. Convinta che l’interesse pubblico sia la somma dei vari – e in questo caso convergenti – interessi privati di chi in città opera con il turismo spesso a scapito di chi vi risiede, l’amministrazione veneziana è stata sempre bene attenta a non danneggiare gli operatori che nel tempo sono diventati il suo zoccolo duro, scegliendo persino un orario di applicazione che non penalizza l’economia dello spritz serale. E guardandosi bene dal mettere un tetto massimo di turisti giornalieri, misura che in qualche modo avrebbe avuto una funzione di contenimento.
Il provvedimento scatterà più o meno tutti i fine settimana, compreso il 28 aprile, quando papa Francesco farà visita alla città, con l’esclusione di quello del primo e 2 giugno, quando l’Arsenale si aprirà per ospitare il Salone nautico, particolarmente caro al sindaco. Il primo giorno di applicazione si è chiuso con 113mila arrivi e 15mila e 700 paganti. Tutti gli altri accessi sono di persone esentate dal pagamento del contributo. Cittadini veneti, lavoratori, studenti e altre categorie, tenuti a registrarsi sulla piattaforma online ma non a pagare. Se si rapportano i modesti risultati economici, che si pensa di trarre dal provvedimento, ai costi previsti di poco meno due milioni di euro, si direbbe che non siamo nemmeno in presenza di una soluzione per fare cassa. Almeno non per il momento, anche se a ciò, nel caso, ci si potrà attrezzare. Mentre, se da un lato pare assodato che l’effetto sul controllo dei flussi sarà praticamente trascurabile se non inesistente, la scelta del sindaco Brugnaro costituisce un ulteriore passo sulla strada della museificazione e mercificazione della città.
Dopo otto anni, l’amministrazione di centrodestra ha trascorso mesi in inutili audizioni ed esami di progetti per il controllo dei flussi turistici, giungendo tempo fa all’alzata di ingegno dei tornelli nei punti di accesso alla città. Una scelta travolta dalle feroci critiche della cittadinanza e dal mondo economico, la cui immagine negativa generata a livello mondiale aveva spaventato lo stesso Brugnaro, conscio dei danni che da tutto ciò avrebbe potuto derivare allo stesso turismo.
Ora, il sindaco torna alla carica con il contributo di accesso. Non passandogli nemmeno per l’anticamera del cervello il proposito di operare a tutela della cittadinanza, negletta ormai da anni, ha nel frattempo fatto sparire dalle sue proposte la promessa di volere attrarre trentamila nuovi residenti, l’unico modo che avrebbe in qualche misura potuto contrastare l’esplosione turistica, essendo da tempo comprovato che una disponibilità di case, e quindi di nuovi abitanti, può avere un diretto riflesso sulla diversificazione e sulla possibilità di affermazione di forme di economia differenti dal turismo.
Brugnaro parla di un nuovo sistema di controllo dei flussi, ma intanto vuole riportare le grandi navi a Venezia, col loro milione e mezzo di turisti in più. E per permettere loro di giungere nella zona della stazione marittima, progetta un ampliamento e scavo del canale Vittorio Emanuele. Una scelta deleteria per l’equilibrio della laguna, già ampiamente compromesso, che si sta trasformando in un braccio di mare. Nonché un plateale rifiuto del decreto del governo Draghi che prevedeva un concorso di idee per realizzare punti di attracco per navi di stazza lorda superiore a quarantamila tonnellate fuori dalle acque interne. Il sindaco progetta anche un nuovo hub turistico al Parco di San Giuliano, sulla gronda lagunare, per portare i turisti a San Giobbe a Venezia. E un altro al Montiron per creare un collegamento dall’aeroporto al sestiere di Castello, a costo di distruggere uno degli ultimi paesaggi lagunari. L’intento è quello di trasformare la gronda lagunare in un terminal di servizio, mentre l’aeroporto spinge per il raddoppio degli arrivi in città.
Per quanto concerne la piaga degli affitti brevi, Venezia, unico caso in Italia, dal luglio 2022 dispone della possibilità di regolamentarli per “favorire l’incremento dell’offerta di alloggi in locazione per uso residenziale di lunga durata”. Potendo il Comune porre limitazioni al numero degli immobili destinati all’uso turistico a seconda delle aree della città in cui sono collocati. Ma a tutt’oggi nulla è ancora stato fatto. Le ultime notizie al riguardo sono che si sta arrivando a un accordo con le associazioni dei locatari secondo il quale – ha dichiarato recentemente Brugnaro – “se dai proprietari non viene spiegato al turista come si deve comportare e non viene garantito l’incoming, queste locazioni avranno solo un tetto di novanta giorni all’anno di affitto, non di più”.
