Papa Francesco non va a Dubai, alla Cop 28 e al connesso summit interreligioso, per motivi di salute. Ma per quale ragione il papa, il vescovo di Roma, avanti con gli anni e negli acciacchi, avrebbe dovuto imbarcarsi su un aereo per compiere un viaggio lungo e faticoso, per andare alla conferenza sui cambiamenti climatici? Cosa aveva da fare tra i capi di Stato e di governo alle prese con i problemi relativi ai gas serra, alle compensazioni economiche per una scelta o per l’altra, alla difesa del gas o agli incentivi alle rinnovabili?
La domanda ha la sua risposta in Laudate Deum: in questo recente documento magisteriale il papa è ricorso allo stile dell’invettiva biblica, per dire “io vi conosco, lo so come ragionate”, ma anche per aggiungere: “Siamo all’ultimo incrocio, poi questa diventerà una strada chiusa, senza modo di fare un’inversione a U: e la posta in gioco è la casa di tutti”. Per capire come la posta in gioco sia la casa di tutti, occorrerebbe considerarsi un tutt’uno. Una famiglia, quella umana. Ma non sembra che si sia ancora in questa certezza. Basterà fare il conto dei conflitti spietati, dei tentativi o dei desideri di sterminio, e delle prudenze globali nel prenderne atto (si potrebbe citare l’esempio sudanese, visto che da mesi è rimosso anche dai titoli di coda dei grandi e piccoli giornali), per desumere che l’idea di un momento difficile nel corridoio dei passi perduti di Cop 28 ci sarà; ma l’idea che questo problema riguardi la casa di tutti un po’ meno. E non perché i capi di Stato o di governo presenti non sappiano ciò che sa il papa, ma perché i forum mondiali hanno perso potere, o importanza, e molto è demandato ai rapporti bilaterali, sebbene nei bilaterali la visione comune venga a mancare, inevitabilmente. Certo, Xi e Biden hanno fatto dei passi avanti insieme in un bilaterale, e questo è importante per sperare: ma occorre insistere, esercitare una moral suasion.
Ecco, proprio questo crediamo che sia stato l’obiettivo del papa, esercitare una moral suasion. Con la sua presenza a dir poco inusuale. L’idea è molto semplice: andando di persona a Dubai il papa avrebbe voluto trasmettere all’assemblea dei delegati la consapevolezza di sé. “L’assemblea è sovrana”, si diceva in tanti contesti dell’Italia che fu. Il papa avrebbe voluto far capire all’assemblea di essere “assemblea sovrana” di sé e della storia che verrà.
Questo obiettivo, chimerico soprattutto in un ambiente coercitivo come Dubai, sarebbe forse passato principalmente attraverso quei colloqui a quattr’occhi nei quali Francesco ha sempre riposto tanta fiducia. Il rapporto diretto, personale. Colpisce quanto affermò, tempo fa, padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana. Dopo un incontro con un capo di Stato, andava da Benedetto XVI che gli diceva: “Abbiamo parlato di tre cose. Sulla prima c’è accordo, sulla seconda disaccordo, sulla terza torneremo a parlare, quando ci rivedremo”. Per lui il comunicato ufficiale era già pronto. Ma con Francesco le cose – raccontava ancora Lombardi – non vanno così. Dopo avere incontrato un capo di Stato, diceva: “È un tipo interessante, abbiamo parlato di quando andava a scuola, sua madre era cattolica e lo ha mandato a scuola dai preti. Questo spiega alcuni tratti del suo carattere, è una persona aperta, mi ha detto tante cose inattese sul suo Paese. Insieme potremo fare tante cose buone”. Bellissimo, ma cosa avrebbe scritto nel comunicato la sala stampa vaticana?
Dentro questa visione, risiede la ragione di fondo per cui Francesco voleva essere presente di persona a Cop 28. Lui sa dei maneggi, già all’opera, per trasformare Cop 28 in una fiera di contratti bilaterali tra Emirati arabi, il Paese ospitante, e altri Paesi interessati a contratti energetici. La fuga di notizie, con tanto di prove al riguardo, documentata dalla Bbc non lo avrà certo sorpreso. Ma Francesco non vuole fare la rivoluzione, vuole solo convincere che il tempo sta scadendo, e occorre scegliere tutti insieme la strada per restare qui, sul mondo, di cui noi siamo parte, non un corpo separato o padrone.
Maestro di psicologia, il papa sa bene che ognuno di noi può dare il meglio o il peggio di sé: dipende dal testo che sceglierà in base al contesto. Ecco allora che il summit interreligioso – che avrebbe visto la sua partecipazione insieme all’imam di al-Azhar, Ahmad al Tayyib, e numerosi altri nomi di spicco del mondo delle fedi – serviva (e servirà, nonostante l’assenza del papa) a questo: a unire nel nome della missione comune, non a “colonizzare” nel nome della potenza cattolica. Di qui, dalla scelta comune dei leader religiosi riuniti proprio a Dubai nelle stesse ore del summit politico, l’idea di un polmone comune ai mondi che si incontrano politicamente per preservare la casa comune, tornata a essere tale per ognuno dei leader chiamati a decidere, a raggiungere compromessi, a fare passi avanti.