Il presidente francese non sa più che cosa inventarsi per ridurre il distacco da Marine Le Pen, che, stando ai sondaggi, è di ben tredici punti. La lista di Renaissance (così si chiama ora il partito macroniano, nome che può essere tradotto a piacere con Rinascita o Rinascimento ed è, se possibile, ancora più insulso del precedente, La République en marche) con i suoi due piccoli alleati centristi è al 18%, mentre il Rassemblement national di Marine Le Pen è al 31% nelle europee, che in Francia sono le uniche consultazioni con il proporzionale a turno unico. Macron è perso senza il doppio turno (il sistema elettorale voluto da De Gaulle), che nel 2022, portandolo al ballottaggio di fronte alla candidata di estrema destra, gli ha permesso di essere rieletto con i voti di tutti coloro che non ci stanno a farsi governare da un’emula dichiarata di Perón e, peggio ancora, erede di Vichy.
Si potrebbe credere allora che la Francia sia messa meglio dell’Italia, dove al governo c’è invece un’erede di Salò – ma non è così. Perché la politica di Macron, privo di una maggioranza autosufficiente, cerca costantemente a destra i voti nell’Assemblea nazionale; e nel governo, messo su di recente con un giovane tirapiedi (anche questo scelto in concorrenza con Le Pen, che ha collocato un trentenne alla guida del partito), ha imbarcato perfino una vecchia amica dell’ex presidente Sarkozy, Rachida Dati. È una tipica tattica di inseguimento dell’avversario sul suo terreno, riprendendone tutti i temi, in particolare quello anti-immigrazione. Così Macron sta ottenendo il risultato contrario, facendo crescere una destra che – o perché corteggiata in parlamento o perché puntata a dito nei discorsi – è sempre più al centro della scena, con la sua componente di tradizione gollista che non riesce a decidersi tra Macron e la stessa Le Pen.
È in questo quadro che si inscrive la grande trovata macroniana di prevedere, o almeno non escludere, l’invio di truppe in Ucraina in aiuto a quei soldati che non riescono, a due anni dall’aggressione, a venire a capo del conflitto. Non si tratterebbe di arrivare a un negoziato, assicurandosi nel contempo che l’Ucraina tenga la linea del fronte attuale, ma di “non far vincere” Putin – come se fosse lapalissiano in questa guerra cosa significhi vincere o perdere. La Russia non è riuscita a cancellare l’indipendenza dell’Ucraina – e questa per Putin è già una sconfitta –, mentre che si prenda o no una porzione di territorio (ed eventualmente di quale entità, dopo che per dieci anni il mondo occidentale e gli stessi ucraini hanno chiuso un occhio sull’annessione della Crimea), beh, questo è qualcosa che dovrebbe appunto essere oggetto di un negoziato, arrivando preliminarmente a una tregua che ufficializzi il congelamento di una situazione bellica stagnante.
Anche con la consegna delle provviste di munizioni richieste dall’Ucraina non si uscirebbe dalla palude. Il fatto, sottolineato da Macron, che per dieci colpi di mortaio sparati dai russi, gli ucraini ne sparano solo uno, non significa granché. Lanciando granate in maggior numero si potrebbe recuperare una qualche porzione di territorio; ma resta il fatto che la controffensiva dell’anno scorso si è afflosciata dinanzi alle fortificazioni frapposte dagli invasori; e, per arrivare a qualche risultato, bisognerebbe portare i combattimenti stabilmente in territorio russo, bombardando magari anche Mosca. Saremmo cioè all’escalation.
Con saggezza, e sfidando l’opinione contraria nella sua maggioranza di governo dei verdi (incredibilmente) e dei liberali, il cancelliere Scholz si è opposto all’invio dei missili Taurus a lunga gittata (vedi qui). Non ci sarebbe infatti da fidarsi dell’uso che potrebbero farne gli ucraini, e quindi si dovrebbero avere dei militari tedeschi in Ucraina a gestire il funzionamento di quel tipo di armamento: il che, pur evitando di tirare su Mosca, sarebbe comunque un’escalation, con il personale occidentale non ad addestrare e a dare consigli (com’è già adesso) ma a indirizzare i tiri.
Un uomo di Stato non dovrebbe mai giocare all’apprendista stregone, quando in gioco è la vita di tante persone. Ma Macron, che è una specie di perdigiorno prestato alla politica (per l’insipienza di Hollande, il presidente precedente, che, non comprendendo il tipo, lo mise nel governo, facendosi poi fare le scarpe da lui), sa soltanto che per recuperare un po’ di voti deve insistere sulla guerra, denunciando il filoputinismo dell’avversaria di estrema destra, che in effetti ha preso da una banca russa i soldi per il suo partito.
La mediocrità dell’uomo di Stato Macron è insomma completamente offuscata dalla saggezza dell’uomo di Stato Scholz.