(Questo articolo è stato pubblicato il 1 marzo 2024)
È una camera a gas, si potrebbe dire della pianura padana oggi, riprendendo una vecchia canzone. Gli allarmi si susseguono da tempo, per lo più ignorati. Nemmeno un anno fa – era il maggio del 2023 – il “blocco padano” nel parlamento europeo protestò con veemenza contro la condanna inflitta dalla Corte di giustizia europea a diverse regioni italiane, tra cui proprio la Lombardia, l’Emilia e il Veneto, per il superamento dei limiti ammissibili di inquinamento atmosferico, e si mobilitò contro le nuove misure approvate in sede di Unione europea, riguardanti la qualità dell’aria e le soglie da non superare. “Così si ferma la Lombardia!” – gridò il solito Attilio Fontana. Erano con lui, all’europarlamento, anche i presidenti del Consiglio regionale del Veneto e della Regione Piemonte, Roberto Ciambetti e Alberto Cirio, secondo cui le modifiche proposte nella nuova direttiva dalla Commissione europea sarebbero state “assolutamente irraggiungibili”. L’eurodeputato di Forza Italia, Massimiliano Salini, inoltre, sostenne che la Commissione avrebbe dovuto “abbandonare l’ideologia” visto che era “incomprensibile ostinarsi su nuove soglie di emissioni che, per essere raggiunte, implicherebbero una sostanziale desertificazione industriale, per di più nel cuore della manifattura italiana ed europea”. Per l’eurodeputato di Fratelli d’Italia, Carlo Fidanza, la proposta della Commissione di riduzione ragionata delle emissioni, nel giro di otto anni, avrebbe rappresentato una “eurofollia”.
E ora Milano soffoca nelle polveri sottili. I dati della società di ricerca ambientale IQAir mostrano che l’aria della città è tra le peggiori al mondo. Il 18 febbraio, Milano è stata addirittura classificata come la terza tra le metropoli planetarie più inquinate. Solo inferni paleoindustriali, come Dacca in Bangladesh e Lahore in Pakistan, sono messe ancora peggio. Secondo l’autorità ambientale Arpa, nelle ultime settimane, sono stati superati di gran lunga molti valori limite. Beppe Sala, il sindaco, fa lo scettico sui dati, che ritiene in buona parte “inattendibili”; ma sono state introdotte delle misure per fare fronte all’emergenza: tra cui il divieto parziale di circolazione per i diesel, l’impostazione degli impianti di riscaldamento a un massimo di 19 gradi, e il divieto all’impiego di riscaldamento a legna. Misure che peraltro vengono adottate pressoché ogni inverno. Perché lo smog è un problema annoso in alcune grandi città italiane. La pianura padana ne è particolarmente colpita per la sua morfologia, com’è noto, a causa della mancanza di circolazione dell’aria. Inoltre, l’alta densità di popolazione significa che ci sono molti veicoli e case che producono emissioni. La mancanza di vento e di pioggia, caratteristiche degli ultimi inverni sorprendentemente miti, contribuisce a peggiorare la situazione. D’altro canto, non è certo la prima volta che Milano brilla nelle classifiche internazionali dell’inquinamento dell’aria: già a marzo 2023, il particolato vorticante indisturbato nella sua atmosfera l’aveva portata al vertice delle città irrespirabili.
Sono dunque ricorrenti le misurazioni in cui il capoluogo lombardo non si comporta benissimo. Ma non è solo la condanna di una geografia sfavorevole – il famigerato “effetto conca” – a rendere la situazione drammatica, e neppure l’alta densità di popolazione, di case e di automobili. Un contributo importante lo danno il modello di produzione industriale, il settore delle costruzioni, la cementificazione, unitamente alla presenza di allevamenti intensivi e di coltivazioni agricole.
Insomma, una macchina produttiva importantissima per il Paese, ma tanto “preziosa quanto velenosa” per prendere a prestito le parole del vecchio ambientalista Bernard Charbonneau. Le conseguenze sono note, una ricerca dell’autorità sanitaria milanese ha mostrato che oltre il 12% dei decessi che avvengono in città è attribuibile all’inquinamento, per non parlare della diffusione di malattie croniche dell’apparato respiratorio. Durante la pandemia, diversi studi hanno dimostrato che il virus ha colpito in particolare persone che erano già affette da malattie respiratorie, tipicamente indotte dall’aria malsana. Il livello di inquinamento a Milano è strutturalmente alto da tempo e, nonostante piccole riduzioni ottenute negli anni, si mantiene stabilmente oltre le soglie ammissibili, con occasionali puntate altissime.
L’amministrazione della città reagisce: “Credo che il mio governo abbia dimostrato, nonostante le decisioni controverse, di voler fare qualcosa per l’ambiente”, afferma il sindaco. E in alcune zone di Milano sono stati intensificati i controlli sul traffico, mentre l’assessora all’Ambiente, Elena Grandi, ha avanzato la proposta di una drastica riduzione della circolazione di automobili e di domeniche solo a piedi. Ma perché contestare i dati sulla concentrazione di particolato, nei giorni scorsi venti volte superiore alle linee guida annuali dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla qualità dell’aria? I limiti di emissione non sono “una follia”, si applicano in tutta Europa, anche se l’Italia non li rispetta. Mancano sistemi di riscaldamento più efficienti, un adeguamento degli edifici e una rete di trasporti pubblici più fitta e articolata. Se si vuole cambiare la situazione, è necessario intraprendere azioni a lungo termine. È un processo che richiede anni e, soprattutto, è molto costoso.
Certo, a livello regionale, esiste un “tavolo istituzionale aperto” con i Comuni per concordare gli interventi contro lo smog, e l’assessore all’Ambiente della Lombardia, Giorgio Maione, ha replicato in questo modo alla proposta lanciata da Elena Grandi: “Siamo ovviamente a disposizione del Comune di Milano per un dialogo ulteriore, ma se l’assessore Grandi chiede nuove misure significa che quelle adottate finora dal Comune hanno fallito (…). Regione Lombardia sta adottando una politica di incentivi legati al rinnovo dei veicoli inquinanti, alla sostituzione degli impianti di riscaldamento obsoleti e agli investimenti in innovazione del sistema produttivo”.
Al di là di queste perorazioni, evidentemente, gli interventi attivati dal Comune non sono sufficienti, e le nuove proposte appaiono di effetto limitato. Ma ricorrere alla contestazione dei dati raccolti rappresenta un mezzuccio e, in fondo, potrebbe addirittura diventare un boomerang per le autorità di una grande città, che devono preoccuparsi, prima di tutto, di difenderne l’immagine. Andrebbe sempre tenuto presente che una metropoli, che si vuole “attrattiva”, deve tenere la qualità dell’aria tra gli obiettivi prioritari da perseguire. Un fattore certo soft dell’attrattività, ma non certo di secondo piano.
I “nomadi internazionali” delle tecnologie avanzate e dei saperi che contano non amano respirare schifezze. L’inquinamento dell’aria non andrebbe perciò letto separatamente da un modello di sviluppo arretrato e ormai inadeguato, di cui in fondo è il prodotto: un sistema basato su produzioni tecnologicamente superate, cultura del mattone e sistemi di trasporto arcaici. Ma in un Paese in cui la direttiva europea sulle “case green” ha suscitato reazioni isteriche, e una levata di scudi bipartisan, sempre più arroccato su un meschino conservatorismo provinciale e autoreferenziale, purificare l’aria di Milano e della pianura padana non sarà impresa facile.