Alle analogie che intercorrono tra l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro a Donald Trump in campo politico – dove entrambi si riconoscono in una sorta di internazionale della destra, che ha una delle sue basi proprio nello stato della Florida –, se n’è aggiunta un’altra in quello giudiziario. Se “The Donald” era stato incriminato a marzo per frode dalla giustizia dello Stato di New York (per la vicenda di Stormy Daniels, la pornostar pagata per tacere sulla sua relazione extraconiugale), e successivamente era stato nuovamente incriminato dalla giustizia federale in rapporto alla gestione degli archivi della Casa Bianca (è il caso dei documenti confidenziali sottratti e portati nella residenza di Mar-a-Lago), il giudice istruttore del processo aperto dal Tribunale superiore elettorale del Brasile contro Jair Bolsonaro ha considerato l’ex presidente colpevole di abusi di potere nelle elezioni del 2022, votando, martedì 27 giugno, la sua interdizione dai pubblici uffici per otto anni.
La vicenda giudiziaria, avviata negli Stati Uniti, ha fatto pesare sul capo di Trump ben sette capi di accusa, portando per la prima volta un ex presidente statunitense a fare i conti con accuse federali di tipo penale. Nel caso fosse giudicato colpevole, Trump vedrebbe impedita la sua ricandidatura alle elezioni presidenziali, fissate per il prossimo anno. Analogamente, Benedito Gonçalves, il giudice brasiliano per il quale è provato che Bolsonaro ha usato la sua posizione di capo di Stato “per degradare l’atmosfera elettorale”, “incitare uno stato di paranoia collettiva” e fabbricare “teorie della cospirazione” con “informazioni false” e “bugie atroci”, ha fatto il primo passo di un percorso che ha visto, giovedì 29 giugno, tre dei sette giudici del Tribunale supremo elettorale votare a favore della inabilitazione dell’ex presidente per otto anni, e solo un magistrato assolverlo. Ora il destino di Bolsonaro, per il quale le accuse contro di lui sarebbero finalizzate a permettere alla sinistra di non avere opposizione nelle elezioni del 2026, in cui spererebbe di ricandidarsi, è nelle mani dei tre magistrati rimanenti, il cui parere dovrebbe essere reso pubblico venerdì 30 giugno.
Il processo parte da una denuncia del Partito democratico laburista, e riguarda una riunione convocata da Bolsonaro nella residenza ufficiale della presidenza a Brasilia, il 18 luglio 2022, durante la quale, di fronte a una cinquantina di ambasciatori, ebbe a denigrare il sistema elettorale e accusò la giustizia di manovrare a favore dell’attuale presidente, Luiz Inácio Lula da Silva. Il procedimento ha avuto inizio giovedì della scorsa settimana, con la lettura degli atti, le presentazioni orali dell’accusa e della difesa di Bolsonaro. Al termine, la procura ha chiesto di condannare l’ex capo di Stato e di spogliarlo dei suoi diritti politici.
Nel corso dell’udienza di martedì, Gonçalves ha definito “aberrante” l’intervento di Bolsonaro con il quale l’allora presidente riversò sospetti infondati sul sistema del voto elettronico in uso in Brasile, senza denunce di frode dal 1996. Un discorso trasmesso in diretta dalla televisione pubblica e dai social di Bolsonaro. “Non è possibile chiudere gli occhi di fronte agli effetti antidemocratici dei discorsi violenti e delle bugie che mettono sotto scacco la credibilità della giustizia elettorale” – ha detto il giudice istruttore, secondo il quale Bolsonaro, sulla base di argomenti “completamente distorti”, “ha flirtato pericolosamente con il golpismo” e ha cercato di “convincere” i rappresentanti diplomatici che “il suo racconto meritava più fiducia delle informazioni ufficiali del Tribunale superiore elettorale”.
