Dopo le elezioni parlamentari di mercoledì 17 aprile, è ancora la destra ad affermarsi in Croazia, dopo otto anni di governo ininterrotto. Il partito Hdz (Unione democratica croata, in croato Hrvatska demokratska zajednica) del premier Andrej Plenković ha ottenuto il 34,42% dei voti, in calo di quasi tre punti percentuali, rispetto al voto di quattro anni fa, e di cinque seggi nel parlamento (61 su 151). Sotto le aspettative, invece, il risultato della coalizione di sinistra “Fiumi di giustizia”, guidata dal Partito socialdemocratico, erede della Lega dei comunisti croata, del presidente Zoran Milanović, con il 25,41% dei voti e 42 seggi, uno in più al Sabor, il parlamento croato.
L’Unione democratica ha messo in atto, in questi anni, una politica liberista con tagli alla spesa pubblica, ricetta ormai classica di una destra disinteressata alla questione sociale. Scelte che hanno provocato tali proteste da costringere Plenković a rimettere il mandato nelle mani del capo dello Stato, il 15 marzo scorso, con conseguenti elezioni anticipate. Il successo dell’ex premier potrebbe però non bastare a essere il leader più longevo d’Europa. Così come già successo in altri Paesi, per esempio in Portogallo (vedi qui), ai vincitori si pone il problema se fare o meno un’alleanza con forze politiche minori di estrema destra per evitare un ritorno alle urne o, in questo caso molto improbabile, una coalizione con l’opposizione.
L’alleanza spostata più a destra andrebbe realizzata con i nazionalisti del Movimento per la patria di Miroslav Škoro (Domovinski pokret Miroslava Škore, Dpms), confermatosi al terzo posto, con il 9,56% e 14 seggi, due di meno rispetto al voto precedente. Una formazione, questa, che potrebbe diventare l’ago della bilancia, spostando su posizioni ancora più conservatrici l’asse politico dell’esecutivo. Più complicato un dialogo con gli estremisti di Most (Most nezavisnih lista), partito fondato nel 2012 da Božo Petrov, che ha visto crescere i propri consensi all’8,02%, con 11 seggi, tre in più della scorsa votazione.
Dall’altra parte dello spettro politico, c’è, oltre ai socialdemocratici, la sinistra verde di Možemo (Možemo! – politička platforma), potenziale alleato di “Fiumi di giustizia” con i suoi dieci seggi, tre in più della scorsa legislatura, e il 9,1% dei consensi. Alle due forze, però, mancherebbero 14 deputati rispetto ai 76 necessari a raggiungere la maggioranza parlamentare.
La partecipazione al voto ha superato il 60%, vero e proprio record in un Paese poco affezionato agli appuntamenti elettorali. La Croazia, membro dell’Unione europea e della Nato, sta passando uno dei momenti peggiori della sua storia: con un’inflazione al 4,8% (dopo aver conosciuto un tasso a due cifre), la prima nella zona euro, carenza di manodopera, questione dell’immigrazione e una corruzione molto diffusa tra i partiti, in particolare nell’Unione democratica, in carica venticinque anni su trentatré, cioè da quando la Croazia, nel 1991, ha ottenuto l’indipendenza dalla ex Jugoslavia. Ultimo Paese entrato nell’Unione europea, nel 2013, la Croazia fa parte, dallo scorso anno, anche dell’area Schengen e dell’eurozona.
Tutta la campagna elettorale è stata caratterizzata da un conflitto di carattere istituzionale, che ha coinvolto il capo dello Stato, i cui poteri sono limitati a ruoli di carattere cerimoniale, e non potrebbe, com’è logico che sia in un regime parlamentare, entrare ad alcun titolo nella campagna elettorale. Milanović, dunque, non avrebbe dovuto, secondo quanto ribadito dalla Corte costituzionale, essere coinvolto nell’appuntamento elettorale. Richiamo vano, in quanto aveva addirittura annunciato, dopo lo scioglimento delle Camere, la propria candidatura a premier, altra decisione incostituzionale a meno di non essersi dimesso. Ma l’uomo ha continuato a fare campagna elettorale per sé e la sua parte politica come se niente fosse: presidente della Repubblica dal 2020, e già premier tra il 2011 e il 2016, Milanović è il personaggio più popolare in Croazia, che però l’Europa – malgrado il suo partito sia collocato nel Partito socialista europeo – guarda con sospetto, sia per la sua simpatia per la Russia, sia per i suoi rapporti con il leader della Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba in Bosnia-Erzegovina), Milorad Dodik, e per quelli con il primo ministro ungherese, Viktor Orbán.
La spregiudicatezza istituzionale del presidente è stata peraltro giustificata da quanto avvenuto con Ivan Turudić, altra brutta pagina nella storia di un Paese che non aveva grandi requisiti per entrare in Europa. Turudić, ex giudice dell’alta corte penale, è stato nominato, il 7 febbraio scorso, procuratore generale proprio da Plenković. Una scelta, questa, assolutamente sospetta, se si considera il ruolo di Turudić e la sua vicinanza politica all’Unione democratica, in un contesto caratterizzato da processi a carico di esponenti del partito di governo.
Come abbiamo visto, almeno il 20% dell’elettorato vota per partiti dell’estrema destra. Se si pensa che l’Unione democratica non può essere considerata una formazione esente da pericolose nostalgie per il peggiore nazionalismo croato, si può arrivare alla conclusione che almeno la metà della popolazione della Repubblica balcanica ha simpatie di destra o di estrema destra. A dimostrarlo, per esempio, il fatto che negli ultimi trent’anni siano stati distrutti in Croazia più di tremila monumenti, molti dei quali dedicati a coloro che avevano combattuto contro l’occupazione nazifascista durante la Seconda guerra mondiale. E ciò senza la minima reazione da parte delle autorità centrali croate. Anzi, nel dicembre 2020 Branko Dukić, il sindaco di Zara, membro dell’Unione democratica, decise di rimuovere un’installazione antifascista dalle mura della città, sito riconosciuto dall’Unesco. Malgrado questo clima “revisionista”, in Croazia resiste ancora il Giorno della lotta antifascista (Dan antifašističke borbe), celebrato il 22 giugno, che ricorda quanto avvenuto quello stesso giorno del 1941, quando a Sisak si formò il primo gruppo partigiano contro i nazifascisti e il movimento nazionalista collaborazionista degli ustascia, le cui gesta l’estrema destra, e la stessa europeista Unione democratica, non cessano di riesumare e glorificare.