Prima Bari, a tutt’oggi inarrestabile. Poi Torino, che non si smentisce. Discreto, il capoluogo piemontese, non ama la coralità, il mettere i panni sporchi in piazza. Ma è profondamente segnato da una ragnatela di interessi amicali e ’ndranghetisti. E poi quelle piccole scosse che arrivano dalla periferia, da quei comuni ormai in mano alle cordate, ai ras, ai pistoleri, ai corrotti, ai mafiosi. Un cappio strangola un Paese che sarebbe ricco di risorse. Frana il sistema politico. Travolto da una crisi di sopravvivenza. Senz’anima, si direbbe. Senza valori, ideali, progetti, con un elettorato sempre più chiuso in casa. C’è un generale restringimento degli spazi di democrazia. L’Italia assomiglia sempre più a un mondo orwelliano. Quante inchieste ci raccontano di centri di spionaggio, di violazioni delle banche dati, di pedinamenti e “trojan”?
Sarà vero che il “1992” fu la Pompei dell’epoca moderna. Con la lava dell’ardore giustizialista che travolse anche gli innocenti messi alla berlina, imprigionati, processati, poi assolti. Oggi però è il trasformismo che travolge il vivere comune. La politica si è ridotta a garantire la compravendita di prodotti e merci. Guardate i passaggi di casacca tra Azione e Italia viva, e viceversa. I “disoccupati” della destra in disgrazia accorsero in massa alla corte di Matteo Salvini, quando la sua Lega svettava alle europee che furono. Vecchi funzionari, che si formarono ai tempi di Alleanza nazionale, hanno garantito il radicamento nel Centro-sud del Carroccio. E oggi che la destra con le sue radici antiche è al governo, più atlantista del re, più rigorista dello stesso Draghi, quelli della destra ex missina sono ritornati all’ovile di Fratelli d’Italia.
La politica così è un mercato delle opportunità e dei trapianti, dei passaggi di bandiera. Il Rinascimento, l’età moderna, l’illuminismo, le rivoluzioni socialiste. Poi la democrazia repubblicana. E oggi di nuovo una cesura storica, in cui a prevalere è la politica della forza, della morte e del grigiore. Non c’è passione, non ci sono sentimenti, nessun credo. Si passa da una bandiera all’altra come ci si cambia d’abito. La politica sembra un corpo martoriato sul letto di un chirurgo che cerchi di tamponarne le ferite e le emorragie.
Questo è anche il tempo della guerra, si danza sull’orlo del precipizio nucleare. Il silenzio degli innocenti è sopraffatto dallo stridore delle armi, dai massacri di civili, dalla forza evocativa della guerra come lavacro che ci libera dai peccati. Un mondo bloccato. Incapace di reagire, di fermare la macchina del tempo che corre verso la fine. Cerchiamo un argine, un contraccolpo, una inversione del destino. La battaglia è impari. Il “campo largo” si sta sempre più manifestando come un “campo minato”, come un piccolo mondo delle incertezze. I valori della solidarietà, delle ragioni dei deboli, sono stati conculcati dai cacicchi e dai capibastone. Ma è un mondo inquieto in cui c’è ancora il bisogno di sognare.