Il “modello Genova” si arricchisce continuamente di nuovi dettagli. Qualche giorno fa è stato mostrato in pompa magna nella città, dopo una prima presentazione al festival degli immobiliaristi a Cannes, un plastico che rende più concretamente visibile il progetto della “Genova del 2030” del sindaco-doge, Marco Bucci. Il plastico, che dichiara curiosamente come suo obiettivo il raggiungimento di una “città sostenibile”, non solo esibisce le realizzazioni che dovrebbero andare a modificare la città, dalla Nuova Diga foranea (vedi qui) al tunnel sub-portuale, fino ai grandi giocattoli urbani della funivia e di Skymetro (vedi qui), ma fornisce anche degli scorci finora inediti.
Si scopre che il porto di Sampierdarena, oggi animato da numerose e varie piccole attività, dovrebbe venire tombato, favorendo gli interessi di alcuni oligarchi del mare, ormai pressoché padroni delle attività portuali, che operano in stretto dialogo con la giunta comunale, e hanno recentemente acquisito anche la proprietà dell’influente quotidiano locale, “Il Secolo XIX”. La sorpresa in città, per la ventilata tombatura delle strutture portuali di Sampierdarena, è stata grande, dato che i corpi sociali sono stati tenuti all’oscuro della cosa sino alla comparsa del plastico; ci si domanda, in ogni caso, la ragione di questa scelta, mentre il Piano regolatore portuale stenta ancora a prendere una forma definita.
Ma il “doge” non si è accontentato dello happening di presentazione del plastico, davanti a una platea di suoi anziani sostenitori; nei giorni scorsi è stato anche protagonista di un incontro con la Commissione parlamentare di inchiesta sulle periferie, da cui sono emersi altri elementi di interesse. Pare che la Genova attuale abbia una risposta a tutto: alla Commissione, in missione esterna, è stato illustrato il “modello Begato” di risoluzione del problema delle periferie italiane. A Begato, periferia estrema, sulle alture tra Rivarolo e Bolzaneto, furono edificati – tra gli anni Sessanta e gli Ottanta, epoca di grande fame di alloggi – quartieri di edilizia popolare realizzati in fretta, privi spesso di servizi e serviti male dai trasporti.
Già una decina di anni fa, un’indagine della Caritas collocava questi quartieri tra le periferie peggiori d’Italia: emblematico il caso delle due Dighe. Le Dighe erano curiosi e giganteschi edifici trasversali, tipo banlieue parigina, che tagliavano la valle tra i colli Ventoso e Maltempo (sic!); a lungo sono state considerate un ghetto a sé in un quartiere già ghettizzato, il contenitore di un’umanità degradata e sconfitta: anziani, portatori di handicap, piccola delinquenza, che era stata lì concentrata, tutti hanno finito per costituire un mondo-limite, una periferia della periferia, in cui assistenti sociali e funzionari pubblici avevano timore ad addentrarsi. Non a caso, sono stati i primi edifici individuati dalla “giunta del fare” per operare una progressiva dismissione e smantellamento. Gli abitanti dei complessi, recentemente demoliti, sono stati dispersi in maniera pulviscolare nella città e confusamente rialloggiati un po’ dove capitava. Ma Bucci ha presentato l’intervento sulle Dighe come “un modello di rigenerazione (…), un intervento urbanistico che ha trasformato e recuperato l’intera area, anche per il percorso virtuoso di interazione coi residenti e con le realtà territoriali”. Al posto delle Dighe, di cui è stato salvato unicamente uno spezzone, dovrebbe sorgere un quartierino tanto per cambiare green, attualmente in via di completamento. Il “sindaco del fare” ha rincarato la dose, sottolineando orgogliosamente come l’intervento nelle periferie sia stato accompagnato dalla installazione di migliaia di telecamere, realizzata con i quattrini del Pinqua (Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare).
Il cocktail rimozione e dispersione degli abitanti, più telecamere e sorveglianza (nella zona sorgerà anche una nuova caserma dei carabinieri), è stato trovato affascinante dal presidente della Commissione, Alessandro Battilocchio, di Forza Italia, che ne ha parlato come di una “best practice”. Secondo Battilocchio (nomen est omen) bisogna combattere la paura che si diffonde nelle periferie: “Pensiamo all’eccellenza della videosorveglianza su Genova con 1250 punti attivi che saranno ulteriormente estesi. Abbiamo visto un grande impegno e una grande azione che vogliamo verificare sul campo. Quello che è successo a Begato, il trasferimento di nuclei abitativi in altre realtà della città, rappresenta qualcosa di molto complesso che in questa città si è realizzato. Questo rappresenta un elemento di buona pratica da replicare altrove”. La Commissione, secondo il suo presidente, è alla ricerca di un modello di intervento: “Il nostro compito è di presentare lo stato delle periferie e di abbinare una serie di proposte generali, non legate alle singole realtà”. Ancora Battilocchio: “Si punta a un modello Caivano per contrastare il disagio giovanile, la povertà educativa e la criminalità minorile. Nei mesi scorsi il governo Meloni ha approvato un decreto ad hoc che prevede l’inasprimento delle sanzioni per spaccio e l’introduzione del cosiddetto Daspo urbano, che vieta l’accesso dei minori a certe aree della città (…). Uno dei compiti che si pone la nostra Commissione è di capire la replicabilità del modello Caivano in altre realtà d’Italia (…) con risorse e governance ad hoc, supporto centrale alle amministrazioni locali che operano nelle periferie, una stretta sinergia con le forze dell’ordine”.
La ricetta per le periferie è così servita: interventi puntiformi di demolizione degli edifici più inquietanti, sulla scia di quanto si faceva vent’anni fa in Francia, e ricostruzione green per ceti medio-alti, mentre si deportano, sia pure in maniera “concertata”, gli abitanti, in maniera analoga a quanto avveniva, in modo più spiccio e brutale, nel Terzo mondo dopo la distruzione degli slums, il tutto accompagnato da inasprimento dei controlli di polizia. Per non parlare della moltiplicazione delle barriere visibili e invisibili nella città mediante il Daspo. E, d’altra parte, in questo senso andavano anche le recenti ordinanze della giunta comunale a Genova, di cui abbiamo già avuto modo di parlare (vedi qui). Prende forma nel capoluogo ligure un modello autoritario e securitario di città divisa. Da una parte, un centro turisticizzato e un “fronte mare” dato in pasto a supermercati e balneari; dall’altra, periferie che si allargano, in cui si pensa di intervenire, con le parole del sindaco “estendendo l’introduzione delle telecamere”, e con il dispiegamento di forze di sicurezza. Così, mentre fantasiosi plastici descrivono la bellezza futura di una città senza abitanti, le banlieues di casa nostra continuano pressoché indisturbate la loro crescita come contenitori di un enorme malessere sociale.