Ogni tanto ritornano… Rispuntano le tende sotto le finestre davanti al Politecnico a Milano: non sono gli ultimi Apache, ma gli studenti del movimento “Tende in piazza” per il diritto all’abitare, nato qualche mese fa, a maggio, proprio a Milano contro il caro affitti per dare visibilità a un problema abitativo crescente. Dopo la sua diffusione in tutto il Paese, il movimento ha provato a fare un salto di qualità, organizzando nello scorso weekend un’assemblea nazionale sul tema del diritto all’abitare, e poi occupando per qualche giorno il vecchio cinema Splendor, vuoto e abbandonato da un quarto di secolo. Il cinema è in viale Gran Sasso, uno dei grandi viali che portano verso Città Studi, per cui particolarmente interessante per la sua collocazione, e carico di valenze simboliche. All’assemblea hanno partecipato studenti provenienti da venti università italiane, a riprova di quanto il tema sia importante e sentito. Dopo quattro giorni di occupazione, martedì 19, sono stati prontamente sgomberati dall’intervento congiunto di Celere e Digos. Sono seguite denunce dei ragazzi occupanti. Erano in attesa dell’incontro con il sindaco Sala che dovrebbe avere luogo domani, venerdì. Di sicuro lo sgombero, avvenuto manu militari, con dispiegamento di uomini e mezzi, nello stile “punizionista” caratteristico del governo attuale, non depone a favore dell’attenzione che le istituzioni, in particolare quelle milanesi, stanno dedicando alla questione.
In un comunicato gli studenti segnalano che “non è stato mostrato alcun interesse da parte del governo ad aprire un canale di comunicazione che potesse venire incontro alle nostre richieste e necessità (…) e siamo stati oggetto di un dispiegamento di forze e di un’aggressività evidentemente ingiustificati”. Il movimento, dopo lo sgombero, ha rilanciato con un dispiegamento di tende davanti a Palazzo Marino, per sollecitare un pronunciamento da parte del Comune. Anche perché, nonostante siano trascorsi mesi dall’inizio della protesta, nessuno ha ancora mosso un dito, e gli affitti continuano ad aumentare, come del resto in tutta la città. Ormai per una stanza non bastano più nemmeno i 600-650 euro mensili che facevano scandalo qualche tempo fa.
È evidente che le istanze degli studenti sono più che giustificate: la richiesta di affitti a prezzi accessibili – e la segnalazione di spazi vuoti che potrebbero essere riutilizzati, come nel caso del vecchio cinema Splendor – non hanno nulla di rivoluzionario, ma sembrano interventi di semplice buon senso. Tanto più in una città come Milano in cui la speculazione sta desertificando il centro, e in cui si è creato un sottomercato perverso in cui si affittano stanze di 15 mq a 1100 euro al mese, in appartamenti appositamente frazionati e trasformati in dormitori per studenti e lavoratori fuori sede alla disperata ricerca di un letto.
A fronte di una situazione simile, le fantasie dell’amministrazione su “Milano città attrattiva” per i giovani, polo creativo in cui proliferano smart factories tecnologicamente avveniristiche e si coltivano il dialogo e la partecipazione, si mostrano nella loro nudità propagandistica. In un agile pamphlet (L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane, Cronopio, 2023) Lucia Tozzi ha messo in luce chiaramente il ruolo “sedativo” giocato da questa narrazione rassicurante, mentre la realtà della Milano attuale, in cui predomina una sorta di monocultura dell’immobiliare, è ben diversa. Una città che funziona mediante la rincorsa continua a sempre nuovi “grandi eventi”, e in cui si accentuano le differenze di reddito tra quartieri; mentre giovani e abitanti a basso reddito vengono sfrattati, espulsi e ricacciati sempre più lontano dalle zone centrali, verso i comuni della fascia più esterna, che assurgono a nuova periferia.
Se Milano piange, e rappresenta un caso limite, in cui i processi speculativi, non gestiti e privi di qualunque controllo hanno condotto a una situazione estrema, e non è casuale che qui sia nato il movimento delle tende, anche altre città non ridono: Bologna, Napoli, Roma, Palermo, Firenze presentano situazioni per molti versi analoghe, che si aggravano nelle realtà in cui la questione della casa per gli studenti si intreccia con la turistificazione.
A Firenze trovare casa in affitto è diventato pressoché impossibile. Nella primavera scorsa, le tende degli studenti fuori sede hanno fatto la loro comparsa, dopo Milano, anche nel capoluogo toscano: “Il diritto all’alloggio è diritto allo studio” – è lo slogan che ha segnato le rivendicazioni studentesche. I numeri parlano chiaro: per gli studenti universitari anche a Firenze sta diventando sempre più difficile, quando non impossibile, trovare un alloggio. Un rapporto dell’anno scorso di “Immobiliare Insights”, specializzata nell’analisi dei big data, segnala un aumento della domanda del 45% rispetto all’anno precedente e una crescita dei prezzi che supera il 10%. A Firenze una stanza costa meno che a Milano, in media intorno ai cinquecento euro, ma anche in questo caso gli studenti vengono respinti sempre più lontano dal centro turistificato, verso i comuni dello hinterland.
A nulla valgono a risolvere la situazione gli studentati privati, strutture dalla natura ambigua: un po’ alberghi, un po’ residenze studentesche per ospiti con capacità di spesa, un po’ rifugio elitario per lavoratori creativi, per nomadi globali, e che presentano prezzi in linea con il mercato, se non addirittura più cari. La questione è dunque grave. Gli affitti, hanno raggiunto oramai costi proibitivi compromettendo l’effettività del diritto allo studio e rendendo, di fatto, l’accesso all’istruzione universitaria sempre più un privilegio anziché un diritto costituzionalmente garantito. Rendita immobiliare, gentrificazione delle città, affitti brevi per un turismo “mordi e fuggi” che “consuma” le città, e tagli alla spesa sociale, hanno determinato una situazione oggettivamente insostenibile per strati sociali sempre più ampi, inclusi importanti settori di ceto medio, il cui declassamento aumenta a un ritmo allarmante.
Gli affitti inaccessibili sono dunque il sintomo più evidente di una drammatica situazione complessiva, che vede la precarizzazione della vita di molti studenti, costretti a dibattersi tra difficoltà economiche e logistiche di vario genere. Già da tempo i poveri hanno smesso di iscriversi all’università. Ora è il turno dei ceti medio-bassi? Sotto questo profilo la realtà del crescente disagio abitativo studentesco è lo specchio di una più generale condizione di impoverimento e del trionfo dei meccanismi della rendita. Ma, stando così le cose, sotto le tende è a rischio il futuro della formazione nel nostro Paese, mentre si rafforza la selezione sociale di classe, aggiungendo altri aspetti a disuguaglianze sempre più marcate e radicate, che hanno raggiunto dimensioni tali da far pensare che sarà molto difficile attenuarle con gli strumenti della politica, per non parlare di estirparle: il che richiederebbe coraggiose e titaniche riforme.