Alla fine di gennaio l’Italia si è svegliata con un problema: i trattori. A centinaia si erano resi visibili agli svincoli e ai caselli autostradali. Il mondo dell’agricoltura protestava, principalmente, contro una giusta legge dell’Europa, che penalizzava l’uso dei pesticidi nell’agricoltura. A Bruxelles, a Francoforte, in Italia, il mondo agricolo mostrava i muscoli. E perché allora le forze di polizia non hanno impedito il caos nella circolazione? I manifestanti avevano forse concordato le forme della loro protesta con le questure?
Le statistiche del Viminale dicono che dal 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas contro Israele, a oggi, solo il 3% delle mille manifestazioni che si sono svolte nel nostro Paese sono state represse. Ma le statistiche barano. Sono stati colpiti i giovani che manifestavano per la Palestina e contro i massacri a Gaza. Che esprimevano il diritto costituzionale di manifestare il proprio pensiero. Sono stati caricati quei giovani che volevano deporre striscioni ai cancelli delle sedi Rai per criticare l’informazione a senso unico. Non si rende conto la classe dirigente che quello che è accaduto a Pisa – e prima ancora in altre parti del Paese – riapre una vecchia ferita, che solo il tempo era riuscito a rimarginare: quella del G8 di Genova del luglio 2001? Due scenari però diametralmente opposti.
A Genova i black bloc, con i volti travisati, tutti bardati e armati di mazze, che cercavano di sfondare la “zona rossa”. Una violenza repressiva impressionante. E vi furono due episodi tragici: la perquisizione alla scuola Diaz e la gestione della caserma di Bolzaneto, trasformata in una stazione di identificazione dei manifestanti prima di essere trasferiti nelle carceri. Quegli episodi rappresentano una pagina nera della democrazia italiana. Un dirigente dei reparti mobili di Roma, protagonisti della mattanza di un centinaio di giovani che avevano trovato rifugio nella Diaz, Michelangelo Fournier, li definì una “macelleria messicana”. Oggi, a Pisa, adolescenti che non sanno che cosa sia accaduto a Genova, che ancora non erano nati in quei giorni del luglio 2001, inermi e a volto scoperto, sono stati brutalizzati dai manganelli dei reparti mobili della polizia. Proprio così, brutalizzati. Non si rendono conto quei “celerini” di ciò che hanno fatto. Si è creata una frattura tra la credibilità e l’autorevolezza dello Stato e una parte delle nuove generazioni e dell’opinione pubblica. Non sottovalutiamo questa frattura. Che va ricomposta subito.
C’è un nesso tra questo brutto clima e il governo Meloni? Non crediamo che quello che è accaduto a Pisa sia la conseguenza di un ordine impartito dal Viminale o da Palazzo Chigi. Anzi, lo escludiamo. I corpi repressivi dello Stato sono “organismi viventi molto delicati”. Sono uomini e donne addestrati a usare la violenza per difendere la Costituzione e le leggi italiane. Ma sarebbe utile che gli attuali dirigenti, ai vari livelli delle forze di polizia, e gli stessi esponenti politici, andassero a rileggersi gli atti della Commissione bicamerale d’indagine parlamentare che lavorò nei giorni successivi agli eventi di Genova, ascoltando i protagonisti.
Un funzionario della questura si ritrova a impartire direttive al capitano dei carabinieri, che guida il plotone dei carabinieri. I funzionari di turno rispondono alle gerarchie interne e seguono le direttive emanate dai questori. Questa è la filiera da sottoporre alle indagini amministrative, prima ancora che penali. E il capo della polizia, il prefetto Vittorio Pisani, ha assicurato che andrà a fondo dei fatti di Pisa: “I comportamenti dei nostri operatori dovranno essere verificati con severità e trasparenza. Il nostro dovere è garantire il dissenso”. Senso dello Stato.
Che dire, invece, del ministro dell’Interno di non molti anni fa, che andava in giro travestito da poliziotto? Cosa dovevano capire gli operatori dei reparti mobili, quando il loro ministro di riferimento suonava ai citofoni accusando i suoi interlocutori di essere spacciatori? E oggi, ancora lo stesso ministro, Matteo Salvini, bolla come delinquenti quelli che criticano i comportamenti censurabili delle forze di polizia.
Nelle ultime ore, la responsabile del Reparto mobile della Toscana, Silvia Conti, è stata avvicendata. Non è indagata dalle procure di Firenze e Pisa per le manganellate ai ragazzi. Per i vertici, però, si è dimostrata “inadeguata” al ruolo che ricopriva. Nelle prossime ore l’indagine amministrativa interna potrebbe arrivare a una conclusione. L’inchiesta, per quanto riguarda Pisa, ruota intorno a un interrogativo: una volta chiusa la piazza dei Cavalieri, chi ha dato l’ordine di manganellare e inseguire i ragazzi in via San Frediano?