A volte ritornano, vecchia frase che in questo caso funziona. La candidatura di Draghi (non si sa se alla presidenza della Commissione europea o a quella del Consiglio dell’Unione) non soltanto ha i suoi sponsor – come Macron e il suo imitatore italiano Renzi, soprannominato appunto Micron –, ma adesso anche un discorso di investitura semiufficiale da parte del candidato stesso. Che cosa ha detto in fondo Draghi? Che l’Unione europea, così com’è, non va, e che ci vorrebbe un cambio di passo. Nulla di più lapalissiano. Solo che l’ex presidente del Consiglio italiano, che abbiamo imparato a conoscere come colui che si trovò a preparare il passaggio di testimone all’estrema destra (nient’altro fu il suo governo, se non l’ennesima incarnazione del moderatismo italiano), sarebbe la persona meno indicata per imprimere una svolta in un’Unione europea incapace di slancio.
In primo luogo, per quanto riguarda la politica economica (pur riconoscendogli i meriti che ebbe nella difesa della moneta unica nel periodo in cui fu a capo della Bce), l’ex allievo di Federico Caffè è in realtà uno Zelig (se ci si passa la leggera forzatura) pronto a indossare qualsiasi casacca. Non è lo stesso che preparò una lettera, insieme con Trichet, piena di indicazioni per il governo di allora – quello dell’immobilismo populista berlusconiano – nel senso di uno sfrenato liberismo? In generale, chi si rammenta del fatto che un tempo Draghi fece parte di una scuola keynesiana? In secondo luogo, una svolta europea in senso progressista implicherebbe l’impegno per arrivare a una trattativa nel conflitto tra la Russia e l’Ucraina: non un abbandono dell’Ucraina, ma il riconoscimento del fatto che, dopo due anni di distruttivo batti e ribatti, la situazione potrebbe avviarsi a soluzione solo con uno sforzo diplomatico. Purtroppo, però, sul tema è nota la posizione bellicista a oltranza di Draghi.
Vale poi sempre il motto: dimmi chi sono i tuoi amici e ti dirò chi sei. I Letta, i Calenda, lo stesso Renzi – che orchestrò, a livello parlamentare, l’operazione “governo Draghi” –, i sostenitori, nella tornata elettorale del 2022, di una sua presunta “agenda” che servì solo alla disfatta delle “non-destre”, sono questi i suoi ferventi plauditores, tutti noti ormai per la loro insipienza, quando non per il “gioco delle tre carte” politico cui sono avvezzi. Ora pare che si stia formando una piccola accozzaglia di cacciatori di quorum alle europee, tutti draghiani, ammesso che riescano ad arrivare nel parlamento europeo: dalla eterna Bonino all’opportunista fiorentino, con innesti del peggiore ceto politico meridionale, insieme in una lista che usurperebbe il nome di “Stati uniti d’Europa”. Calenda ne resterebbe fuori soltanto a causa dei cattivi rapporti personali intrattenuti con il resto della comitiva, condannandosi così in partenza a non superare lo sbarramento.
È possibile che una mediocre armata Brancaleone di quel genere abbia un ruolo nella scelta di Draghi a presidente di qualcosa? È possibile, ahinoi. Poiché infatti si prevede un’avanzata dell’estrema destra alle elezioni, si dovranno cercare alleanze larghe per una maggioranza che determini le scelte dell’Unione europea nei prossimi anni. Perciò Draghi ha realmente delle chance. Ma bene ha fatto Elly Schlein a ricordare che i socialisti e democratici europei hanno il loro proprio candidato (nella fattispecie il lussemburghese Nicolas Schmit, attuale commissario al Lavoro), e quindi implicitamente che Draghi, per il momento, sarebbe al massimo una seconda scelta.