A dispetto dei pur consistenti processi di urbanizzazione del mondo (vedi qui), nella urbanizzatissima Europa (cioè in un continente in cui si può dire che da secoli non esista paesaggio che non sia stato trasformato dagli esseri umani), rispunta una contraddizione tra la città e la campagna – a riprova del fatto che non esiste tendenza a cui, nell’analisi sociale, non si opponga una qualche controtendenza. Si tratta, nello specifico, di una rivolta degli agricoltori, già vista qualche tempo fa nei Paesi Bassi e attiva ora in Germania (vedi qui), che minaccia di influire pesantemente sulle prossime elezioni europee.
In sintesi le cose stanno così: il mondo dell’agroindustria (certo non più quello dei “contadini poveri” e dei mezzadri dei primi del Novecento, che, sia pure non senza difficoltà, in Italia come altrove, grazie alle cooperative e quant’altro, fu recuperato a un discorso socialista) si sta ribellando alla transizione ecologica così come impostata dall’Unione europea, sia pure con l’“annacquamento” dovuto alle ultime risoluzioni (vedi qui). Il fatto che in Germania le proteste – un po’ come avvenne qualche anno fa nella provincia francese, con il movimento dei “gilet gialli” – siano nate da una questione riguardante il prezzo dei carburanti (in particolare l’antiecologico diesel) dimostra che gli agricoltori non ci stanno proprio a sobbarcarsi i costi di una trasformazione delle produzioni a favore dell’ambiente. Mentre nelle città – a causa degli alti tassi d’inquinamento, e forse per via di una maggiore predisposizione all’innovazione – si va facendo strada l’idea che, un po’ alla volta, si dovrà procedere a una decarbonizzazione, mettendo fine ai motori termici e ai loro pesanti danni ambientali, nelle campagne questa consapevolezza tarda ad affermarsi.
Il mondo dell’agroindustria è indietro anche sulla questione del “benessere animale” e, ancor più, su quella della necessaria riduzione delle emissioni dovute agli infernali allevamenti intensivi. I produttori di carne – che si oppongono alla possibilità di un prodotto di laboratorio, come di recente si è visto in Italia, con le decisioni sul “cibo identitario” da parte del governo di destra (vedi qui) – non ne vogliono sapere di una transizione ecologica che muti le nostre cattive abitudini alimentari. Pur senza volere imporre a nessuno le diete vegane o vegetariane, è un fatto che il consumo di carne, tipico del benessere diffuso della seconda metà del Novecento, vada ridotto. Di pari passo sono da ricondurre a forme meno disumane, diciamo così, le modalità intensive di allevamento degli animali. Si tratterebbe qui di riprendere, con i mutamenti dovuti alla nostra modernità, qualcosa di molto più antico, come gli allevamenti all’aria aperta e sull’aia.
Ora, gli agricoltori sul piede di guerra ci intimoriscono non solo perché, al contrario, sarebbero da coinvolgere di buon grado nelle misure da prendere per rispondere alla crisi climatica, affinché queste abbiano successo, ma anche perché essi potrebbero spostarsi irrimediabilmente verso destra nel voto europeo del prossimo giugno. Non parliamo dell’Italia, dove a destra, soprattutto nel Nord del Paese, sono già da tempo, avendolo dimostrato sia con gli storici consensi alla Lega sia con quelli più recenti ai postfascisti. Anzi, se nulla si muove in Italia, se non si vedono i trattori invadere le strade e le autostrade, ciò dipende probabilmente dal fatto che le loro forze sono “al governo”, ed essi possono sviluppare (alla maniera dei concessionari delle spiagge pubbliche) la loro attività di lobbying dall’interno.
Questo non significa che una nuova politica di sinistra non debba porsi il problema delle campagne, dando per persa una loro, magari parziale, riconquista. Nella sempre più necessaria e impellente costruzione di una coalizione sociale, di cui però purtroppo nessuno a sinistra si occupa, lo spazio da riservare all’agroindustria, proponendo anche degli incentivi per una sua trasformazione sostenibile, sarebbe un punto essenziale di un programma politico di alternativa. In Italia come nell’intera Europa.