Quando, agli inizi di luglio del 1943, gli anglo-americani stavano per sbarcare in Sicilia, Mussolini pronunciò quello che sarebbe passato alla storia come “il discorso del bagnasciuga”: “Bisogna che non appena questa gente tenterà di sbarcare, sia congelata su questa linea che i marinai chiamano del bagnasciuga”, cioè, intendeva, il punto di contatto tra il mare e la terraferma. In realtà, con bagnasciuga i marinai intendono la “parte dello scafo compresa tra il livello minimo di immersione e quello massimo”, come leggiamo nel Dizionario della lingua italiana di Tullio De Mauro (Paravia, 2000), il quale però ci informa anche che, nell’uso comune, la parola è usata nel senso di “battigia”, proprio quello che aveva in testa Mussolini.
Queste reminiscenze storico-linguistiche sono suggerite dal confronto tra quanto la nostra presidente del Consiglio prometteva di fare in merito all’immigrazione e la realtà dei fatti. Se infatti Giorgia Meloni, in campagna elettorale e poco dopo il suo insediamento, proclamava la sua intenzione di “azzerare il fenomeno” o giù di lì, le statistiche mostrano che il numero degli sbarchi, dall’inizio dell’anno, è più o meno raddoppiato rispetto al corrispondente periodo dell’anno scorso. Si potrebbe quindi pensare che l’evidente incapacità di Meloni di mantenere le promesse su una questione così importante e delicata potrebbe avviarla a un destino analogo a quello del suo predecessore (nel senso di presidente del Consiglio, ovviamente; honni soit qui mal y pense): eppure, non sembra esserci alcun segnale in questa direzione (mentre, stando almeno a quanto ci è stato raccontato, nel luglio 1943 la caduta di Mussolini appariva imminente a molti). Ci si dovrebbe perciò interrogare sui motivi di questa sostanziale tenuta del governo Meloni, nonostante il palese fallimento delle sue politiche sull’immigrazione. A mio parere, sono fondamentalmente due: da un lato, una politica tanto astuta quanto ipocrita e criminale; dall’altro, come spesso accade, le incertezze della sinistra.
L’unico modo per fermare il flusso dei migranti sarebbe ricorrere a mezzi di estrema durezza. Dovendo, nel caso della Meloni, “difendere” un confine non terrestre, ma marittimo, una scelta del genere comporterebbe, come minimo, il blocco militare di tutte le imbarcazioni che trasportano migranti, nonché di tutte le navi delle varie Ong che li soccorrono, riportando a forza le une e le altre ai porti di partenza, con l’eventuale affondamento di quelle che si rifiutassero di eseguire l’ordine. Ma il nostro attuale governo sa benissimo che un’operazione del genere è impossibile, sia per lo scandalo che creerebbe a livello internazionale, sia per la difficoltà di far digerire questo rientro forzato ai Paesi di provenienza, come la Libia o la Tunisia (a dispetto dei fantomatici accordi stipulati con quest’ultima, dei quali si deve ancora vedere il benché minimo risultato).
Quindi qual è la soluzione scelta? Qui sta l’astuzia meloniana: continuare a mantenere un clima di allarme, imponendo tra l’altro alle navi di soccorso Ong una serie di restrizioni, come quella di far sbarcare i migranti in porti il più possibile lontani, oppure il divieto di effettuare “più di un soccorso alla volta”. Le navi che non ottemperano a questo divieto sono sottoposte a sanzioni, com’è accaduto, negli scorsi giorni, alla “Seawatch” bloccata d’autorità per aver scaricato alcuni naufraghi nel porto di Lampedusa, anziché in quello, più lontano, di Trapani. Formalmente, dunque, il governo non vieta alle navi Ong di soccorrere i migranti: tuttavia, fa il possibile per allontanarle dai tratti di mare più a rischio, con conseguenze spesso tragiche. Politica, dunque, tanto astuta nell’atteggiamento quanto ipocrita nella condotta e criminale negli effetti.
