La data è già fissata: il 30 novembre. L’udienza pubblica del Consiglio di Stato dovrà servire a discutere i nuovi ricorsi presentati dal comitato “No Inceneritore Santa Palomba”, Forum ambientalista, nel quale è coinvolta anche la Rete Tutela Roma Sud che rappresenta 21 associazioni del IX Municipio e dei Castelli romani, comune di Albano e comune di Ardea. Scendono tutti in campo contro il progetto del commissario di governo e sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, per la realizzazione di un termovalorizzatore da seicentomila tonnellate annue nell’area industriale di Santa Palomba, alla periferia sud di Roma. Dopo la tappa del Tar (che ha dato ragione al sindaco respingendo i primi ricorsi considerati “destituiti di fondamento”), e quella di novembre del Consiglio di Stato, potrebbe esserci anche una terza puntata di questa lunga telenovela della guerra dei rifiuti capitolina. Durante l’udienza del 30 novembre, gli avvocati delle parti ricorrenti reitereranno, infatti, la richiesta di invio degli atti alla Corte di giustizia europea e magari anche alla Corte costituzionale per un loro pronunciamento prima del giudizio finale del Consiglio di Stato.
Il bando fantasma
L’appuntamento del Consiglio di Stato sarebbe dovuto arrivare dopo la pubblicazione della gara per la progettazione, la costruzione e la gestione dell’impianto di cui, però, ancora non c’è traccia, nonostante la scadenza fosse fissata per il 31 agosto. La battaglia dei comitati e degli ambientalisti – che si oppongono al progetto giudicandolo non solo dannoso per l’ambiente e la salute dei cittadini residenti nella zona (i Castelli romani), ma anche inutile e improduttivo dal punto di vista della soluzione definitiva dell’annoso problema della raccolta e smaltimento dei rifiuti – hanno ottenuto quindi una prima parziale vittoria. In attesa dei vari pronunciamenti dei magistrati si registra una vistosa frenata sui tempi di progettazione e realizzazione. Risulta evidente a tutti il fatto che l’iniziale cronoprogramma sia saltato, e per questo la gara per la progettazione, costruzione e gestione dell’impianto non è ancora stata pubblicata. Finora l’unica manifestazione di interesse presentata è stata quella del gruppo di imprese guidato da Acea Ambiente e composto da Hitachi Zosen Inova, Vianini Lavori (gruppo Caltagirone) e Suez.
Inizialmente la giunta Gualtieri aveva pensato di scegliere una procedura blindata, affidando il progetto direttamente ad Ama (la società ultracontestata che gestisce la raccolta dei rifiuti romani). In quella ipotesi sarebbe toccato alla stessa Ama mettere in piedi un’associazione temporanea di imprese (Ati) con partner tecnici e finanziati e blindare così l’opera. Invece Gualtieri ha voluto scegliere il mercato, che però ha risposto per ora solo con una controllata che ha inserito nella compagine due azionisti, e questo apre la porta a eventuali ricorsi, perché oltre al business, i due soggetti privati parteciperanno anche ai dividendi. Gli esperti già parlano di un’anomalia giuridico-amministrativa dalla quale il Comune dovrà probabilmente difendersi.
Le motivazioni del Tar
Il Tar, in primo grado, ha respinto i ricorsi, rigettandoli perché “destituiti di fondamento”. “È con riferimento al complesso delle normative sulla pianificazione della gestione del ciclo dei rifiuti” – è stato scritto nel provvedimento – “che deve valutarsi il rispetto dei criteri direttivi eurounitari e non atomisticamente in funzione di uno specifico atto di pianificazione”. La previsione del Piano commissariale, in questo senso, non incide “sull’assetto complessivo del sistema”. E inoltre “non sembra potersi negare che la risoluzione delle questioni legate alla gestione dei rifiuti di Roma Capitale e alla chiusura del ciclo, anche assicurata da una razionalizzazione e realizzazione di nuovi impianti, compreso il tmv, abbia attinenza sia con le più generali politiche energetiche sia con la realizzazione di condizioni attesa a valorizzare” imprese e investimenti. Il Tar giustifica poi il concetto di necessità e urgenza. “Né può revocarsi in dubbio quanto al requisito della necessità e urgenza l’esistenza di una situazione emergenziale derivante dal maggiore afflusso di individui” in occasione del Giubileo.
