La liberazione dei tre italiani rapiti in Mali nel maggio 2022 – Rocco Langone, la moglie Maria Donata Caivano e il figlio Giovanni –, e il loro arrivo ieri in Italia, hanno per un momento aperto uno spiraglio nel vuoto informativo sulla fascia saheliana dell’Africa. Comprensibilmente il silenzio stampa è stato imposto dalla necessità di trattarne il rilascio attraverso i mediatori dei gruppi jihadisti, spesso in competizione tra loro, in una situazione davvero difficile, dove ai servizi segreti francesi – ormai malvisti dalla giunta militare al potere dal 2022, poiché quattro agenti sono stati arrestati in dicembre al loro arrivo a Ouagadougou – e a quelli americani, si sono aggiunti i più agguerriti servizi russi. L’ambasciata di Mosca, chiusa dal 1992, è stata riaperta nel dicembre scorso.
Come svelato a dicembre dal sito di inchiesta indipendente All Eyes on Wagner, i servizi russi hanno permesso di ridefinire la presenza militare di Mosca nel Sahel, dopo la cacciata dei militari francesi, con il nuovo marchio dei mercenari del gruppo Wagner, ora ribattezzati Africa Corps, tanto per dare una continuità alla nomenclatura nazista. Al silenzio dei servizi segreti si aggiunge, però, un vuoto dovuto al cronico disinteresse italiano per quello che succede nel continente, con la dovuta eccezione del gas e di qualche connazionale al margine della cronaca: arresti, rapimenti, uccisioni. Ma è anche vero quello che Reporter sans frontières denunciava, quasi un anno fa: tra l’espulsione dei corrispondenti esteri e le minacce e gli arresti, da parte dei regimi golpisti nei confronti dei giornalisti indipendenti locali, il Sahel è diventato il grande buco nero dell’informazione in Africa.
Nel doveroso silenzio dei servizi, prospera l’industria dei sequestri: uno dei mezzi di finanziamento dei gruppi jihadisti, oltre al traffico di droga, al contrabbando, compreso quello delle armi, alla “protezione” delle rotte migratorie. I sequestri di stranieri sono spesso effettuati in un Paese e la loro liberazione in un altro. Per restare agli italiani, Luca Tacchetto, con la compagna canadese, è stato rapito nel 2018 in Burkina Faso ed è sfuggito ai carcerieri in Mali, nel marzo 2020. In Mali sono stati liberati anche padre Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio, nell’ottobre 2020; il sacerdote era stato rapito nel settembre 2018, in Niger, nella sua diocesi al confine col Burkina Faso, mentre il secondo era stato sequestrato in Mali, nel febbraio 2019, e aveva poi condiviso la prigionia con Maccalli. Prima di loro, erano stati rapiti in Mauritania Pietro Cicala e la moglie, nel dicembre 2009, e liberati in Mali nell’aprile successivo.
Ma il jihadismo marca anche il territorio con le proprie azioni. I militari golpisti del Mali, Burkina e Niger se ne stanno accorgendo, perché i loro eserciti subiscono attacchi e soprattutto perdite nei loro ranghi. Intere regioni sfuggono al loro controllo. Viene così meno una delle ragioni con le quali avevano tentato di giustificare i colpi di Stato: l’incapacità dei poteri civili, o comunque dei loro predecessori, nella lotta contro il jihadismo.
I tre Paesi hanno costituito, nel settembre scorso, l’Alleanza degli Stati del Sahel come sistema di difesa comune. L’obiettivo principale è quello di far fronte alle sanzioni della Comunità degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao), da cui erano usciti all’inizio dello scorso anno, e che aveva minacciato un intervento militare a seguito dell’ultimo golpe, quello del Niger, nel luglio scorso. La Cedeao ha poi annullato, pochi giorni fa, le sanzioni ai tre Paesi. Nelle intenzioni dell’Alleanza, anche quella di coordinare gli sforzi per combattere il jihadismo. Le attuali giunte al potere non sembrano, in questo, scostarsi dal vecchio riflesso della risposta unicamente militare alla crisi sociale, economica e climatica comune a tutti i Paesi del Sahel, e di cui il fondamentalismo e il terrorismo islamici non sono la causa ma la conseguenza.
Nella regione agiscono diversi gruppi jihadisti, che si rifanno sostanzialmente a due organizzazioni maggiori: il Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani, affiliato a sua volta ad Al-Qaida, e lo Stato islamico nel Sahel. Questi gruppi operano con una grande indipendenza sul terreno, anche se i territori di azione possono talvolta sovrapporsi. Il risultato è che il numero delle vittime civili è molto maggiore di quelle militari. Nel mirino ci sono quelle comunità che si trovano sui loro percorsi, che ostacolano l’accesso alle fonti di approvvigionamento, o che non assecondano le loro richieste. Ma anche, naturalmente, i tradizionali “nemici” come le comunità cristiane, e non solo. Nello stesso giorno, domenica 25 febbraio, in Burkina Faso, c’è stato un attacco a una chiesa cattolica, che ha fatto quindici morti durante la messa, e a una moschea, con decine di vittime.