A questa politica nei confronti delle Ong si è opposta con decisione, tra gli altri, Elly Schlein: opposizione benemerita e benvenuta, ma insufficiente se non inquadrata in una politica organica della sinistra in merito all’immigrazione, anzi di una politica organica della sinistra tout court. A mio avviso, tale politica dovrebbe basarsi almeno sui punti seguenti.
Il movimento migratorio è una necessità: da una parte, è necessario per milioni di persone fuggire da Paesi disastrati e sovrappopolati per tentare la sorte in Paesi più fortunati e in declino demografico; dall’altra, l’immigrazione rappresenta una risorsa indispensabile per questi ultimi Paesi, come l’Italia e l’Unione europea in genere. Pensare che una politica di “sostegno alle famiglie”, per usare il linguaggio dell’attuale governo, possa risolvere il problema, è semplicemente ridicolo: anche ammesso che una tale politica possa avere successo (cosa molto dubbia, data la carenza di asili nido, di tutela effettiva delle lavoratrici madri, ecc.), questo non potrà avere effetto che tra vent’anni al minimo. Ora, mi sembra che la sinistra abbia sottolineato troppo poco questo aspetto positivo, anzi questa necessità dell’immigrazione per una società come la nostra. Inoltre, il suo atteggiamento è sembrato piuttosto schizofrenico: favorevole senza riserve all’accoglienza dei migranti quando è all’opposizione (come di questi tempi), piuttosto restrittivo quando è stata al governo (gli accordi con la Libia dell’allora ministro Minniti ne sono una prova). In ogni caso, la soluzione non può consistere nel costringere i Paesi di transito, come la Tunisia, a creare dei veri e propri lager per migranti: a parte ogni considerazione umanitaria, è evidente che i reclusi in tali lager faranno tutto il possibile per scappare.
Il problema deve essere affrontato a livello europeo, perché l’Italia è considerata, da molti migranti, solo come un paese di transito. Finché non verrà rivisto il “trattato di Dublino”, che impone di richiedere lo status di rifugiato al primo Paese di arrivo nell’Unione, l’Italia si troverà sotto una pressione migratoria superiore alle proprie forze (e si farà un torto a tutti quei migranti che vogliono raggiungere altri Paesi, nei quali, spesso, hanno amici o parenti). Finora, nessun governo italiano (meno che mai l’attuale) si è realmente impegnato per ottenere modifiche radicali di questo trattato, probabilmente per soggezione nei confronti di Paesi europei più forti, come la Germania, la Francia o quelli nordici. Forse, si potrebbe tentare un’azione comune con gli altri Paesi dell’Europa meridionale, che si trovano in una situazione simile alla nostra (Spagna, Grecia, Malta, Cipro). È impensabile che un’azione del genere possa essere portata avanti da un governo come l’attuale: ma potrebbe far parte del programma di una opposizione seria, insieme a quelle di cui al punto successivo.
Le fasce più deboli della popolazione devono essere messe in condizione di non percepire l’immigrazione come un danno. In altre parole, bisogna scongiurare il pericolo di una “guerra tra gli ultimi” (che in molti casi è già in corso). Gli italiani in condizione di indigenza e non adeguatamente assistiti sono spesso portati a giudicare l’assistenza ai migranti come un torto nei propri confronti (“perché a loro sì e a noi no?”). Inoltre, gli immigrati (regolari o irregolari che siano) non vanno certo ad abitare nelle Ztl, ma nei quartieri più “difficili”. Perciò è assolutamente necessario che la politica sull’immigrazione non si limiti a indiscutibili motivazioni di carattere umanitario, ma ne ribadisca la necessità economica (e quindi l’utilità per tutti), come si diceva sopra. Soprattutto, la politica pro-immigrati non può essere disgiunta dalla lotta per una maggiore giustizia sociale. Quindi, bisogna insistere nella battaglia per il salario minimo e battersi per il ripristino del reddito di cittadinanza, o di qualche misura analoga (non la caricatura escogitata dall’attuale governo). Si tratta di un programma vasto, certamente inattuabile nelle attuali condizioni politiche: ma potrebbe costituire il nucleo di un serio programma di opposizione, da presentare in occasione dei prossimi appuntamenti elettorali.