L’epidemiologia è una scienza sobria, quasi triste, che non ama scherzare con i fatti e con i numeri. Si potrebbe per questo pensare che i virus, la cui diffusione essa studia, siano neutrali, né di destra né di sinistra, e che dunque prescindano dagli schieramenti politici. Se questo è probabilmente vero per quanto riguarda i virus, certo non egualmente indifferenti sono le misure che vengono prese per fare fronte alle pandemie. E d’altro canto la stessa decisione che una pandemia è una pandemia è essenzialmente una decisione politica. Per non parlare degli strumenti impiegati per contrastarla.
Se riflettiamo freddamente, però, diviene difficile capire quali di queste misure si possano considerare di destra e quali di sinistra. Le rigide chiusure e le quarantene sono di destra o di sinistra? Come la mettiamo con la chiusura di negozi e di attività culturali? E con la diffusa insofferenza ai lockdown e al coprifuoco che ha assunto la forma di riots giovanili e di manifestazioni di protesta un po’ in tutta Europa, dal Regno Unito, passando per Germania e Francia fino alla stessa Italia, com’è avvenuto a fine ottobre 2020 a Torino? Ci sono state inoltre manifestazioni che hanno visto sfilare componenti quanto mai eterogenee: dalla estrema destra tedesca di Pegida e Alternative für Deutschland fino a frammenti di ultrasinistra libertaria.
Già la stessa difficoltà ad ascrivere a una parte o all’altra le valenze politiche delle misure impiegate e delle reazioni che hanno provocato è indicativa della complessità che presenta il tentativo di classificare un tipo di interventi da parte dello Stato che è in buona parte nuovo, così come lo è l’insieme di reazioni che essi suscitano. Per altro verso, ci dice molto su quanto fluidi siano divenuti certi confini tradizionali che delimitavano i diversi campi ideologici.
La rivista tedesca Demokratischer Widerstand che si dichiara “ispirata alla difesa della costituzione”, ma ospita frequentemente interventi di appartenenti alla Alternative für Deutschland e ad altre organizzazioni della destra radicale, ha tradotto diversi testi del filosofo libertario Giorgio Agamben come preparazione di una manifestazione contro il lockdown l’inverno scorso.
Solo qualche anno fa tutto sarebbe parso più chiaro: gli interventi autoritari da parte dello Stato di limitazione delle libertà individuali sono di destra, mentre la sinistra si mantiene su posizioni antiautoritarie e scettiche. Ma di quanto lo spettro politico sia in mutamento ci parla benissimo la situazione italiana. I ribelli sono tutti di destra? La politica di rigore e di chiusura è di sinistra?
Con molta ragione, Marco Revelli, commentando i fatti di ottobre a Torino, aveva osservato che quando si prova ad analizzare l’evento, “ci si imbatte in un frattale, intrico di contraddizioni, nonsense, eterogeneità ed eterogenesi (dei fini e dei mezzi), ragioni e sragioni”. Altrettanto caute in Germania le osservazioni dei sociologi sul fenomeno. Qualcuno si è addirittura spinto fino a teorizzare una “endemicizzazione” delle rivolte e delle proteste, che diverrebbero una sorta di “componente stabile” del nuovo rapporto tra Stato “neoliberale” e cittadini configurato dalla emergenza Coronavirus. Una sorta di continuo riaccendersi di fuochi che poi si sopiscono senza mai spegnersi del tutto.
In Italia questo groviglio di questioni ha assunto aspetti estremi: emblematica sotto questo profilo ed estremamente contraddittoria appare perciò la figura del ministro Roberto Speranza, espressione di una parte politica dichiaratamente e orgogliosamente di sinistra, che però è diventato il simbolo delle restrizioni, e per questo bersaglio favorito delle critiche da parte degli “aperturisti” che lo presentano come una sorta di dogmatico e arcigno trinariciuto di staliniana memoria.
Paradossalmente, quindi, secondo questa interpretazione faziosa, ci troveremmo in una situazione in cui a una sinistra di governo, ma comunque sinistra, che impone e sostiene a oltranza delle misure autoritarie (a detta di questi critici in buona parte ingiustificate) di restrizione delle libertà personali in nome della salute pubblica, si contrapporrebbe una destra libertaria, che difende strenuamente i diritti dei cittadini. Il rovesciamento è in buona parte apparente: se infatti esiste una tradizione statalista nella sinistra storica italiana che l’ha spinta a volte a essere più realista del re (la mia generazione, quella del Settantasette, ricorda bene figure come quella di Ugo Pecchioli del vecchio Pci), è anche vero che il libertarismo della destra è più formale che sostanziale, e rivolto a finalità politiche immediate.
La crisi sociale e sanitaria offre il destro a narrative para-negazioniste, fornisce l’opportunità per fare circolare idee di sovversione radicale, per introdurre cesure e separazioni nel corpo sociale. “Crepi l’astrologo!” si diceva un tempo, oggi il “Crepi l’epidemiologo!” aleggia in molti discorsi della destra estrema. I numeri mentono, le chiusure non servono, il coprifuoco è esagerato, i ristoranti devono funzionare anche al chiuso, e magari bisogna uscire dall’euro perché gli altri paesi ci rubano i vaccini. Schegge di un discorso negazionista, che non è per nulla da sottovalutare, e che giunge fino alle stanze del governo. Contro cui assurdamente pare stagliarsi unicamente la figura di Speranza, conservato quale testa di moro in una posizione che ben pochi vorrebbero oggi occupare.
Così il cerchio impossibile si chiude, la sinistra è autoritaria e la destra libertaria, e l’epidemiologo può venire sbertucciato da chi ha fatto la “università della strada”. Ci troviamo dunque nuovamente di fronte a quel sovversivismo delle élites di cui parlava già Antonio Gramsci? Non ne sono troppo convinto. La responsabilità di quanto accade non la si può unicamente ascrivere a una destra in fondo pasticciona, dotata di un personale politico modestissimo, priva di una linea politica coerente, che cerca confusamente di approfittare di una situazione favorevole. Ma dov’è la sinistra? Cosa dice la sinistra non sulle chiusure, probabilmente inevitabili da una prospettiva di comune buon senso, non sugli orari del coprifuoco, ma su come la pandemia sta trasformando il lavoro, sta esasperando le disuguaglianze sociali? E inoltre, quanti sono stati contagiati sul posto di lavoro, nelle scuole, su quanti aleggia lo spettro dei licenziamenti e degli sfratti? Forse di questo bisognerebbe parlare per contrastare adeguatamente una destra sguaiata e mediocre, invece di inseguire giorno per giorno il responso dei virologi e la spaventosa cabalistica dei morti per stabilire che posizione adottare.