“Quella del Tar è una decisione importante che salutiamo con grande favore. Eravamo fiduciosi della forza degli argomenti, della solidità della procedura amministrativa che è partita e che quindi andrà avanti”, ha commentato il sindaco Roberto Gualtieri. “Una città senza impianti è una città che non può avere un sistema ordinario funzionante di raccolta, ed è una città che tra l’altro inquina ed emette Co2”, ha spiegato il sindaco-commissario.
“La sentenza del Tar – ha detto invece l’assessora capitolina all’Ambiente, Sabrina Alfonsi (che “terzogiornale” aveva già sentito prima delle ferie estive: vedi qui) – riconosce la piena compatibilità del Piano dei rifiuti di Roma Capitale con il sistema normativo delineato dagli strumenti di programmazione regionali e nazionali e con la normativa europea di settore, come noi abbiamo sempre sostenuto, nonché sancisce in modo netto l’infondatezza delle censure di legittimità poste dai ricorrenti. Un documento, quello stilato dai giudici amministrativi di primo grado che aiuta anche a fare chiarezza su tanti argomenti che in questi mesi sono stati utilizzati in modo fazioso da coloro che si sono opposti alla realizzazione degli impianti per la gestione industriale dei rifiuti della Capitale”. Nella sentenza inoltre si ribadisce che non c’è dubbio sul requisito “della necessità e urgenza l’esistenza di una situazione emergenziale” derivante “dal maggiore afflusso di individui” durante il Giubileo.
La versione dei comitati
Non la pensano come il sindaco e l’assessora i comitati del no all’inceneritore, e neanche Ferdinando Bonessio, consigliere comunale del gruppo capitolino Europa verde ecologista che “terzogiornale” aveva già intervistato il 12 luglio scorso (vedi qui), nell’ambito dell’inchiesta sui problemi di Roma. Bonessio ribadisce l’anomalia della scelta di Gualtieri di puntare tutto sull’inceneritore, anche se nel Piano rifiuti del 2020, approvato dalla Regione Lazio, non era previsto, mentre si confermavano per l’incenerimento solo gli impianti già presenti e funzionanti. “E inoltre, ammesso che l’inceneritore al termine di tutte le procedure previste venga effettivamente realizzato, questo non entrerà mai in funzione per poter gestire l’emergenza rifiuti durante il Giubileo: le previsioni prevedono l’entrata in funzione per il periodo di collaudo alla fine del 2026”.
Per Bonessio si dovrebbe invece imboccare una strada completamente diversa, mentre affidare tutte le scelte all’unica opzione dell’inceneritore risulta un grosso rischio, sia dal punto di vista dell’inquinamento ambientale, sia da quello della gestione amministrativa della città. “Si dovranno – dice Bonessio – prima di tutto chiarire i termini del contratto di affidamento dell’impianto (che sorgerà sul terreno acquistato da Ama) alle aziende che partecipano alla cordata per vincere l’appalto. In questo momento, in campo, c’è un pool di aziende: Acea, Hitachi, Caltagirone e Suez. Si parla di una concessione per alcuni decenni, ma si dovranno chiarire i termini del piano economico per chiarire bene il rapporto tra pubblico e privato, ovvero tra l’amministrazione e le aziende che gestiranno l’impianto e i possibili affari che se ne ricaveranno. Si parla di un costo di cento euro a tonnellata. Quali saranno i vantaggi reali per l’amministrazione e quanto spazio avrà invece il guadagno dei privati, che potrebbero proporre di accogliere anche da altre regioni rifiuti da smaltire?”. Intanto, per quanto riguarda il pronunciamento del Tar contro i comitati il consigliere verde cita un intervento recente di un ex magistrato che conosce molto bene la materia della difesa ambientale, Gianfranco Amendola.
