La reazione al grottesco e minaccioso uso dei manganelli, da parte del ministero dell’Interno, nei confronti delle manifestazioni studentesche contro i massacri in Medio Oriente, ha sollevato allarme riguardo a un governo che continua a muoversi sul crinale sempre più stretto che separa la sua maggioranza reazionaria dalle tentazioni apertamente autoritarie. La repressione delle proteste di piazza è un aspetto che riporta gli echi delle violenze poliziesche dei lontani anni Sessanta e Settanta. Ma non mancano aspetti anche più contemporanei, rispetto ai quali non vediamo una medesima sensibilità e risposta.
La notizia, apparsa, quasi per caso, sulle pagine sportive di “Repubblica” di qualche giorno fa, circa l’attivazione, da almeno due anni, allo stadio Olimpico di Roma, di un sofisticato sistema di video-riconoscimento, in violazione di tutte le norme europee in materia, è caduta nell’indifferenza generale. Da quanto è stato pubblicato, e non smentito da alcuno, tutti coloro recatisi allo stadio nella capitale, negli ultimi due campionati, sono stati scannerizzati da un sistema di video-controllo, che ne registra l’identità, incrociando i dati con quelli dei biglietti nominativi, e che – tramite un software denominato Reco Finder, di una società italiana localizzata in provincia di Lecce – accumula dati sensibili per scavare nella personalità di ogni singolo spettatore capitato dinanzi agli obiettivi.
Incredibilmente, la decisione del Coni, proprietario dello stadio romano, di adottare un sistema di tale invadenza nella privacy, non incontra alcuna obiezione, nemmeno da parte di quei soggetti solerti nel denunciare le invasioni degli apparati statali nel campo della sanità o del fisco. Certo i precedenti sono molteplici, negli aeroporti, per esempio, o in altri luoghi pubblici. Ma in questo caso è la prima volta, almeno fino a prova contraria, che si allestisce un sistema di controllo e setacciamento dinamico. Intendiamo, con questo, che il meccanismo agisce non solo mediante la registrazione inerte delle immagini, eventualmente da controllare in caso di disordini o violazioni, ma con una risorsa software che gli permette, a quanto dichiara la stessa azienda proprietaria, di decifrare l’attitudine alla trasgressione dei singoli soggetti ripresi. Siamo proprio nel pieno degli incubi orwelliani: si lavora su quel terreno di riconoscimento facciale esplicitamente vietato dalla nuova normativa europea sull’uso dell’intelligenza artificiale, il cosiddetto “A.I.Act”.
La legge comunitaria contempla alcune eccezioni, nel caso di situazioni di particolare pericolo o allarme, in cui si concede alle autorità di sicurezza di potere attivare, direttamente, sistemi di controllo visuale con videocamere in grado di analizzare i volti non solo per un’identificazione personale, ma anche per cogliere indizi di reato imminente. Nel caso dell’Olimpico di Roma, però, non esistono questi requisiti. Non ci sono infatti, sistematicamente, ogni settimana, motivate ragioni per temere disordini o violazioni alle leggi – e soprattutto non c’è una gestione diretta, o almeno supervisionata, dalle forze dell’ordine. Il servizio è curato dai tecnici della società fornitrice che, dopo averlo allestito, ne gestisce il funzionamento e ne assicura la manutenzione.
Solo nel caso di reati accertati i magistrati possono chiedere i filmati. Ma quali sono filmati utili alle eventuali indagini? Infatti, dentro lo stadio, agisce un sistema di circuito chiuso che inquadra le curve, e, combinando immagini e nominatività dei biglietti, permette di risalire agilmente ai responsabili di ogni tipo di trasgressione. Per cui sono queste le prove che potrebbero ogni domenica incastrare una banda di facinorosi che si ritrova, puntualmente, nello stesso posto per commettere, puntualmente, gli stessi reati.
Le altre immagini, quelle registrate al momento dell’entrata, sono puramente induttive, e permettono solo vaghe indicazioni sulla partecipazione all’azione inquisita. Mentre possono risultare molto importanti nella programmazione di una scannerizzazione di massa, in cui si colleghino data base diversi, che possono essere interrogati per diverse motivazioni.
Ora, sarebbe interessante sapere dal Coni chi ha il controllo diretto di questi data base? In quale server sono depositate le immagini settimanalmente? E quel server utilizzato a quale cloud è appoggiato? Infine, il cosiddetto “storico”, ossia la sequenza di dati raccolti in questi due anni, chi lo conserva? Sono quesiti che probabilmente ha già posto il garante, che non si capisce se abbia autorizzato esplicitamente l’operazione o semplicemente non abbia ancora ritenuto di intervenire. Certo, le risposte sarebbero interessanti per tutti, anzi dovrebbero essere pubbliche per dare la dovuta trasparenza a un’attività che si muove sugli incerti confini del lecito o del non vietato. Confini che, dopo l’approvazione, nelle scorse settimane, della norma europea si sono ulteriormente ristretti.
Si pone poi un’altra questione: questi dati possono essere usati, o sono stati già usati, per addestrare sistemi di intelligenza artificiale di secondo livello? Ci riferiamo a quei dispositivi che, sulla base delle grandi matrici, come ChatGPT, possono essere verticalizzati, come si dice, ossia specializzati in singole funzioni o attività. Potere alimentare uno di questi sistemi verticali con le immagini accumulate in due anni, e debitamente elaborate da software predisposti a leggere emozioni e reazioni di ciascun individuo, permetterebbe di avere a disposizione una base per elaborare interventi molto intrusivi sulla popolazione romana, anche ai fini di un’interferenza elettorale.
Come abbiamo detto, il progetto di controllo visivo risale al 2021: dunque non è attribuibile a questo governo. Ma il suo utilizzo può essere permanentemente deformato e deviato, come sappiamo, e la trasparenza diventa l’unico antidoto alle ombre. Un allarme, questo, che viene incrementato dal silenzio delle opposizioni che, se hanno trovato il modo di intervenire nei confronti dei manganelli usati a sproposito contro i ragazzi che protestano in piazza, ancora non sono in grado di adeguarsi alle forme e ai modi in cui nella nuova società digitale si esercita, e si altera, il potere pubblico.