Di fronte all’attacco di Hamas, l’America latina si è unita per condannare la violenza e chiedere il ripristino della pace in Medio Oriente. I governi della regione hanno stigmatizzato l’ultima crisi tra Israele e Palestina, facendo eco agli appelli al dialogo per frenare le ostilità tra il governo di Benjamin Netanyahu e Hamas. Il presidente messicano, Andrés Manuel López Obrador, ha dichiarato: “Il Messico favorisce una soluzione completa e definitiva al conflitto, sotto la premessa di due Stati, che risponda alle legittime preoccupazioni di sicurezza di Israele e permetta il consolidamento di uno Stato palestinese politicamente ed economicamente fattibile”. L’Argentina è il Paese in cui vivono tra i trecento e i quattrocentomila ebrei, il maggior numero dell’America latina e il quinto al mondo. L’Argentina ha subito la violenza del terrorismo islamista in prima persona: dapprima nel 1992, con l’attacco all’ambasciata israeliana a Buenos Aires, che causò ventidue morti; poi, nel 1994, con l’attacco contro l’Asociación mutual israelita argentina, un centro comunitario ebraico con sede a Buenos Aires, che uccise ottantacinque persone.
Il presidente argentino, Alberto Fernández, ha espresso su X (ex Twitter) la sua “energica condanna e ripudio del brutale attacco terroristico perpetrato da Hamas dalla striscia di Gaza contro lo Stato di Israele”. Sia Fernández sia i principali candidati a succedergli, hanno condannato l’attacco perpetrato da Hamas. Tra questi, il candidato anarco-liberista Javier Milei, favorito nei sondaggi per le prossime elezioni presidenziali, il cui primo turno avrà luogo il 22 ottobre, si è convertito all’ebraismo e, tra i consiglieri che lo seguono nella campagna elettorale, può contare sulla presenza di un rabbino. Milei ha dichiarato che, se eletto, sarà il primo presidente ebreo dell’Argentina e sposterà l’ambasciata del suo Paese a Gerusalemme. Nel frattempo, le autorità hanno confermato che ci sono almeno quindici cittadini argentini scomparsi.
In Colombia, il ministero degli Esteri ha rilasciato una prima dichiarazione che includeva una “condanna veemente al terrorismo contro i civili”, ma subito l’ha cancellata. Un paio di ore dopo, ne ha emessa un’altra, in cui “esprime la sua più forte condanna degli effetti sui civili”, eliminando sia la menzione del terrorismo sia quella di Israele. L’appello a cercare un dialogo tra Israele e Palestina, senza una condanna esplicita di Hamas, è in linea con le dichiarazioni che il presidente Gustavo Petro ha ripetutamente fatto sui suoi social network.
“Sono rimasto costernato dagli attacchi terroristici contro i civili in Israele, che hanno causato numerose vittime”, ha detto il presidente brasiliano, Lula da Silva, che ha condannato “il terrorismo in tutte le sue forme”. Il presidente ha commentato che il suo Paese non risparmierà sforzi nel cercare una soluzione pacifica e ha convocato una riunione di urgenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che attualmente presiede.
Il ministero degli Esteri peruviano ha condannato gli attacchi contro lo Stato d’Israele e ha espresso solidarietà per le vittime, mentre membri della comunità palestinese peruviana e i loro simpatizzanti si sono riuniti davanti al ministero degli Esteri, nel centro storico di Lima, per affermare che “non sono terroristi”, e chiedendo al governo di sostenere anche il loro popolo. Sono due le vittime peruviane della nuova crisi, un medico e un soldato. Il governo uscente dell’Ecuador ha condannato gli “attacchi terroristici” di Hamas e ribadito il suo impegno per una soluzione negoziata, definitiva e giusta per ambedue le parti.
In Cile, dove vive circa mezzo milione di cittadini di origine palestinese, la più grande diaspora al di fuori del Vicino Oriente, il presidente Gabriel Boric ha espresso la sua “condanna assoluta”, anche se ha evitato di riferirsi agli attacchi come atti terroristici. Boric, in precedenza, aveva avuto occasione di esprimere la sua simpatia per la causa della Palestina, e si era pronunciato contro l’“occupazione illegale” da parte di Israele. Il suo governo ha fatto “un appello alla cessazione della violenza al fine di evitare una escalation che provochi ulteriori danni e sofferenze alla popolazione civile”. Nel frattempo, la comunità palestinese del Cile ha rilasciato una dichiarazione, in cui riafferma che crede nella “ricerca di una soluzione pacifica nel pieno rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani”. A sua volta, ricorda “i 75 anni di violazioni sistematiche dei diritti palestinesi commesse da Israele”.
