“È sicuramente una grande occasione, una sfida che non possiamo mancare, ma è chiaro che per una città come Roma non sarà la soluzione definitiva di tutti i problemi. Ci ha comunque obbligati a un cambiamento di prospettiva e del modo di lavorare e a un adeguamento degli uffici. L’amministrazione comunale ha scelto la strada del lavoro in squadra e del coinvolgimento diretto delle università, della società civile, del Terzo settore e delle aziende, di Roma Capitale e Invitalia. Con il nostro lavoro abbiamo cercato prima di tutto di superare il limite storico della frammentazione degli interventi. La stessa Commissione speciale, con il suo ruolo di coordinamento, crea un quadro completamente nuovo”.
Giovanni Caudo, docente all’Università Roma Tre e grande conoscitore della macchina amministrativa (ha ricoperto vari ruoli tra cui la presidenza di un municipio importante), ci tiene a chiarire prima di tutto il metodo di lavoro, che è la vera novità di questa partita. Nel corso dell’ultimo anno e mezzo, la commissione speciale per il Pnrr ha organizzato 54 riunioni e ha coinvolto 250 tra tecnici ed esperti delle materie legate ai progetti. Uno sforzo di elaborazione basata sull’intelligenza collettiva in ambito politico e accademico: le aree d’intervento dei progetti spaziano infatti dalla digitalizzazione alla rivoluzione verde, dal ripensamento (e rifacimento) delle infrastrutture all’istruzione e alla ricerca, passando naturalmente per i problemi di coesione sociale e delle periferie e per la garanzia del diritto alla salute.
“Siamo partiti da un gap molto pesante con le altre città di riferimento – spiega Caudo –, Roma è sempre stata una città sottocapitalizzata. Le risorse medie per cittadino, nel periodo 2015-2019, erano circa 550 euro. Nello stesso periodo Milano stanziava 2144 euro a persona. Ora, con il Pnrr, la quota per cittadino sarà molto incrementata, ma alla fine non arriveremo neppure alla metà di quello che mette a disposizione Milano per i suoi cittadini. Negli ultimi anni si è fatto uno sforzo per invertire il trend, ma non è bastato. Con il nostro modo di affrontare la questione e partecipare ai bandi, siamo però riusciti a passare da 227 milioni, indicati inizialmente dal governo nazionale per Roma all’interno della programmazione del Pnrr, a un miliardo e 450 milioni di investimento. Ma io vorrei sottolineare la gravità della sottocapitalizzazione ordinaria, che stiamo cercando di bilanciare con gli investimenti straordinari del Pnrr. Questo è un dato centrale da tenere ben presente”.
Ci sono problemi evidenti di risorse, ma ci sono problemi anche di filosofia degli interventi. Si può dire che, con il Pnrr, Roma è costretta a rivalutare l’urbanistica e la programmazione? In uno dei primi convegni sui progetti per la capitale si era parlato del paradosso di un Piano nazionale di ripresa e resilienza “senza piano”. È ancora così?