In pratica, il giudice istruttore ha fatto propria la tesi dell’accusa, secondo la quale la campagna di Bolsonaro contro il sistema elettorale è stata l’inizio di un movimento culminato nel violento assalto, dell’8 gennaio scorso, ai simboli della democrazia brasiliana. Gonçalves si è espresso anche a favore dell’accettazione, come prova nel processo, della bozza di un decreto presidenziale, trovato lo scorso gennaio durante una perquisizione nella residenza dell’ex ministro della Giustizia, Anderson Torres, allora arrestato, per effetto del quale sarebbe stata annullata la vittoria di Lula mantenendo Bolsonaro al potere attraverso un “intervento militare”. Di fatto, il giudice istruttore ha respinto la linea della difesa, che ha cercato di far passare gli attacchi dell’ex presidente al sistema di voto elettronico come un suo diritto alla libertà di espressione. A parere di Gonçalves, Bolsonaro “ha cercato di convincere la comunità internazionale che le elezioni erano segnate dalla frode sistematica e dall’azione corrotta del Tribunale superiore elettorale, dando una falsa immagine della democrazia brasiliana”, nel mentre, con una “negligenza preoccupante”, l’ex presidente ha tentato di trasformare il ruolo delle forze armate quando ha cercato, senza successo, di demandare a loro il compito di conteggiare i voti espressi nell’ultima consultazione elettorale, in cui Bolsonaro è stato battuto di misura da Lula.
Gonçalves si è invece espresso a favore dell’assoluzione del generale Walter Braga Netto, che correva come vicepresidente alle scorse elezioni, poiché “non è stata dimostrata la sua responsabilità” nel caso in questione. Con ciò ritenendo Bolsonaro (che come Trump si dichiara innocente) “l’integrale responsabile” dell’evento con gli ambasciatori, sulla base delle testimonianze raccolte nell’indagine, tra cui diverse sono state rilasciate dai ministri a lui più vicini. Alle conclusioni alle quali è giunto il giudice istruttore si sono aggiunti ieri i tre pareri favorevoli alla inabilitazione per otto anni dai pubblici uffici dei tre giudici del Tribunale supremo elettorale, a fronte di un solo parere contrario di un altro giudice dello stesso tribunale. Mancano i pareri di altri tre magistrati, che dovrebbero essere resi pubblici oggi, 30 giugno, con la concreta possibilità che sia decretata la morte politica di Bolsonaro durante i prossimi otto anni.
Dopo aver governato il Brasile tra provocazioni e scandali, quello che viene chiamato il Donald Trump dei tropici vive i suoi primi mesi da ex presidente sostanzialmente emarginato dalla scena pubblica, nel vortice degli strascichi giudiziari prodotti dal suo operato. In presenza di accuse precise che lo coinvolgono nelle violenze di gennaio, da quando ha fatto ritorno dal suo lungo soggiorno in Florida, il 30 marzo, ha voluto mantenere un profilo basso, probabilmente nel tentativo di allontanare da sé il sospetto di avere guidato da lontano la sollevazione dei suoi sostenitori contro la vittoria di Lula. Si è limitato a muoversi dietro le quinte della politica, partecipando a incontri a Brasilia con i membri del Partito liberale, la maggiore formazione al Congresso, di cui è un militante.
Durante gli anni del suo governo, Bolsonaro ha avuto il sostegno delle influenti lobby delle armi, dell’agro-business, che lo appoggiava per le sue politiche di sfruttamento della foresta amazzonica, del vasto elettorato evangelico. I suoi critici, d’altra parte, lo hanno accusato di razzismo, sessismo e omofobia; ma il punto di svolta e l’inizio della sua crisi si devono soprattutto alla gestione della pandemia, che in Brasile ha fatto 700.000 morti, un record negativo, dopo gli Stati Uniti, per decessi in numeri assoluti.
Oltre al processo in corso in questi giorni, Bolsonaro sta affrontando altre cinque indagini da parte della Corte suprema, che potrebbero portare alla sua incarcerazione. Dal suo ritorno in patria, è stato interrogato tre volte dalla polizia: gli interrogatori sono legati a un caso di gioielli donati dall’Arabia saudita, alcuni dei quali sono sospettati di essere stati introdotti illegalmente in Brasile, e anche a una presunta falsificazione del suo certificato di vaccinazione contro il Covid. Mentre l’ex presidente affronta il giudizio della Corte elettorale, molti dei suoi ex alleati gli hanno voltato le spalle passando a sostenere nuove figure di destra, come il governatore di San Paolo, Tarcisio Freitas, e il governatore di Minas Gerais, Romeu Zema. Bolsonaro sembra volere esercitare la sua influenza nella politica brasiliana attraverso i membri della famiglia, come i figli deputati e sua moglie Michelle, che ha presentato come una possibile candidata presidenziale. In tutto ciò il governo di Lula, pur essendo direttamente interessato a quanto succede, si mantiene fuori dagli affari del leader di estrema destra, e non ha fatto dichiarazioni al riguardo.