A quanto è dato sapere, si andrebbe verso un regolamento molto diverso da quello in vigore in altre città europee che affrontano problemi simili a quello di Venezia su affitti e locazioni turistiche, come Amsterdam, Parigi, Londra o Barcellona. Città dove sono stati introdotti limiti di vario genere, da un massimo di notti l’anno, all’obbligo per chi affitta di risiedere nella casa affittata, a un blocco delle nuove locazioni in determinate aree cittadine. Anche in questo caso, aria fritta.
Detto ciò, sarebbe quanto mai ingiusto addossare ogni colpa della trasformazione della città a Luigi Brugnaro, dato che essa è cominciata in epoche precedenti al suo arrivo, da parte di amministrazioni di centrosinistra che avevano visto fallire i propri propositi di contrastare la desertificazione economica a favore del turismo. Chi non ricorda, per fare un esempio, gli incubatori di nuove aziende innovative nell’isola della Giudecca e il loro misero fallimento? Chi ha dimenticato le proposte uscite dal famoso convegno del 1988, “Idea di Venezia”, dell’Istituto Gramsci che avrebbero dato alle giunte di Massimo Cacciari una guida per il loro operato? Preistoria, con una buona dose di velleità, a giudicare dai loro risultati. Tanto più alla luce di ciò che quello stesso sindaco di allora da tempo va sostenendo, cioè che “il vino, legato a cibo, cultura, turismo e moda sono le sole risorse dell’Italia”. Anche lui accodandosi a un tipo di economia che è all’origine della distruzione dell’ambiente e dei siti su cui gravita. Un nuovo flagello che ci porta a vivere di rendite di posizione, che ci vuole trasformare in un popolo di camerieri e genera lavoro sottopagato, mentre spinge il nostro Paese a rinunciare a competere nei campi in cui eccellono le nazioni che contano, condannandoci alla marginalità in campo internazionale.
Il demerito di Brugnaro è quello di avere ecceduto la misura, senza rendersi conto che la sua proposta sta suscitando una reazione che forse non si aspettava e potrebbe essere la classica buccia di banana su cui il centrodestra potrebbe scivolare nella prossima tornata elettorale. Lui, che aveva cominciato a interessarsi alla squadra di basket femminile su sollecitazione dell’allora vicesindaco di Cacciari, diventando in seguito patron della Reyer; lui, che aveva fatto affari con le giunte di centrosinistra dell’epoca e che, prima di scendere in campo con i fucsia, si era persino proposto al Pd come sindaco, chiedendo di non passare per le primarie, si è visto bacchettare ora proprio dalla persona alla quale nel 2015 aveva rivelato la sua intenzione di scendere in campo. Intervistato dall’agenzia AdnKronos, infatti, Cacciari ha definito il contributo di accesso “folle e illegittimo”, invitando a non pagare. Una presa di posizione che giunge tardi, a poche ore dall’entrata in vigore del provvedimento, ma che se fosse uscita prima avrebbe anche potuto influenzare il dibattito. E ancora una volta chi ha raccolto l’intervista si è ben guardato dal chiedere all’ex sindaco cosa a suo parere si sarebbe dovuto fare per controllare i flussi turistici, concedendogli, senza fargli pagare pegno, quel ruolo di “fenomeno”, dappertutto come il prezzemolo, che la stampa mainstream da tempo gli ha riservato. Quel Cacciari che molti a Venezia vedono come il fondatore del sistema di cui Brugnaro ha beneficiato, essendo convinti che sia una sua creatura.
Benvenuta, quindi, la manifestazione contro il contributo di accesso che ha raccolto un gran numero di veneziani a Piazzale Roma, scesi in piazza per dire che l’unico antidoto alla turistificazione è riportare i cittadini al centro dell’agenda politica, riportando in primo piano la questione della casa. Pronti a boicottare con tutti i mezzi l’ultima trovata di un sindaco che, negli anni, ha dimostrato di voler comandare senza saper governare a nome di tutti i suoi concittadini. Va da sé che una città non vive senza un’economia. Ma è certo che non può esistere senza i suoi abitanti. Mentre è ormai chiaro che il modello di economia seguito da anni, e portato all’esasperazione da Brugnaro, al di là delle chiacchiere sulla sostenibilità e delle promesse da marinaio, ha dimostrato per intero la sua disastrosa perniciosità.