Oltre al discorso sul metodo, che accennavo all’inizio di questa conversazione, ovvero alla capacità di lavorare in squadra, quello che mi preme sottolineare è la logica degli interventi. Noi ci siamo trovati a lavorare su una serie di progetti che andavano pensati velocemente per essere approvati. Ognuno separato dall’altro. Poi però abbiamo cercato di dargli una logica generale a posteriori, e infatti, se si vanno ad analizzare ora, si scopre l’intenzione di un intervento a tutto campo: dal centro alle periferie. Sono tutti progetti mirati sulle singole realtà dove si vuole intervenire (Tor Bella Monaca, Centocelle, Santa Maria della Pietà, ecc.), ma che cercano di parlarsi tra loro, mentre alcuni finanziamenti (quelli per il rilancio delle biblioteche comunali, per esempio) sono trasversali per definizione. Facendo questa esperienza abbiamo verificato che è possibile creare un discorso organico a posteriori tra i vari progetti, e che è possibile anche la programmazione ordinaria che finanzi progetti complementari per evitare di fare degli interventi che rimangano cattedrali nel deserto. Ci sono sette milioni per il quartiere di Centocelle, per l’area verde, i parchi, le ville storiche; ma poi, per rendere fruibili quelle stesse aree “rigenerate”, bisogna rifare i sentieri, la segnaletica stradale. Discorso analogo per la zona di via Palmiro Togliatti interessata al progetto del nuovo tram. In ogni caso, se dovessi fare una sintesi di quello che c’è stato finora, direi che siamo in presenza di una storia di successo. Bastano quatto cifre riassuntive: 180 milioni di euro per gare d’appalto nei Programmi integrati; 182 milioni di euro per le 98 gare d’appalto nel programma Caput Mundi; 26,4 milioni di euro per le gare d’appalto per gli asili nido, e infine 120 milioni per la gara d’appalto di uno dei progetti della mobilità: la Tva, la nuova tranvia che collegherà la stazione Termini al quartiere Aurelio, passando per il Vaticano. E questa è – almeno finora – una storia di successo, perché sono state fatte scelte chiare e perché abbiamo cercato di correggere il difetto del Pnrr, il “piano senza piano”, attraverso un rapporto organico tra investimenti straordinari e investimenti ordinari. Negli ultimi otto mesi, sono state aggiudicate gare d’appalto per cinquecento milioni di euro, e questo ovviamente si traduce in un importante contributo al rilancio dell’economia di Roma. E non stiamo parlando del turismo occasionale mordi e fuggi ma di settori strutturali: dall’edilizia, alle materie prime, alle rifiniture. Roma Capitale, grazie soprattutto allo sforzo dei suoi impiegati, funzionari e dirigenti, sta sostenendo la ripresa economica post-Covid delle imprese.
Si può dire dunque che siamo in presenza di una ripresa dell’urbanistica, ovvero di una idea di futuro per la città?
Rispondo così: siamo in presenza di un tentativo di non rassegnarsi a una deriva esclusivamente macroeconomica, che fissa gli investimenti a prescindere dalle esigenze del territorio. Quando parliamo di un “piano senza piano” è perché i progetti Pnrr non sono nati dopo una ricognizione della domanda. Non ci si è chiesti di che cosa avesse bisogno Roma, ma i progetti sono stati costruiti sulla griglia di preferenze volute dall’Europa. Gli interventi quindi non coprono tutti i bisogni. Un esempio. Noi spenderemo tanto nel sociale, quasi 53 milioni di euro del Pnrr, ma non ci occuperemo delle liste di attesa degli anziani che hanno bisogno dell’assistenza diretta e indiretta. E questo si spiega semplicemente chiarendo la natura dei finanziamenti del Pnrr, che riguardano le strutture non le persone. Si possono mettere in campo risorse per la domotica, si possono acquistare ascensori per le persone disabili, ma non si può fare assistenza alle persone con i soldi del Piano europeo. Quindi c’è il rischio che la gente veda tutto ciò come un paradosso, perché, nonostante tutti questi soldi per il sociale (non si sono mai visti 53 milioni di euro), alla fine le liste d’attesa ci saranno lo stesso. Sembra un controsenso, che dipende dal gap tra investimenti e bisogni. Quindi, per concludere il discorso, possiamo dire che non siamo in presenza di un ritorno della programmazione generale, ma piuttosto di fronte al tentativo di tradurre l’espressione “mettere a terra i progetti” con la necessità di farli combaciare (o quantomeno dialogare) il più possibile con le esigenze concrete degli abitanti dei territori interessati.
(8. fine. Con questa puntata concludiamo la nostra inchiesta su Roma, che si è concentrata soprattutto sull’impatto del Pnrr sulla città e sulle trasformazioni sociali ed economiche già realizzate a partire dal rapporto centro-periferia. Molti nodi sono ancora da sciogliere: lo stadio, le Ztl, il termovalorizzatore, ecc.. Seguiremo gli sviluppi delle decisioni dell’amministrazione. Le puntate precedenti sono state pubblicate: il primo, il 6, il 13, il 20 e il 27 giugno, il 12 e 21 luglio)