Da sei anni Francesco chiede con fermezza e chiarezza un sinodo della Chiesa italiana. Sinodo è parola centrale nel pontificato di Francesco, il papa che sfida un giorno sì e l’altro pure il clericalismo. E il sinodo – cioè camminare insieme – non è riservato ai presbiteri, ma coinvolge il laicato cattolico. Questo è il punto. La Chiesa è del popolo di Dio.
La prima richiesta Francesco l’ha formulata espressamente nel 2015. Siamo arrivati al 2021. Dopo sei anni di resistenze, dinieghi, silenzi, contrarietà di ampi settori dell’episcopato italiano, il presidente della Cei, cardinale Bassetti, ha proferito queste parole ai microfoni di Radio Vaticana, riprese dal sito ufficiale Vaticannews: “Abbiamo preparato una bozza che abbiamo sottoposto stamattina al Santo Padre per cominciare già a dare un incipit a questo movimento sinodale”. Il capolavoro è quel “già”: dopo sei anni di insistenza, “già” è un bell’atto di coraggio. Ma anche il resto non è poco: “bozza, cominciare, incipit”. Più di così…
Ma anche in questo sofferto “sì” alla richiesta di sinodo, sostenuta con fermezza negli anni solo da un drappello di vescovi, dall’autorevole Civiltà Cattolica con autorevoli interventi dell’ex direttore Bartolomeo Sorge, di Giuseppe De Rita e dell’attuale direttore Antonio Spadaro, e poi espressamente e ufficialmente dall’arcivescovo di Torino e vice presidente della Cei, monsignor Nosiglia, che ha detto chiaro e tondo alla Radio della Cei che avrebbe chiesto al consiglio permanente della conferenza episcopale di inserire la richiesta sinodale nell’ordine del giorno della prossima assemblea dei vescovi di maggio, anche in questo sofferto e articolato “sì” si coglie la portata della novità Bergoglio. Un sinodo della Chiesa italiana, ancor più nei problemi di questa stagione pandemica, è un fatto culturale enorme, forse l’unico possibile in un Paese senza più partiti, nella crisi dei corpi intermedi, dei territori abbandonati o dimenticati, delle crisi identitarie. Da dove partire per ritrovare una bussola culturale italiana in Italia? Cattolici o non cattolici possono interrogarsi e darsi una risposta davanti alla perdurante crisi d’identità nazionale, sfidata economicamente, culturalmente, individualmente, collettivamente da quanto ci accade.
Nel 2015 Francesco disse ai vescovi riuniti a Firenze: “L’ho detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti”. Parole chiare, soprattutto per chi ha vissuto per anni e anni di “progetti culturali”, elaborazioni ideologiche di pochi sulle quali definire “progetti”.
Il sinodo dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso, il sinodo diffuso sul territorio, parrocchia per parrocchia e diocesi per diocesi, come ha chiesto Francesco, non è un “progetto”. È entrare, tornare nella realtà dei territori e delle sue esigenze, delle sue sofferenze, senza “ali marcianti”. Illuminante ancora oggi è quanto scrisse padre Bartolomeo Sorge quando Francesco cominciò a chiedere il sinodo. Per lui bisognava sconfiggere due tentazioni. La prima tentazione da sconfiggere è illudersi di potersi salvare da soli, con le proprie strutture, legalizzando e burocratizzando la Chiesa. La seconda tentazione era quella dello spiritualismo intimistico. Dunque la vera sfida, quella che riguarda tutta l’Italia, è questa: “La difficile sfida – richiamata dal papa anche a Firenze – meritevole di essere affrontata in un autorevole dibattito sinodale riguarda le implicazioni etiche e comportamentali dei fedeli, all’interno della crisi spirituale e culturale senza precedenti in cui si dibatte l’Italia. La Chiesa sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini”.
Quando le relazioni del presidente della Conferenza episcopale italiana cominciarono a sembrare una pagella delle iniziative legislative governative ci si avvicinò al modello di burocratizzazione della Chiesa. Molti si ritrovarono così smarriti, magari rintanati nello spiritualismo intimistico. Eppure, con un linguaggio un po’ frenato – “bozza, cominciare, incipit” –, la Chiesa in Italia sembra spingersi verso un cammino che ci riguarderebbe tutti. Ma proprio la forza delle resistenze indica la forza della “spinta propulsiva” del pontificato di Francesco.