Nel giro di due settimane il Senegal ha sperimentato rotture e continuità in un contesto del tutto inedito. Fin dove si spingeranno le une e si manterranno le altre, è tutto da verificare fin dalle prossime settimane. La rottura più evidente è stata l’elezione a presidente di Bassirou Diomaye Faye, un semisconosciuto sostituto del principale oppositore del presidente uscente, Macky Sall, che aveva fatto di tutto per impedire al suo rivale, Ousmane Sonko, di venire eletto. Obiettivo raggiunto; ma la porta si è però spalancata per Bassirou Diomay Faye, che ha vinto al primo turno le presidenziali di domenica 24 marzo, con un netto vantaggio. I primi dati ufficiali saranno resi noti solo nei prossimi giorni, ma – fatto significativo – sia il candidato della maggioranza, l’ex primo ministro Amadou Ba, sia il presidente uscente e suo grande sostenitore, Macky Sall, hanno riconosciuto, dopo breve esitazione, l’evidenza dei fatti.
Il presidente eletto Faye è stato liberato di prigione solo una decina di giorni prima del voto, dopo una brevissima campagna elettorale, ancora più breve di quella degli altri diciotto candidati. In queste condizioni, com’è stata possibile un’elezione così netta e perché quella di un candidato di riserva? Per comprendere questa originale vicenda bisogna risalire allo scorso anno, quando il presidente Macky Sall, giunto a un anno dal termine del suo secondo e ultimo mandato, ha tentato in ogni modo di aspirare a un improponibile terzo mandato, non previsto dalla Costituzione. Per lunghi mesi, Sall ha mantenuto nell’incertezza l’intero Paese: tanto più che nel frattempo venivano incarcerati il suo principale oppositore Ousmane Sonko e il suo vice Faye, il futuro nuovo presidente.
Il forte rifiuto da parte delle opposizioni, e le divisioni nel campo presidenziale, hanno infine indotto Sall a ritirarsi e a proporre in extremis, a fine dicembre, il primo ministro Amadou Ba come candidato. La scelta è apparsa subito troppo debole per essere vincente. Nello stesso tempo, il principale oppositore, Ousmane Sonko, leader del Pastef (Partito dei patrioti africani del Senegal per il lavoro, l’etica e la fraternità) veniva escluso dalla corsa alle presidenziali, per via dei suoi guai giudiziari, tra cui un’accusa di stupro sempre respinta. Per questo motivo, a novembre, Sonko ha depositato la candidatura del suo vice, Bassirou Diomay Faye: il tutto dentro una cornice paradossale, perché il loro partito era stato sciolto nel luglio dello stesso anno, ed entrambi si trovavano in prigione. Faye era stato arrestato in aprile per oltraggio alla magistratura per aver criticato i processi contro Sonko, e lo stesso Sonko era stato nuovamente imprigionato a luglio, dopo lo scioglimento del Pastef.
In questa situazione alquanto confusa, il presidente ancora in carica ha tentato una sorta di colpo di Stato per vie pacifiche (vedi qui), a poche ore dall’inizio della campagna elettorale per il voto, previsto inizialmente per il 25 febbraio. Con la complicità dell’Assemblea nazionale, le elezioni venivano così rinviate di dieci mesi, cioè al dicembre di quest’anno. L’intenzione era quella di guadagnare tempo per permettere al suo candidato di acquistare popolarità, o di trovare nel frattempo un candidato vincente. Il tentativo aveva provocato manifestazioni di protesta duramente represse, tanto da indurre Macky Sall a riavvicinare la data del voto a giugno. C’è voluto l’intervento del Consiglio costituzionale (vedi qui) per interrompere le manovre di Sall e annullare qualsiasi tentativo di allungarne il mandato oltre la scadenza. Il presidente uscente è stato costretto ad abbandonare ogni manovra dilatoria e a varare un decreto di amnistia per tentare di allentare le tensioni nel Paese. Sono così usciti di prigione, insieme ad altri oppositori, Sonko e Faye, e quest’ultimo si è gettato nella competizione a campagna elettorale già iniziata, in pieno Ramadan, anche questa una novità nella storia politica del Paese.
Il più giovane (44 anni) presidente del Senegal è stato eletto anche grazie alla tenuta delle istituzioni, in particolare del Consiglio costituzionale, confermando così l’eccezionalità del Paese che non ha mai conosciuto colpi di Stato militari dalla sua indipendenza (1960), e ha mantenuto una straordinaria continuità del potere: prima di Faye, si sono succeduti solo quattro presidenti. Con la nuova investitura, Faye inizia però una difficile sfida. In primo luogo, dovrà chiarire le sue priorità. Il Senegal ha conosciuto, negli ultimi anni, la crescita di nuove infrastrutture e di investimenti esteri, proprio grazie alla relativa stabilità politica. Soprattutto, quest’anno è previsto l’inizio dello sfruttamento dei giacimenti offshore di gas naturale, che proietteranno il Paese in un nuovo scenario economico internazionale. A questa crescita macroeconomica non corrisponde, tuttavia, il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione.
Il Pastef, fondato da Ousmane Sonko dieci anni fa, si è sempre collocato all’opposizione, reclamando un radicale cambiamento nella politica sociale ed economica, peraltro sospettato di simpatie verso il fondamentalismo islamico. Sul piano internazionale ha denunciato i legami con gli interessi stranieri, principalmente francesi, sostenendo la necessità di un’uscita dal sistema del Cfa, la moneta dell’Africa occidentale francese garantita dalla Banca di Francia. Il presidente Macron si è subito felicitato con Faye per la sua elezione, e quest’ultimo, nella sua prima conferenza stampa, ha dichiarato di volere mantenere i suoi impegni internazionali nei confronti dei partner stranieri “rispettosi”. La Francia, ex potenza coloniale, è da sempre il primo partner politico e soprattutto economico del Senegal. È logico che gli occhi degli osservatori resteranno puntati sulle mosse del nuovo presidente, visto lo sgretolamento della presenza francese nel Sahel. Sarà interessante seguire anche la dinamica all’interno del nuovo assetto di potere, in particolare i rapporti tra il leader, Ousmane Sonko, e il suo sostituto Faye, diventato presidente quasi per caso. La forte personalizzazione del potere nella figura del presidente, tipica dalla storia politica senegalese, metterà alla prova i rapporti tra i due e la stabilità del Paese.