“Una sentenza sbagliata”
Sul “Fatto” dell’8 agosto scorso, Amendola ha spiegato che anche in base alle direttive comunitarie, prima di mettere in campo i termovalorizzatori, è necessario battere la strada della prevenzione delle emergenze e il riciclo, e poi, come opzioni residuali, termovalorizzazione e discariche. Così come la Corte precisa che, come stabilito dalla direttiva sui rifiuti, ci si possa discostare da queste priorità solo “per rifiuti di flussi specifici” e solo qualora “ciò sia giustificato dall’impostazione in termini di ciclo di vita in relazione agli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti”. “Ma di queste affermazioni e precisazioni – dice Amendola – non si trova traccia nella sentenza del Tar, la quale, da un lato, senza una vera motivazione, mette nel nulla tutta la normativa, comunitaria e nazionale, in tema di gerarchia dei rifiuti, e dall’altro sancisce, chiamandola ‘discrezionale’, una totale libertà di manovra di cui non vengono specificati i limiti. Né nella sentenza si trova traccia della importante Comunicazione de1 26 gennaio 2017 in cui la Commissione Ue evidenzia con tutta chiarezza che la termovalorizzazione, nella gerarchia comunitaria dei rifiuti, viene solo accettata come ‘male minore’ rispetto allo smaltimento ‘bruto’, e solo in caso di insufficienza delle prime due opzioni”.
Insomma, per il magistrato Amendola, “il piano previsto per i rifiuti romani si pone in palese contrasto con il principio di gerarchia nella gestione dei rifiuti, in quanto incentrato sulla previsione della realizzazione di un termovalorizzatore dimensionato sul volume di seicentomila tonnellate annue che, cumulate con quelle del termovalorizzatore in esercizio di San Vittore, profila una soluzione relativa complessivamente di ottocentomila tonnellate annue, ossia poco meno della metà della produzione di rifiuti attuale pari a 1.690.000 t/a. e circa all’80% di rifiuti da gestire nello stato di fatto”. Dove appare di solare evidenza che, proprio alla luce della situazione complessiva relativa ai rifiuti romani, il termovalorizzatore di seicentomila t/anno, contrariamente ai dettami comunitari, non è affatto visto come una opzione residuale ma come la soluzione principale.
Cercare altre strade
Per quanto riguarda i comitati che stanno sostenendo la battaglia legale sulle procedure del termovalorizzatore, in agosto hanno diffuso un comunicato in cui si ribadisce l’importanza della battaglia in corso. “I cittadini – dicono i comitati uniti – hanno diritto a una decisione giusta. Tutti i romani dovranno sostenerne il prezzo economico. Le comunità che vivono entro i dieci km dal terreno acquistato da Ama – alla cifra esagerata di 7,5 mln di euro – dovranno subire l’impatto maggiore: le mortifere conseguenze sull’ambiente e sulla salute. Chi ha provato a chiedere un confronto per migliorare questa scellerata decisione (tecnici, cittadini, enti locali) è stato totalmente ignorato. Siamo forse in un regime totalitario? Roma ha diritto alla soluzione migliore che rispetti l’ambiente, la salute e il principio di economicità”.
Tra le motivazioni del ricorso anche la mancata valutazione delle alternative impiantistiche e strategiche prevista dalla normativa europea, per individuare la migliore soluzione. “Il dubbio – spiegano ancora i comitati – anche a seguito della presentazione di un solo progetto da parte di Acea, è che l’incenerimento non sia la soluzione migliore per la città, ma la più redditizia per chi dovrà realizzarla e gestirla. In pratica, il procedimento di valutazione ambientale si è limitato a confermare la scelta precostituita e ha vanificato le numerose osservazioni presentate, mortificando ogni ragione di partecipazione dei cittadini.
Altro aspetto scandaloso – ribadisce Marco Alteri, consigliere comunale di Albano e uno dei punti di riferimento dei comitati – è il rinvio dell’obiettivo minimo di raccolta differenziata del 65% al 2030, vera causa del degrado a Roma. Ricordiamo che il termovalorizzatore non c’entra nulla con i problemi di raccolta dei rifiuti dell’Ama, e tanto meno con il Giubileo, per il quale lo stesso Piano di Gualtieri prevede l’invio dei rifiuti in altre regioni o all’estero, com’è giusto che sia nel caso di eventi straordinari e limitati nel tempo. Non si spende un miliardo di euro per un picco di produzione ogni venticinque anni. “Il nostro ricorso serve ad aiutare Roma a fare le scelte giuste, riducendo e riusando gli scarti, riciclando le risorse secondo le migliori tecnologie disponibili”.