Non saranno i Sette giorni che sconvolsero il mondo, ovvero la Rivoluzione d’ottobre raccontata dallo scrittore americano John Reed. Ma quello che sta succedendo da sabato scorso in Russia potrebbe dare il via a una ridefinizione di un assetto geopolitico internazionale pieno di incognite e con conseguenze imprevedibili per tutto il pianeta. Il gruppo mercenario Wagner (vedi qui), fondato dall’inquietante imprenditore e militare russo Dmitri Valer’evic Utkin, che non ha mai nascosto le sue simpatie per il nazismo (da qui il nome del musicista tedesco), tra venerdì e sabato ha lasciato il mondo con il fiato sospeso. Il capo militare del gruppo, Yevgeny Prigozhin, il cui battaglione è comunque legato al Cremlino, ma nello stesso tempo in conflitto da mesi, ha lanciato una sfida militare al presidente Putin.
Non è certo da ieri che il capo della Wagner lancia accuse al Cremlino. La prima riguardava un ipotetico e mai provato bombardamento da parte dell’esercito russo contro un accampamento del gruppo paramilitare. Episodio questo mai confermato e dunque probabilmente inventato. Successivamente, Prigozhin ha dato il via a quella che ha chiamato “la marcia per la giustizia” finalizzata a risolvere “il caos che regna nel Paese” contro la quale si è messo in moto il Comitato nazionale antiterrorismo russo, che ha aperto un procedimento penale contro Prigozhin per incitamento alla rivolta armata e ha chiesto “l’immediata cessazione delle azioni illegali”. La rivolta è cominciata nella notte tra venerdì e sabato, quando le truppe del gruppo sono entrate indisturbate a Rostov praticamente senza sparare un colpo, occupando immediatamente il quartier generale delle forze armate russe in una città nella quale sono sempre stati ben visti, tanto da essere poi applauditi quando si sono ritirati.
In un primo momento si è parlato di una possibile indagine sulla facilità con cui i Wagner sono entrati nella città, poi messa nel cassetto. Proprio da Rostov Prigozhin ha annunciato l’inizio della “marcia su Mosca” con i suoi 25mila uomini arrivati a duecento chilometri dalla capitale. Ipotesi che è divenuta sempre più verosimile quando i Wagner si sono diretti nella regione di Voronezh, a circa 550 chilometri da Mosca. Immediata la reazione di Putin, che nella mattinata di sabato, in un discorso di cinque minuti trasmesso dalla televisione nazionale, ha puntato l’indice contro chi vuole portate il Paese verso l’anarchia. “Chi ha organizzato e preparato la ribellione armata – ha denunciato il capo del Cremlino –, chi ha rivolto le armi contro i propri compagni, ha tradito la Russia. E risponderà per questo”.
La marcia, intanto, proseguiva senza grossi intoppi se si escludono l’abbattimento di due elicotteri russi da un lato e, dall’altro, il bombardamento contro un deposito di carburante per ostacolare l’avanzata degli uomini di Prigozhin. Poi l’improvviso stop alle ostilità. E infine, verso le 19,30 di sabato (ora italiana), l’inaspettata notizia dell’accordo. Mediatore il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, che significa di fatto Putin per interposta persona, e l’arrivo di Prigozhin a Minsk, stranamente scomparso nelle ultime ore, mentre voci lo vedrebbero impegnato nella preparazione di un improbabile attacco contro l’Ucraina dal territorio bielorusso.
Altrettanto misteriosa l’altra parte dell’intesa, che prevederebbe la testa del ministro della Difesa, Sergej Šojgu, e del capo di stato maggiore, Valeri Gerasimov, nemici acerrimi del gruppo Wagner. Il primo potrebbe essere sostituito dal governatore della regione di Tula, Alexei Dyumin, come riferiva l’Istituto per lo studio della guerra (Isw), che cita alcune fonti russe. Questi, dopo essere stato la guardia del corpo di Putin, si è poi avvicinato ai Wagner. Ma dopo essere scomparso dai media, Šojgu è improvvisamente ricomparso in un video – la cui veridicità è messa in dubbio – mentre visita le truppe in Ucraina. Come riporta il “Fatto quotidiano”, Prigozhin, al quale, nell’ambito dell’accordo, era stata garantita a lui e ai suoi uomini l’impunità, resterebbe invece indagato per ribellione.
Attualmente, di fronte al susseguirsi di episodi – dei quali, secondo i media statunitensi, la Casa Bianca era a conoscenza da cinque giorni e lo stesso Putin da un giorno –, possiamo solo azzardare delle ipotesi e porci degli interrogativi. Secondo la testata online “Il post”, Prigozhin, uomo ambizioso e senza scrupoli, potrebbe avere reagito perché i vertici militari russi – in particolare il viceministro della Difesa, Nikolai Pankov – erano in procinto di smantellare il gruppo Wagner, con l’intento di inglobarne i combattenti all’interno dell’esercito regolare, diminuendone così drasticamente il potere.
Quali vantaggi potrà trarre il gruppo paramilitare dopo questa esibizione muscolare non è chiaro. Probabilmente, l’idea di sciogliere il gruppo (presente in mezza Africa) sarà messa nel cassetto da parte dei vertici militari russi. Resta la straordinarietà dell’evento, che mette di sicuro in luce la debolezza di Putin. Per Aldo Ferrari, ricercatore dell’Ispi (Istituto studi politica internazionale), “gli avvenimenti delle ultime ore in Russia sono, da un lato, sorprendenti e gravissimi, dall’altro sono il frutto di circostanze senza precedenti: mai prima d’ora – sottolinea Ferrari – e in un Paese fortemente autoritario come la Russia di oggi, era capitato che una milizia privata arrivasse ad assumere un tale potere da permettersi di rivaleggiare con lo stato maggiore della Difesa. Lo scontro aperto mostra come Vladimir Putin, che finora sembrava controllare le frizioni tra il capo della Wagner e i suoi generali, in realtà non abbia la situazione in mano. Tutto dipenderà – conclude il ricercatore – da cosa accadrà in queste ore e giorni, e da come reagiranno le unità dell’esercito di fronte alla sfida aperta da Prigozhin. Anche se quello lanciato dal capo della Wagner sembra più l’azzardo di un giocatore spregiudicato che il piano di uno stratega”.
Ed è proprio questo il punto. Pensare, come fanno con ossessione la Nato e l’Occidente nel suo complesso, che la soluzione possa essere un’uscita di scena di Putin, con l’idea che qualcuno meglio di lui arrivi nella stanza dei bottoni, è illusorio e pericoloso. Si potrebbe arrivare al paradosso che, improvvisamente, “gli amici dell’Ucraina e di Zelensky” potrebbero aprire a un dialogo con lo zar del XXI secolo. Una sorta di resa dell’atlantismo a tutti i costi per evitare il peggio, considerando le migliaia di testate nucleari presenti nel Paese che, se destano preoccupazione ora, figuriamoci se finissero nelle mani del Prigozhin di turno.