Il Paese più stabile dell’Africa, quello che non ha mai conosciuto colpi di Stato e solo quattro presidenti dalla sua indipendenza nel 1960, è agitato da forti manifestazioni di protesta represse violentemente, anche nel sangue, dopo la decisione di rinviare di dieci mesi l’elezione presidenziale, prevista per il 25 febbraio. La decisione di ritardare il voto è stata presa dall’attuale presidente, Macky Sall, il 3 febbraio scorso, a poche ore dall’apertura della campagna elettorale e al culmine di una crisi politica che dura ormai da molti mesi.
L’Assemblea nazionale, in cui domina il Partito democratico senegalese (Pds) da cui proviene il presidente, ha approvato quasi all’unanimità il rinvio, dopo che i deputati dell’opposizione erano stati allontanati dal parlamento perché cercavano di boicottare il voto. L’elezione presidenziale è ora fissata al 15 dicembre. Il testo, con la proposta di rinvio, è stato presentato dai deputati che sostengono Karim Wade, figlio dell’ex presidente Abdoulae Wade (2000-2012), la cui candidatura è stata rigettata dal Consiglio costituzionale, perché ha la doppia nazionalità senegalese e francese. La proposta è stata votata anche dal Pds: questo è bastato per sospettare Macky Sall di volersi ritagliare un ruolo nella successione, e comunque di voler vedere il suo mandato presidenziale prolungato di dieci mesi. Da qui l’accusa di avere realizzato un colpo di Stato costituzionale.
Per capire meglio le cause della crescente tensione nel Paese, va ricordato che da molti mesi Macky Sall aveva seminato incertezza circa la sua volontà di presentarsi per la terza volta, mentre la Costituzione in vigore limita a due i mandati presidenziali. Al termine di forti tensioni nel partito di maggioranza, Amadou Ba, primo ministro nel governo di Macky Sall, è stato scelto come candidato alla successione a metà dello scorso dicembre. Il partito però si è spaccato, e tutti sono consapevoli che il candidato ha poche possibilità di vincere. Il rinvio di dieci mesi sarebbe dunque, secondo le opposizioni, un pretesto o per rafforzare il candidato o per trovare un’alternativa vincente. La giustificazione per tale rinvio poggia anche sull’accusa di corruzione di due giudici del Consiglio costituzionale, mossa da alcuni canditati esclusi dalla corsa presidenziale.
Nel marzo 2021 (14 morti) e nel giugno dello scorso anno (21 morti), violente manifestazioni avevano scosso il Paese a seguito delle condanne contro Ousmane Sonko, attualmente in carcere, principale oppositore del presidente, molto popolare tra i giovani, che tutti i sondaggi davano come favorito alle elezioni, dalle quali è stato escluso definitivamente il 20 gennaio, per decisione del Consiglio costituzionale. Ma perfino il sostituto nella corsa, designato da Ousmane Sonko, era in testa secondo gli ultimi sondaggi. Da tre anni, il Senegal è quindi preso in ostaggio dalla disputa feroce tra Sonko e Macky Sall, che lo considera il suo peggiore nemico.
L’idea – sostenuta anche da autorità religiose tradizionali, di rinviare il voto per ritrovare un clima “pacificato” e ottenere un’elezione “libera, trasparente e inclusiva” – non è di oggi, circolava da tempo a causa delle divisioni all’interno della maggioranza e dell’incapacità di trovare una mediazione condivisa. Una parte delle opposizioni giudica le decisioni del presidente e del parlamento del tutto incostituzionali, poiché la Costituzione non prevede alcuna proroga del mandato. Taluni, tra questi il politologo e docente universitario senegalese Rahmane Idrissa, le considerano invece costituzionali, in linea con la tradizione politica del Paese. Secondo Idrissa, i tre presidenti che hanno preceduto Macky Sall hanno fatto ricorso a questi “scostamenti” costituzionali, non tutti virtuosi, ma che avrebbero dato quella flessibilità al potere politico che finora ha affrancato il Paese dalla soluzione del colpo di Stato per risolvere le controversie e i conflitti politici, come avviene altrove in Africa.
La questione rinvia alla selezione e alla qualità della classe politica senegalese, e alla concorrenza spietata che si fanno le élite. Ousmane Sonko si ritiene vittima di un sistema che elabora accuse per eliminare i concorrenti. Le sue vicende giudiziarie durano da tre anni, e lo hanno visto condannato per diffamazione contro il ministro del Turismo e per violenza sessuale, mentre è ancora in corso l’iter processuale relativo all’imputazione di incitamento all’insurrezione. Sonko respinge tutte le accuse, che ritiene fabbricate apposta per tagliargli la strada alle presidenziali. Nel frattempo, è stato sciolto il suo partito, il Pastef (Partito dei patrioti africani del Senegal per il lavoro, l’etica e la fraternità). Ma la battaglia è destinata a durare. Difficile immaginare che il prossimo voto, se e quando ci sarà, possa svolgersi in un contesto “pacificato” e “inclusivo”.
Nella foto: il presidente del Senegal, Macky Sall