Da Bratislava un’altra spina nel fianco del “fronte occidentale”. Potrebbe essere una buona notizia incrinare l’appiattimento europeo sulla Nato, che rende impossibile – insieme all’intransigenza di Mosca – l’apertura di ogni trattativa per risolvere il conflitto russo-ucraino; ma in Slovacchia la vittoria al ballottaggio di Peter Pellegrini contro Ivan Korčok, quest’ultimo candidato europeista dell’opposizione liberale, con il 54,4% dei voti contro il 45,6 dell’avversario, desta più di una preoccupazione per la tenuta della democrazia nella piccola nazione, già parte della Cecoslovacchia. Ora il premier Robert Fico, forte del successo di Pellegrini, potrebbe concludere il processo di “orbanizzazione” del Paese, con un arretramento della democrazia e dei principi dello Stato di diritto.
Di origini italiane, Pellegrini, già presidente del parlamento slovacco, è il leader di Hlas-Sd (Hlas- Sociálna demokracia), un partito di orientamento socialdemocratico, sospeso però nel 2023 dal gruppo del Pse (Partito socialista europeo) per aver stretto un’alleanza con il Partito nazionalista slovacco (Sns) di estrema destra. Le parole del nuovo capo dello Stato hanno fatto capire che il Paese continuerà a stare “dalla parte della pace e non della guerra”, rassicurando però, nello stesso tempo, l’Unione europea e la Nato sul suo essere “un membro forte” di entrambe le organizzazioni.
Pellegrini – sesto presidente della Slovacchia da quando, nel 1993, il Paese ottenne l’indipendenza da Praga – ha preso il posto di Zuzana Caputova, imprenditrice, avvocata e attivista, che aveva dichiarato di non ricandidarsi dopo le numerose minacce di morte ricevute, a causa del suo impegno democratico, ambientalista, per i diritti civili. Vittima, insomma, di un clima “tossico”, come lei stessa lo ha definito. Al riguardo, va ricordato il duplice omicidio di cui furono vittime, nel 2018, il giornalista investigativo Ján Kuciak e la fidanzata, l’archeologa Martina Kušnírová. I due stavano indagando sui legami sospetti dell’uomo d’affari Marian Kočner con personaggi legati alla criminalità organizzata, e sul coinvolgimento di pezzi della politica slovacca. Il crimine costrinse Fico, premier già allora, a dimettersi, a causa del ruolo giocato da alcuni ministri del suo governo nella torbida vicenda. A sostituirlo fu proprio Pellegrini.
Ora, anche in virtù delle elezioni parlamentari di settembre (vedi qui), vinte dalla coalizione socialdemocratico-nazionalista (Smer-Hlas e Sms), grazie a cui già controllava il parlamento, Fico ha un alleato fondamentale nella massima carica dello Stato, malgrado i poteri della seconda siano costituzionalmente limitati e ricordino quelli di cui dispone il nostro inquilino del Quirinale. Proprio sul fronte istituzionale e di tutela della democrazia si collocano le assonanze con Orbán. Innanzitutto l’attacco alla magistratura, messo in atto con la chiusura dell’ufficio del procuratore speciale, al quale fanno riferimento le indagini sulla corruzione, e con il ritorno delle pratiche in mano ai procuratori degli uffici regionali. Senza contare l’abbreviazione dei termini di prescrizione, per i reati più gravi, da venti a cinque anni.
A forte rischio anche la libertà d’informazione attraverso una legge sull’emittenza pubblica Radio e televisione slovacca (Rtvs), che minerebbe le tutele messe in atto dall’European Media Freedom Act (Emfa), una normativa finalizzata a estendere le tutele dei giornalisti e l’indipendenza editoriale delle emittenti pubbliche. Al contrario, Slovak Television e radio (STaR), così sarà rinominata Rtvs, diventeranno media di regime, nella misura in cui il governo potrà licenziare gli attuali membri del suo consiglio di amministrazione, compreso il direttore generale.
La mobilitazione nel Paese contro questa deriva autoritaria è stata importante: nel primo turno Korčok aveva infatti sconfitto Pellegrini – 42% contro 37 –, e, pur non riuscendo a mantenere il vantaggio nel ballottaggio, ha fatto suoi i consensi di quasi la metà dell’elettorato slovacco. A fare la differenza, a favore dell’alleanza di governo, è stato il timore di essere trascinati in un conflitto con la Russia. Lo conferma, con una dichiarazione rilasciata all’Ispi (Istituto studi politiche internazionali), Milan Nič, analista del German Council on Foreign Relations: “Pellegrini – sostiene il ricercatore slovacco – ha vinto orientando il ballottaggio sulla paura per la guerra in Ucraina e sul risentimento verso le élite filo-occidentali”.
Ora, per l’Unione europea e la Nato, impegnate rispettivamente nelle elezioni e nel prossimo vertice di Washington, i problemi si raddoppiano. Orbán avrà un alleato in più per creare ulteriori difficoltà sul fronte degli aiuti a Kiev e su quello di nuove sanzioni contro Mosca. Senza contare l’invio delle armi, a cui la Slovacchia contribuisce già in modo molto contenuto (0,67%).
È d’obbligo, al riguardo, un invito alla riflessione. Le ragioni per le quali in Europa trovano spazio nazionalismi vari – di destra o estrema destra – che flirtano con Mosca, vanno cercate soprattutto in una politica che, dopo l’avvio degli aiuti militari a Kiev, ha evitato di presentare qualsiasi proposta per una trattativa certamente complicata, ma che prima o poi non potrà più essere evitata. Il fatto che, in questi giorni, si sia fatta avanti la Svizzera per avviare una conferenza di pace, sul cui esito regna ovviamente una completa incertezza, la dice lunga sull’incapacità dei Paesi europei di rompere il fronte – se non, come nel caso di Macron, per dare nuovo carburante al furore bellicista. Ma se l’Europa snobba i desiderata di popolazioni stanche della guerra, i nazionalismi filorussi hanno gioco facile nel proporsi, di fronte ai propri elettori, come una scelta di pace. Stare sia nell’Unione sia nella Nato, senza essere nemici della Russia, è un obiettivo che le impresentabili classi politiche di Orbán e Fico hanno già raggiunto. Pur senza diventare amici dello zar del Ventunesimo secolo e del patriarca Kirill, riesumare in parte la Ostpolitik di un tempo, sia pure con interlocutori peggiori dei vecchi dirigenti sovietici, è ormai una necessità.