È dai tempi della sua nascita (2021) che si discute sul nome. Secondo i suoi fondatori, la ex Fiat e Psa (Peugeot, Citroën e altri), Stellantis deriverebbe dal verbo latino stello che significa “essere illuminato di stelle, essere coperto di stelle”. Ma i soliti pignoli avevano subito avanzato un’obiezione: si sarebbe sbagliata la declinazione del verbo perché stello al participio presente si declina in stellans, stellantes al caso nominativo singolare e plurale, e stellantis, stellantium al genitivo. Ma il mondo della finanza non ha tempo da perdere con queste sottigliezze. L’importante sui mercati mondiali è vincere. Ed è su questo secondo verbo che cominciano i problemi seri.
Solo pochi dati: nel 2022 Stellantis ha registrato ricavi pari a 41,5 miliardi di euro, in aumento su base annua, ma contemporaneamente le vendite sono calate del 12%, a circa 1,4 milioni di veicoli. Il trend in discesa, da allora, è andato avanti. All’inizio di quest’anno (3 gennaio 2024) le Borse hanno fatto registrare una seduta negativa per il titolo Stellantis come effetto dei dati non incoraggianti sulle immatricolazioni. Si conferma un trend calante intorno al 10%. Le immatricolazioni del marchio stellato calano in Italia, e anche in Francia e Spagna. La situazione non è rosea. Il polo di Torino, 3.200 dipendenti, ruota attorno a quel che resta di Mirafiori, e nel 2023 ha costruito 85.940 auto, con una perdita secca del 9,3% rispetto al 2022. L’auto elettrica, miraggio e obiettivo del futuro, secondo i diversi osservatori galleggia con la 500, mentre vanno malissimo le Maserati Levante, Ghibli e GT (-49%). Cassino, con quasi tremila occupati e 48.800 vetture prodotte, ha perso l’11,3%, soprattutto per colpa delle Alfa Stelvio e Giulia; sembra vada bene, invece, la Maserati Grecale. Un quadro analogo per Melfi, dove Stellantis occupa 5.800 lavoratori, producendo 170mila auto, soprattutto la Jeep, che ha avuto un incremento del 3,9%, ma comunque siamo a 78mila auto in meno rispetto al 2019, quando si chiamava ancora Fiat Chrysler.
Dal piano economico finanziario passiamo al piano politico, che è quello che interessa di più. Come si muove la politica di fronte a questo scenario? Intanto con un po’ di teatro. La presidente del Consiglio, erede diretta di Silvio Berlusconi (come ha scritto Rino Genovese su “terzogiornale”: vedi qui), rilancia lo slogan del “milione”. Il suo maestro di Arcore si era specializzato nello slogan: “Creeremo un milione di posti di lavoro”. La sua erede politica parla, invece, di un milione di automobili che l’Italia dovrà tornare a produrre. E su questo obiettivo non ci saranno santi che tengono. Non si potranno mettere di traverso neppure i francesi ai quali spezzeremo le reni. Stellantis deve quindi produrre in Italia, non portarsi via i gioielli di casa e vendere poi tutto all’estero. La “nazione” ci impone di impedire questo furto, ha fatto capire Meloni, che probabilmente era stata appena informata dai suoi collaboratori delle manovre finanziarie del ceo Tavares per aumentare il potere di controllo francese sul marchio italo-francese.
E il francese amministratore delegato Carlo Tavares, come nella famosa canzone di Paolo Conte, non l’ha presa bene, e con una intervista a “Bloomberg” ha detto semplicemente che l’Italia, invece di lanciarsi in polemiche inutili, dovrebbe fare di più per proteggere i posti di lavoro nel settore automobilistico anziché cercare capri espiatori e attaccare Stellantis. Il governo italiano è in ritardo di vari mesi con i pagamenti: senza un adeguato supporto finanziario, risulta impossibile impegnarsi in Italia. Se si volesse fare di più con l’elettrico servirebbe un aumento del 40% degli investimenti. La controreplica è stata affidata a un luogotenente, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Che ci vuole comunicare Tavares? Che lo Stato deve entrare direttamente nell’impresa? Nazionalizziamo? Siamo pronti.
Vedremo presto come andrà a finire. Ovvero quale dei due modelli che finora sono stati applicati in economia per difendere il settore automobilistico si sceglierà. Il modello americano, quello di Obama, che prevede un intervento massiccio di fondi pubblici per sostenere le industrie automobilistiche. O il modello francese che implica un coinvolgimento diretto dello Stato nelle imprese dell’auto. In Italia, come sa bene chi ricorda la storia degli Agnelli, ci si è ispirati finora al modello americano: lo Stato in pratica sovvenziona l’industria privata che mantiene i suoi profitti privati, nonostante le perdite. In una petizione che circolava tempo addietro, compariva una cifra strabiliante: 220mila miliardi di lire che i vari governi che si sono succeduti a Palazzo Chigi avrebbero “regalato” alla Fiat, avendo in cambio solo licenziamenti, dopo lunghe trafile di cassa integrazione.
E la sinistra? Il sindacato? Dopo la grande sconfitta alla Fiat degli anni Ottanta (tutti ricordano Enrico Berlinguer davanti ai cancelli di Mirafiori), le cose sono andate progressivamente peggiorando. Nello schieramento dei progressisti non si è fatto altro che dividersi. Gli eredi del Pci contro il sindacato, i nuovi “riformisti” alla Renzi per lo smantellamento del sistema dei diritti dei lavoratori e la cessione di tutto il potere ai mercati (finanziari). E oggi la tragedia rischia di ripetersi con le sembianze della farsa, seguendo le cronache dello scontro tra il leader di Azione, Carlo Calenda, e il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, erede della grande tradizione di conflitto della Fiom (Marchionne, tanto per fare un nome evocativo). Calenda, che pure è stato un valido ministro dell’Industria, con una misteriosa e ambigua scelta dei tempi, ha accusato Landini di essere succube di Stellantis per non scontentare il quotidiano “la Repubblica” (dove Stellantis pesa nel pacchetto azionario). E Landini – anche qui con una scelta quantomeno anomala rispetto alla tradizione Cgil e che ha stupito molti osservatori – invece di replicare politicamente a un’accusa maligna e senza riscontri, ha scelto la via della querela. Lo scontro politico che si sposta in tribunale. Un altro nodo da sciogliere nel ripensamento generale del conflitto.
Nel frattempo, la Fiom si è detta molto scontenta dell’esito dell’incontro di oggi al ministero. Si parla di incentivi all’elettrico, ma sul piatto non c’è niente per proteggere il lavoro. Si parte dalla coda. Della cometa.