Quelli di Daniel Ortega in Nicaragua, Nicolás Maduro in Venezuela e Miguel Díaz-Canel a Cuba sono gli unici governi nel continente americano che non hanno condannato direttamente l’attacco di Hamas contro Israele. L’esecutivo di Ortega si è dichiarato “sempre solidale con la causa palestinese, sempre fraterno, sempre vicino”, e ha condannato l’“aggravamento” del “terribile” conflitto. In una dichiarazione, intitolata “Basta con le vittime e il dolore”, senza menzionare le azioni terroristiche di Hamas, il governo di Ortega ha assicurato che condanna “energicamente, come sempre, questa tragica, drammatica situazione che peggiora continuamente, di fronte all’arroganza, alla cecità, all’incomprensione e all’inazione della comunità internazionale e in particolare delle Nazioni Unite”.
In Venezuela, Nicolás Maduro ha chiesto al governo israeliano di “porre immediatamente e completamente fine a tutte le attività di insediamento e occupazione del territorio palestinese come unica via per la pace”. Ha anche chiesto un ruolo più attivo delle Nazioni Unite nel riconoscere le richieste della Palestina. Caracas non ha menzionato Hamas o l’attacco ai civili israeliani. Cuba ha espresso la sua “grave preoccupazione” e ha sostenuto che la violenza è “conseguenza di 75 anni di violazione permanente dei diritti inalienabili del popolo palestinese”.
Il governo boliviano ha cercato di trovare la risposta più salomonica possibile, e ha espresso la sua “profonda preoccupazione” per gli “eventi violenti” avvenuti nella striscia di Gaza tra Israele e Palestina. Ha anche criticato l’inazione delle Nazioni Unite e del Consiglio di sicurezza di fronte a questi eventi. Da parte sua, l’ex presidente boliviano Evo Morales ha condannato “le azioni imperialiste e coloniali” di Israele, e ha nuovamente sostenuto le azioni di Hamas in Israele, definendo il comunicato del governo di Luis Arce come “parziale” per non aver assunto la stessa posizione. Ha affermato che il comunicato ufficiale è un altro esempio “della deriva a destra del governo” di Arce. Luis Arce Catacora era stato il ministro dell’Economia dei governi di Morales, e gli era succeduto, nell’ottobre del 2020, dopo essere stato nominato candidato del Mas da Evo, all’epoca rifugiato a Buenos Aires.
Di tutt’altra natura, la posizione del presidente di El Salvador, Nayib Bukele, che, via X, ha affermato: “Come salvadoregno con origini palestinesi, sono sicuro che la cosa migliore che potrebbe accadere al popolo palestinese è che Hamas scompaia completamente. Quelle bestie selvagge non rappresentano i palestinesi”. “Chiunque sostenga la causa palestinese – ha continuato Bukele – commetterebbe un grande errore nello schierarsi con quei criminali. Sarebbe come se noi salvadoregni ci fossimo schierati con i terroristi della MS13 (la violenta pandilla contro cui ha scatenato la guerra nel suo Paese sotto la protezione di un regime di eccezione, che viene messo in discussione da diverse organizzazioni per i diritti umani: ndr, vedi qui) solo perché condividiamo antenati o nazionalità”.
Il presidente guatemalteco, Alejandro Giammattei, ha ribadito le sue condoglianze e il suo sostegno a Tel Aviv “di fronte agli attacchi perpetrati senza giustificazione”. Il Costa Rica ha chiesto il rilascio degli ostaggi. Attraverso il ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale dell’Honduras, il governo della presidente Xiomara Castro ha condannato gli attacchi di Hamas da Gaza contro Israele. “La nostra solidarietà al popolo israeliano, alle famiglie e alle persone colpite”, si legge nella dichiarazione rilasciata.